Esclusione della recidiva: la Cassazione ribadisce i criteri di valutazione
Con l’ordinanza n. 12792/2024, la Corte di Cassazione torna a pronunciarsi su un tema centrale del diritto penale: i criteri per la valutazione e l’eventuale esclusione della recidiva. La decisione offre un’importante occasione per chiarire che la valutazione del giudice non può essere superficiale o basata unicamente su dati temporali, ma richiede un’analisi approfondita del legame tra il passato criminale dell’imputato e il nuovo reato commesso.
I Fatti del Caso
Il caso trae origine dal ricorso presentato da un’imputata avverso una sentenza della Corte d’Appello. L’unico motivo di doglianza riguardava la violazione di legge e il difetto di motivazione in relazione alla mancata esclusione della recidiva contestata. La difesa sosteneva, in sostanza, che il giudice di merito avesse errato nel non escludere l’aggravante, probabilmente basandosi su elementi come il tempo trascorso dalle precedenti condanne o la natura dei reati.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendolo manifestamente infondato. Secondo gli Ermellini, il motivo di ricorso non era proponibile in sede di legittimità, dove il controllo è limitato alla corretta applicazione della legge e non può estendersi a una nuova valutazione dei fatti. La Corte ha inoltre sottolineato che la decisione del giudice di merito era, in realtà, ampiamente e correttamente motivata.
Le Motivazioni: Analisi Concreta per l’Esclusione della Recidiva
Il cuore della pronuncia risiede nelle motivazioni. La Cassazione ha ribadito un principio consolidato nella sua giurisprudenza: la valutazione sulla recidiva non può fondarsi unicamente sulla gravità dei fatti o sull’arco temporale in cui si collocano le precedenti condanne. Il giudice ha il dovere di andare oltre.
Il magistrato deve, infatti, esaminare in concreto, avvalendosi dei criteri guida forniti dall’art. 133 del codice penale (gravità del danno, intensità del dolo, ecc.), il rapporto specifico tra il reato sub iudice (quello per cui si procede) e le condanne passate. Lo scopo è verificare se, e in che misura, la pregressa condotta criminale sia sintomo di una ‘perdurante inclinazione al delitto’. In altre parole, il giudice deve accertare se il passato criminale abbia agito come un fattore criminogeno, influenzando la commissione del nuovo reato.
Nel caso specifico, la Corte ha rilevato che il giudice di merito aveva seguito proprio questo percorso logico, motivando in modo adeguato le ragioni per cui la recidiva non poteva essere esclusa. Di conseguenza, il ricorso, non potendo contestare questa valutazione di merito, è stato respinto.
Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche
Questa ordinanza rafforza l’idea che la recidiva non è un automatismo. La sua applicazione o esclusione richiede un’indagine giudiziale attenta e personalizzata. Per la difesa, ciò significa che non è sufficiente appellarsi al tempo trascorso per ottenere l’esclusione della recidiva, ma è necessario argomentare sul perché le precedenti condanne non siano indicative di una maggiore pericolosità sociale attuale o di un’inclinazione a delinquere collegata al nuovo fatto. Per i giudici, la decisione è un monito a motivare sempre in modo puntuale e approfondito le proprie scelte sulla recidiva, ancorandole a un’analisi concreta della biografia criminale dell’imputato e del suo legame con il reato oggetto del giudizio.
La valutazione per l’esclusione della recidiva può basarsi solo sulla gravità dei fatti o sul tempo trascorso?
No, secondo la Corte di Cassazione, la valutazione non può fondarsi esclusivamente su questi elementi. Il giudice è tenuto a esaminare in concreto il rapporto esistente tra il fatto per cui si procede e le condanne precedenti.
Quali criteri deve usare il giudice per decidere sulla recidiva?
Il giudice deve applicare i criteri indicati dall’art. 133 del codice penale per verificare se la condotta criminale pregressa sia indicativa di una ‘perdurante inclinazione al delitto’ che abbia agito come fattore criminogeno per la commissione del nuovo reato.
Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso in Cassazione per manifesta infondatezza?
La dichiarazione di inammissibilità comporta, oltre al rigetto del ricorso, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende, che in questo caso è stata fissata in tremila euro.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 12792 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 12792 Anno 2024
Presidente: COGNOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 12/12/2023
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a ROMA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 27/03/2023 della CORTE APPELLO di ROMA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di COGNOME NOME;
ritenuto che l’unico motivo di ricorso, con il quale si deduce la violazione di legge e il difetto di motivazione in ordine all’omessa esclusione della recidiva contestata, non è consentito in sede di legittimità ed è manifestamente infondato;
che il giudice di merito, a pagine 2 e 3, ha ampaimente motivato sul punto facendo corretta applicazione dei principi della giurisprudenza di legittimità secondo cui la valutazione del giudice non può fondarsi esclusivamente sulla gravità dei fatti e sull’arco temporale in cui questi risultano consumati, essendo egli tenuto ad esaminare in concreto, in base ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen. il rapporto esistente tra il fatto per cui si procede e le precedenti condanne, verificando se ed in quale misura la pregressa condotta criminosa sia indicativa di una perdurante inclinazione al delitto che abbia influito quale fattore criminogeno per la commissione del reato “sub iudice”;
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, in data 12 dicembre 2023 Il Consigliere estensore COGNOME Il Preserte