Causa di esclusione della punibilità: perché un ricorso generico è destinato al fallimento
L’ordinanza in esame della Corte di Cassazione, Sezione Settima Penale, offre un’importante lezione sulla necessità di specificità e pertinenza nella formulazione dei motivi di impugnazione. Il caso riguarda la richiesta di applicazione della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, disciplinata dall’art. 131-bis del codice penale, e dimostra come la genericità di un motivo di appello possa rendere inammissibile anche il successivo ricorso in Cassazione.
I fatti di causa
Una persona veniva condannata dalla Corte di Appello per il reato previsto dall’art. 494 del codice penale. Avverso tale sentenza, l’imputata proponeva ricorso per Cassazione, lamentando la mancata applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto. La difesa sosteneva che il reato commesso rientrasse nei parametri previsti dall’art. 131-bis c.p., che consente al giudice di non procedere alla condanna quando l’offesa è, appunto, di lieve entità.
L’analisi della Corte e la genericità del motivo d’appello
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, non entrando nel merito della questione, ma soffermandosi su un vizio procedurale a monte. I giudici hanno rilevato che il motivo presentato in Cassazione era intrinsecamente collegato a un precedente motivo di appello, il quale era già stato considerato inammissibile per la sua genericità.
Il problema principale risiedeva nel fatto che l’atto di appello non si era confrontato adeguatamente con un elemento fondamentale della sentenza di primo grado: la “causa ostativa della abitualità del comportamento”. L’abitualità, ovvero la ripetizione di condotte illecite da parte dell’imputato, è uno dei fattori che per legge impedisce l’applicazione del beneficio della particolare tenuità del fatto.
Le motivazioni
La Corte di Cassazione ha spiegato che, per contestare validamente il diniego della causa di esclusione della punibilità, la difesa avrebbe dovuto argomentare specificamente contro la valutazione del giudice di merito sull’abitualità del comportamento. Invece, l’appello si era limitato a evocare in modo generico e non pertinente gli istituti della “dichiarazione di abitualità, professionalità o tendenza”, che sono concetti distinti e non direttamente sovrapponibili alla nozione di comportamento abituale richiesta dall’art. 131-bis c.p.
Questa mancanza di specificità ha reso il motivo d’appello inammissibile, e di conseguenza, anche il ricorso in Cassazione che su di esso si fondava. La decisione ribadisce un principio cardine del diritto processuale: le impugnazioni devono essere mirate e devono affrontare punto per punto le ragioni della decisione che si intende contestare. Non è sufficiente una critica generica o l’invocazione di principi di diritto non pertinenti al caso concreto.
Le conclusioni
L’ordinanza è un monito per gli operatori del diritto sull’importanza di redigere atti di impugnazione chiari, specifici e pertinenti. La mancata contestazione di un elemento chiave della motivazione di una sentenza, come in questo caso l’abitualità del comportamento, rende il motivo di gravame inefficace e destinato all’inammissibilità. Per l’imputata, ciò ha comportato la conferma definitiva della condanna e l’obbligo di pagare le spese processuali e una somma in favore della Cassa delle ammende, senza che la sua richiesta di non punibilità potesse essere esaminata nel merito dalla Suprema Corte.
Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile dalla Corte di Cassazione?
Perché si basava su un precedente motivo di appello che era a sua volta inammissibile per genericità, non avendo contestato in modo specifico la causa ostativa dell’abitualità del comportamento.
Quale elemento ha impedito l’applicazione della causa di esclusione della punibilità prevista dall’art. 131-bis c.p.?
L’elemento ostativo è stato l'”abitualità del comportamento” della ricorrente, che secondo la legge impedisce di riconoscere la particolare tenuità del fatto.
Quale errore è stato commesso nella formulazione del motivo di appello?
L’errore è stato quello di non confrontarsi direttamente con la motivazione della sentenza riguardo all’abitualità e di aver evocato istituti non pertinenti, come la dichiarazione di “abitualità, professionalità o tendenza”, rendendo il motivo vago e generico.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 7983 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 7983 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 29/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a LUNGRO il 30/10/1978
avverso la sentenza del 27/05/2024 della CORTE APPELLO di CATANZARO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Rilevato che l’imputata COGNOME NOME ricorre avverso la sentenza della Corte di appello di Catanzaro che ne ha confermato la condanna per il reato di cui all’art. 494 cod. pen.;
Ritenuto che l’unico motivo di ricorso, che deduce violazione di legge in riferimento alla mancata applicazione della causa di esclusione della punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen., è inammissibile poiché si collega a un precedente motivo di appello che era inammissibile per genericità, in quanto, senza confrontarsi con la causa ostativa della abitualità del comportamento, evocava gli istituti, non pertinenti, della dichiarazione di “abitualità, professionalità o tendenza”;
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 29/01/2025