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Esclusione della recidiva: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato che chiedeva l’esclusione della recidiva. La Corte ha ribadito che la valutazione della recidiva non può basarsi sul solo riscontro formale dei precedenti penali. Il giudice deve verificare in concreto se la reiterazione del reato sia sintomo di una maggiore pericolosità sociale, considerando la natura dei reati, la loro vicinanza temporale e la personalità dell’autore. In questo caso, la commissione di un nuovo reato a solo un mese di distanza ha giustificato la conferma dell’aggravante.

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Pubblicato il 24 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Valutazione della Recidiva: Oltre il Certificato Penale

L’applicazione della recidiva nel diritto penale è un tema complesso che va oltre la semplice constatazione di precedenti condanne. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ci offre l’occasione per approfondire i criteri che guidano i giudici in questa delicata valutazione, chiarendo perché non sempre è possibile ottenere l’esclusione della recidiva. La decisione sottolinea l’importanza di un’analisi sostanziale della condotta e della personalità del reo, piuttosto che un mero automatismo basato sul certificato penale.

I Fatti del Caso: La Contestazione della Recidiva

Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda un ricorso presentato da un imputato contro la sentenza della Corte d’Appello che aveva confermato la sussistenza dell’aggravante della recidiva. Il ricorrente lamentava una violazione di legge e un vizio di motivazione, sostenendo che i giudici di merito non avessero correttamente valutato i presupposti per l’applicazione di tale aggravante.

In sostanza, la difesa chiedeva che la recidiva venisse esclusa, ritenendo che i precedenti penali non fossero sufficienti a dimostrare una maggiore pericolosità sociale o una più spiccata capacità a delinquere.

La Decisione della Cassazione sull’Esclusione della Recidiva

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando in toto la decisione della Corte d’Appello. Gli Ermellini hanno stabilito che la sentenza impugnata si era attenuta scrupolosamente ai principi consolidati dalla giurisprudenza di legittimità, in particolare quella delle Sezioni Unite.

La Corte ha specificato che la valutazione sulla recidiva non può essere un atto formale, ma deve tradursi in una verifica concreta e sostanziale. Il giudice non deve limitarsi a prendere atto dell’esistenza di precedenti, ma deve accertare se la nuova condotta illecita sia un reale sintomo di riprovevolezza e pericolosità dell’autore.

Le Motivazioni: Una Valutazione Concreta e Non Formale

La motivazione della Suprema Corte si fonda su un principio cardine: l’analisi della recidiva richiede un’indagine approfondita su diversi elementi. Il giudice deve considerare:

* La natura dei reati: Valutare la tipologia e la gravità dei crimini commessi, sia quelli precedenti che quelli attuali.
* La consecuzione temporale: La distanza di tempo tra i vari reati è un indicatore fondamentale. Una ricaduta a breve distanza, come nel caso di specie dove l’ultimo fatto era distante appena un mese, è un forte segnale di una persistente inclinazione al crimine.
* La genesi della ricaduta: Comprendere le cause e le modalità che hanno portato alla reiterazione del reato.
* La personalità del reo: Analizzare ogni parametro significativo che possa descrivere la personalità e il grado di colpevolezza dell’imputato.

Nel caso specifico, la Corte d’Appello non si era fermata ai soli precedenti penali, ma li aveva messi in relazione con la rinnovata condotta delittuosa e con l’elemento cronologico. La strettissima vicinanza temporale tra i fatti è stata interpretata come espressione di una ‘più accentuata capacità a delinquere’, rendendo la motivazione logica e incensurabile in sede di legittimità.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa ordinanza ribadisce un concetto fondamentale per chiunque si confronti con il diritto penale: la recidiva non è un’etichetta automatica. La sua applicazione o la sua esclusione dipendono da un giudizio ponderato che il giudice è tenuto a compiere, motivando adeguatamente la propria decisione. Per la difesa, ciò significa che non è sufficiente contestare genericamente la presenza di precedenti, ma è necessario argomentare su elementi concreti (come la grande distanza temporale, la diversa natura dei reati o un percorso di reinserimento sociale) che possano dimostrare come la nuova condotta non sia espressione di una maggiore pericolosità sociale. Per l’imputato, la decisione comporta non solo la conferma dell’aggravante, ma anche la condanna al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende, a causa dell’inammissibilità del ricorso.

Quando un giudice deve applicare l’aggravante della recidiva?
Il giudice deve applicare la recidiva quando, dopo un’attenta valutazione, ritiene che la reiterazione dell’illecito da parte di un soggetto già condannato sia un sintomo effettivo di riprovevolezza della condotta e di pericolosità sociale. Non è un automatismo.

È sufficiente avere precedenti penali per essere considerati recidivi?
No. Secondo la Corte, il mero e indifferenziato riscontro formale dell’esistenza di precedenti penali non è sufficiente. Il giudice deve compiere una verifica in concreto, analizzando la natura dei reati, la loro vicinanza nel tempo, la personalità del reo e altri parametri significativi.

Cosa ha considerato decisivo la Corte in questo caso per non escludere la recidiva?
La Corte ha ritenuto decisiva la stretta vicinanza temporale tra i reati. La nuova condotta delittuosa, commessa a solo un mese di distanza dai fatti oggetto del giudizio precedente, è stata considerata una chiara espressione di una ‘più accentuata capacità a delinquere’, giustificando così la conferma dell’aggravante.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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