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Esecuzione pena all’estero: la Cassazione decide

Un cittadino italiano residente in Germania si è visto negare la possibilità di scontare la pena tramite una misura alternativa per mancanza di domicilio in Italia. La Corte di Cassazione ha annullato tale decisione, affermando che il giudice deve sempre valutare la possibilità di esecuzione della pena all’estero in un altro Stato dell’UE, come previsto dalla normativa europea sul reciproco riconoscimento, per favorire il reinserimento sociale del condannato.

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Pubblicato il 17 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Esecuzione Pena all’Estero: Quando la Residenza in un Altro Paese UE Non è un Ostacolo

La globalizzazione e la libera circolazione delle persone all’interno dell’Unione Europea pongono questioni giuridiche complesse, specialmente quando si tratta dell’esecuzione di una condanna penale. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha affrontato un tema di grande attualità: la possibilità di esecuzione pena all’estero per un cittadino italiano residente in un altro Stato membro. Questo caso chiarisce che la residenza fuori dall’Italia non può essere un motivo automatico per negare l’accesso a misure alternative alla detenzione, rafforzando i principi di rieducazione e reinserimento sociale sanciti a livello europeo.

Il Fatto: La Richiesta di Misure Alternative e il Diniego del Tribunale

Un cittadino italiano, residente stabilmente in Germania dal 1999 e regolarmente iscritto all’AIRE (Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero), ha ricevuto un ordine di esecuzione per un cumulo di pene. Ha quindi presentato un’istanza al Tribunale di Sorveglianza per poter scontare la sua pena tramite una misura alternativa al carcere, come l’affidamento in prova al servizio sociale.

Tuttavia, il Tribunale di Sorveglianza ha dichiarato l’istanza inammissibile. La motivazione era netta: il richiedente non aveva un domicilio valido in Italia, poiché l’indirizzo indicato (quello della madre) non era più disponibile per l’accoglienza. Il Tribunale ha quindi chiuso il caso senza considerare altre opzioni.

I Motivi del Ricorso e la Normativa Europea

L’interessato, tramite il suo difensore, ha presentato ricorso in Cassazione, sollevando due questioni cruciali:
1. Travisamento dei fatti: Il ricorrente sosteneva di aver fornito indicazioni precise per svolgere l’affidamento in prova in Germania, coinvolgendo le autorità tedesche.
2. Violazione di legge: Il punto centrale del ricorso era la mancata applicazione del D.Lgs. 15 febbraio 2016, n. 38. Questa normativa attua in Italia la Decisione quadro europea 2008/947/GAI, che stabilisce il principio del reciproco riconoscimento delle decisioni di sospensione condizionale e delle sanzioni sostitutive tra gli Stati membri dell’UE.

In pratica, il ricorrente lamentava che il Tribunale avesse ignorato completamente la possibilità, prevista dalla legge, di far eseguire la misura alternativa direttamente in Germania, il suo paese di residenza.

La Decisione sulla Esecuzione Pena all’Estero

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, annullando l’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza. La Suprema Corte ha evidenziato come il giudice di primo grado abbia commesso un errore fondamentale, omettendo di valutare la questione alla luce della normativa europea e nazionale sull’esecuzione pena all’estero.

Il Principio del Reciproco Riconoscimento

Il cuore della decisione risiede nel principio del reciproco riconoscimento. La normativa europea mira a garantire che le sanzioni non detentive (come l’affidamento in prova) possano essere eseguite nello Stato membro in cui il condannato ha la propria residenza. Lo scopo è duplice:
* Favorire il reinserimento sociale: Permettere al condannato di mantenere i legami familiari, sociali, lavorativi e culturali nel luogo in cui vive, aumentando le possibilità di una riabilitazione efficace.
* Superare le difficoltà pratiche: Evitare i problemi legati alla supervisione di una persona che vive in un altro Stato.

La Cassazione ha chiarito che l’affidamento in prova, pur non essendo letteralmente una ‘sanzione sostitutiva’, rientra a pieno titolo nel campo di applicazione della Decisione quadro, in quanto misura che limita la libertà personale attraverso una serie di prescrizioni e obblighi, compatibili con quelli previsti dalla normativa europea.

Le Motivazioni della Corte

La Corte di Cassazione ha motivato la sua decisione sottolineando il difetto assoluto di motivazione e la violazione di legge da parte del Tribunale di Sorveglianza. Quest’ultimo si è fermato a un dato puramente formale (l’assenza di un domicilio in Italia), senza compiere la valutazione giuridica che gli era richiesta. Il giudice avrebbe dovuto esaminare se la richiesta del condannato di scontare la pena in Germania fosse percorribile ai sensi del D.Lgs. 38/2016.

Ignorando questa possibilità, il Tribunale ha di fatto precluso al ricorrente un percorso di reinserimento sociale nel contesto in cui egli è pienamente integrato. La decisione del Tribunale è stata quindi ritenuta errata perché ha ignorato una specifica normativa volta a gestire proprio casi come questo, contravvenendo allo spirito della cooperazione giudiziaria europea.

Le Conclusioni

Questa sentenza ha importanti implicazioni pratiche. Stabilisce chiaramente che un cittadino italiano residente in un altro Stato dell’Unione Europea ha il diritto di chiedere che la sua pena, se compatibile, venga eseguita nel paese di residenza. I Tribunali di Sorveglianza italiani non possono respingere tali istanze solo per la mancanza di un indirizzo in Italia. Al contrario, hanno il dovere di attivarsi per verificare la fattibilità dell’esecuzione della misura all’estero, in conformità con i principi di cooperazione e reciproco riconoscimento. Si tratta di un passo avanti verso un sistema di giustizia penale più moderno e attento ai diritti individuali e alle finalità rieducative della pena, in un contesto europeo sempre più integrato.

Un cittadino italiano residente in un paese UE può scontare una pena italiana nel paese di residenza?
Sì. La Corte di Cassazione ha stabilito che, in base al D.Lgs. 38/2016 che attua la Decisione quadro 2008/947/GAI, il giudice deve considerare la possibilità di eseguire misure alternative alla detenzione, come l’affidamento in prova, nello Stato membro dell’UE in cui il condannato ha la propria residenza stabile.

La mancanza di un domicilio in Italia impedisce automaticamente l’accesso a misure alternative alla detenzione?
No. Secondo questa sentenza, la mancanza di un domicilio in Italia non è un ostacolo insuperabile se il condannato risiede stabilmente in un altro Stato dell’Unione Europea. Il tribunale ha il dovere di valutare la possibilità di un’esecuzione della pena all’estero secondo la normativa vigente.

Qual è lo scopo principale della normativa europea sull’esecuzione delle pene in altri Stati membri?
Lo scopo è favorire il reinserimento sociale della persona condannata, permettendole di mantenere i legami familiari, lavorativi e culturali con il paese di abituale dimora. Ciò aiuta a prevenire la recidiva e, di conseguenza, a proteggere le vittime e la collettività in generale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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