Esclusione della Recidiva: Quando il Giudice Può Dire di No?
L’istituto della recidiva nel diritto penale rappresenta un tema delicato, che bilancia la necessità di punire più severamente chi reitera nel crimine con l’esigenza di una valutazione personalizzata della condotta. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce i criteri che il giudice deve seguire per decidere sulla richiesta di esclusione della recidiva, sottolineando l’importanza di un’analisi concreta e non automatica.
I Fatti del Caso
Il caso trae origine dal ricorso presentato da un individuo condannato dalla Corte d’Appello di Bologna. Il ricorrente aveva impugnato la sentenza di merito, lamentando una violazione di legge e un difetto di motivazione in relazione al rigetto della sua richiesta di escludere la recidiva. Sostanzialmente, riteneva che i giudici non avessero adeguatamente considerato le circostanze per non applicare l’aggravante legata ai suoi precedenti penali.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Settima Sezione Penale della Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato e, di conseguenza, inammissibile. La Corte ha confermato la decisione dei giudici di merito, ritenendo che avessero applicato correttamente i principi consolidati della giurisprudenza di legittimità. Il ricorrente è stato quindi condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro a favore della Cassa delle ammende.
Le Motivazioni: la corretta valutazione per l’esclusione della recidiva
Il cuore dell’ordinanza risiede nelle motivazioni che hanno portato alla conferma della decisione impugnata. La Cassazione ribadisce un principio fondamentale: la valutazione del giudice sulla recidiva non può essere superficiale o limitarsi a elementi parziali.
In particolare, il giudice non può basare la sua decisione esclusivamente su:
1. La gravità dei fatti: la serietà del nuovo reato o di quelli passati non è, da sola, un elemento sufficiente.
2. L’arco temporale: il tempo trascorso tra i vari reati non è l’unico parametro da considerare.
Il compito del giudice è, invece, quello di condurre un esame approfondito e concreto, utilizzando i criteri guida dell’articolo 133 del codice penale (relativi alla gravità del reato e alla capacità a delinquere del colpevole). L’obiettivo è verificare se esista un legame effettivo tra il reato sub iudice (quello per cui si sta procedendo) e le condanne precedenti.
Il giudice deve accertare se e in quale misura la condotta criminale passata sia indicativa di una “perdurante inclinazione al delitto”. In altre parole, deve capire se i precedenti penali abbiano agito come un “fattore criminogeno” che ha influenzato la commissione del nuovo reato. Nel caso specifico, la Corte d’Appello aveva correttamente richiamato i “plurimi e specifici precedenti” e la “pericolosità emergente” dalla commissione del nuovo fatto, motivando adeguatamente la scelta di non escludere la recidiva.
Le Conclusioni
Questa ordinanza rafforza l’idea che l’applicazione o l’esclusione della recidiva non è un automatismo, ma il risultato di un’attenta valutazione discrezionale del giudice. La decisione non può fondarsi su meri calcoli temporali, ma deve scaturire da un’analisi della personalità del reo e del nesso che lega la sua storia criminale al nuovo delitto. Per la difesa, ciò significa che la richiesta di esclusione della recidiva deve essere supportata da elementi concreti che dimostrino l’assenza di un collegamento sintomatico di una persistente tendenza a delinquere, andando oltre la semplice distanza temporale dai precedenti.
Su quali basi il giudice può decidere di non escludere la recidiva?
Il giudice non deve basare la sua valutazione esclusivamente sulla gravità dei fatti o sull’arco temporale in cui sono stati commessi. Deve, invece, esaminare in concreto il rapporto tra il nuovo reato e le precedenti condanne, secondo i criteri dell’art. 133 del codice penale, per verificare se la condotta pregressa sia indicativa di una perdurante inclinazione al delitto.
L’esclusione della recidiva è un diritto automatico per l’imputato?
No, l’ordinanza chiarisce che non si tratta di un automatismo. La valutazione è rimessa al giudice di merito, che ha il compito di analizzare se i precedenti penali abbiano agito come fattore criminogeno, influenzando la commissione del nuovo reato.
Quali sono state le conseguenze per il ricorrente in questo specifico caso?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile. Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 10610 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 10610 Anno 2025
Presidente: IMPERIALI NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 18/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a REGGIO NELL’EMILIA il 26/09/1969
avverso la sentenza del 05/06/2024 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di COGNOME Stefano;
ritenuto che l’unico motivo di ricorso, che deduce violazione di legge e difetto di motivazione in ordine al rigetto della richiesta di esclusione della recidiva, è manifestamente infondato;
che il giudice di merito ha fatto corretta applicazione (si veda, in particolare, pag. 4 della sentenza impugnata dove si richiamano i plurimi e specifici precedenti e la pericolosità emergente dalla commissione del reato per cui si procede) dei principi della giurisprudenza di legittimità secondo cui la valutazione del giudice non può fondarsi esclusivamente sulla gravità dei fatti e sull’ arco temporale in cui questi risultano consumati, essendo egli tenuto ad esaminare in concreto, in base ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen., il rapporto esistente tra il fatto per c procede e le precedenti condanne, verificando se ed in quale misura la pregressa condotta criminosa sia indicativa di una perdurante inclinazione al delitto che abbia influito quale fattore criminogeno per la commissione del reato “sub iudice”;
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, il 18 febbraio 2025.