Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 10632 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 6 Num. 10632 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 14/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME, nato il DATA_NASCITA a Filandari avverso la sentenza in data 11/01/2023 della Corte di cassazione, Seconda Sezione
visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
NOME COGNOME, tramite il suo difensore, ha presentato ricorso ai sensi dell’art. 625-bis cod. proc. pen., avverso la sentenza della Corte di cassazione, Seconda Sezione, in data 11/01/2023, con cui era stato rigettato il ricorso avverso la condanna per il delitto di cui all’art. 416-bis cod. pen., pronunciata in sede di rinvio dalla Corte di appello di Catanzaro.
Deduce errore percettivo della Corte di cassazione nell’apprezzamento di taluni dati fattuali e nella considerazione dei motivi di impugnazione, ferma
restando l’impropria valutazione unitaria dei motivi di ricorso presentati dagli imputati NOME COGNOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, le cui posizioni non erano sovrapponibili.
In particolare la Corte di cassazione ha erroneamente rilevato la presenza di giudicati esterni, in nessuno dei quali era rilevata l’esistenza di una cosca COGNOME, fermo restando che la sentenza nei confronti di NOME, dopo l’annullamento con rinvio, non era divenuta irrevocabile, in attesa del nuovo giudizio, che la sentenza nei confronti di NOME COGNOME aveva sancito l’esclusione dell’aggravante di cui all’art. 628, comma terzo, n. 3, cod. pen., che la sentenza di condanna nei confronti di NOME, NOME, NOME e NOME COGNOME per narcotraffico non aveva caratterizzazione mafiosa, che la sentenza nei confronti di COGNOME NOME per tentate estorsioni non aveva prospettato la commissione del fatto da parte di soggetto appartenente ad associazione mafiosa.
La Corte aveva invece preternnesso l’unica sentenza riferita ad organizzazione mafiosa, che si era conclusa con sentenza di assoluzione nel procedimento Genesi.
La Corte era incorsa in errore percettivo nell’inquadramento diacronico delle dichiarazioni dei collaboratori: dopo aver preso atto dell’inutilizzabilità di quelle COGNOME, aveva rilevato che NOME aveva riferito di fatti fino al 2000 e di contatti connessi al traffico di stupefacenti e una conoscenza diretta di alcuni protagonisti, ma, oltre il fatto che il collaboratore non aveva parlato di NOME e aveva fatto riferimento inattendibilmente a NOME COGNOME, la Corte non aveva considerato che nel processo i fatti rilevanti erano quelli tra il 2007 e il 2012.
Quanto alle dichiarazioni di COGNOME e COGNOME, dalle stesse avrebbe potuto solo desumersi l’esistenza del clan ma senza che potessi dirsi suffragata la partecipazione del ricorrente nell’arco temporale rilevante.
Ma la Corte di cassazione aveva ritenuto corretto l’inquadramento del ricorrente nel clan attivo nel traffico di stupefacenti e nelle estorsioni, sebbene non vi fossero state contestazioni in materia di stupefacenti e fosse stata confermata l’assoluzione del ricorrente dai fatti estorsivi contestati.
Ed ancora non aveva considerato l’argomento incentrato sul fatto che nel processo Nemea, riferito alla cosca RAGIONE_SOCIALE per fatti successivi al 2017, il ricorrente non era stato imputato.
Si trattava di elemento che con il giudicato assolutorio relativo a fatti fino al 1995 era in grado di smentire l’attendibilità dei collaboratori di giustizia.
Di qui la configurabilità di errori percettivi rilevanti nella valutazione dei moti di ricorso.
3. Il ricorso è inammissibile in quanto proposto per ragioni diverse da quelle contemplate dall’invocato art. 625-bis cod. proc. pen.
3.1. E’ noto che «l’errore di fatto verificatosi nel giudizio di legittimità oggetto del rimedio previsto dall’art. 625-bis cod. proc. pen. consiste in un errore percettivo causato da una svista o da un equivoco in cui la Corte di cassazione sia incorsa nella lettura degli atti interni al giudizio stesso e connotato dall’influenz esercitata sul processo formativo della volontà, viziato dall’inesatta percezione delle risultanze processuali che abbia condotto a una decisione diversa da quella che sarebbe stata adottata senza di esso» (Sez. U, n. 16103 del 27/03/2002, Basile, Rv. 221280).
D’altro canto, è stato rilevato che «in tema di ricorso straordinario, qualora la causa dell’errore non sia identificabile esclusivamente in una fuorviata rappresentazione percettiva e la decisione abbia comunque contenuto valutativo, non è configurabile un errore di fatto, bensì di giudizio, come tale escluso dall’orizzonte del rimedio previsto dall’art. 625-bis cod. proc. pen.» (Sez. U, n. 18651 del 26/03/2015, COGNOME, Rv. 263686; Sez. U, n. 37505 del 14/07/2011, COGNOME, Rv. 250527).
Ed ancora è stato più volte sottolineato che «in tema di ricorso straordinario per errore di fatto, l’errore che può essere rilevato ai sensi dell’art. 625-bis cod. proc. pen. è solo quello decisivo, che abbia condotto ad una pronunzia diversa da quella che sarebbe stata adottata se esso non si fosse verificato» (Sez. 6, n. 14296 del 20/03/2014, Apicella, Rv. 259503).
3.2. A tale stregua deve rilevarsi che le deduzioni difensive non sono consentite in questa sede, in quanto volte non tanto a censurare dati fattuali incontrovertibilmente disattesi in ragione di un errore percettivo, quanto a contestare le valutazioni formulate dalla Corte di cassazione in ordine alla linearità e correttezza del ragionamento probatorio, sulla cui base i Giudici di merito hanno riconosciuto la penale responsabilità del ricorrente in ordine al reato di cui all’art 416-bis cod. pen., salvo il riferimento al giudicato riguardante tale COGNOME, che non assume comunque in concreto rilievo decisivo.
Va infatti rimarcato come il giudizio della Corte di cassazione -in rapporto alla configurabilità della responsabilità degli imputati nel periodo cui erano riferite le contestazioni- si sia incentrato sulla riconosciuta concludenza delle risultanze delle conversazioni telefoniche, idonee a delineare un quadro di condotte illecite, anche di tipo estorsivo, ed a far emergere la fama criminale di soggetti riconducibili al gruppo RAGIONE_SOCIALE, suffragata ab externo, dopo l’originaria assoluzione per fatti risalenti a periodo non successivo al 1995, da una pluralità di giudicati e dalle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia, che avevano fatto riferimento anche ad episodi emergenti dalle stesse conversazioni intercettate ed avevano dunque contribuito a delineare l’operatività di quello che era risultato un clan
dedito a varie attività illecite, con i riflessi esterni tipici di un’associazio stampo mafioso.
La Corte di cassazione, nell’esaminare i motivi di ricorso proposti nell’interesse di NOME COGNOME, aveva dato conto degli elementi che risultavano idonei a suffragarne la penale responsabilità nel periodo rilevante, parimenti desunti dalle conversazioni telefoniche e dalle dichiarazioni di alcuni collaboratori, al di là della riconosciuta inutilizzabilità delle dichiarazioni di altri collaboratori.
3.3. A fronte di ciò non è dato riscontrare alcun errore percettivo decisivo, tale da aver concretamente inciso sulla decisione, sviandone l’esito: gli elementi probatori sono stati infatti valutati sulla base di una loro contestualizzazione temporale e in rapporto alla loro riconosciuta concludenza sul piano logicoricostruttivo, non essendo consentita la censura di singole valutazioni, nel quadro di un approccio parcellizzato e di per sé inammissibile, svincolata dal complessivo tenore della motivazione.
Risulta pertanto inconferente ogni deduzione volta a contestare la rilevanza dei giudicati, ritenuti rilevanti, a corredo degli altri elementi, allo scopo suffragare la fama criminale del gruppo, e risulta parimenti precluso il tentativo di riproporre argomenti volti a contestare la concludenza delle dichiarazioni dei collaboratori, a fronte del fatto che è stato dato conto del giudic:ato di assoluzione, rilevante fino al 1995, e che non assume alcun rilievo rispetto al complessivo giudizio la circostanza che NOME COGNOME non risulti imputato in un più recente processo, relativo a fatti successivi.
Poiché il ricorso non è riconducibile all’alveo delineato dall’art. 625-bis cod. proc. pen., lo stesso deve essere dichiarato inammissibile con procedura de plano, da ciò conseguendo la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in ragione dei profili di colpa sottesi alla ragione dell’inammissibilità a quello della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle O P . ” u spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 14/02/2024