Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 23539 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 23539 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 01/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
GLYPH C -9
COGNOME NOME nato a MESSINA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 12/01/2023 della CORTE DI CASSAZIONE di ROMA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del PG NOME COGNOMECOGNOME il quale ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso, e quelle del ricorrente, che ha insistito per l’accogliment del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza n. 16927 del 12 gennaio 2023, la Quinta sezione penale della Corte di cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto da NOME COGNOME avverso quella con cui la Corte di appello di Messina, il 12 febbraio 2021, ha, previa esclusione dell’aggravante dell’avere l’agente commesso il fatto con destrezza, confermato quella di primo grado, di condanna per il reato di furto aggravata dall’esposizione del bene alla pubblica fede e dalla recidiva specifica, reiterata ed infraquinquennale.
NOME COGNOME propone, a mezzo del difensore e procuratore speciale AVV_NOTAIO, ricorso straordinario ex art. 625-bis cod. proc. pen. seguito da una memoria, con allegati, trasmessa il 9 gennaio 2024 – affidato ad un unico motivo, con il quale deduce che il giudice di legittimità sarebbe incorso, nell’esame degli atti processuali, in due errori percettivi, cagionati da sviste o equivoci, tali da incidere sul processo di formazione della volontà e da condurre all’adozione di una decisione che, altrimenti, sarebbe stata di segno diverso.
In tal senso rileva, per un verso, che il giudice di legittimità ha erroneamente affermato che la Corte di appello ha applicato sulla pena base un solo aumento per la recidiva, così ritenendo che il giudice di merito, nel fissare la pena base in un anno e sei mesi di reclusione, ha considerato la cornice edittale prevista dall’art. 624 cod. pen. anziché quella indicata dal successivo art. 625 cod. pen., applicabile in forza della confermata sussistenza dell’aggravante dell’esposizione del bene alla pubblica fece.
Evidenzia, sotto altro aspetto, che frutto di ulteriore svista deve ritenersi l’individuazione, da parte della Corte di cassazione, della circostanza più grave nella recidiva qualificata che, in realtà, determina, rispetto alla pena base prevista dall’art. 624 cod. pen., un aumento di pena più contenuto rispetto a quello che consegue all’applicazione della cornice edittale propria dell’art. 625 cod. pen..
Disposta la trattazione scritta ai sensi dell’art. 23, comma 8, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, il Procuratore generale ha chiesto, con requisitoria del 12 gennaio 2024, dichiararsi l’inammissibilità del ricorso, mentre COGNOME ha insistito, con atto del 26 gennaio 2024, per il suo accoglimento.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato e, pertanto, passibile di rigetto.
È pacifico, in giurisprudenza, che «L’errore materiale e l’errore di fatto, indicati dall’art. 625-bis cod. proc. pen. come motivi di possibile ricorso straordinario avverso provvedimenti della corte di cassazione, consistono, rispettivamente, il primo nella mancata rispondenza tra la volontà, correttamente formatasi, e la sua estrinsecazione grafica; il secondo in una svista o in un equivoco incidenti sugli atti interni al giudizio di legittimità, il contenuto viene percepito in modo difforme da quello effettivo, sicché rimangono del tutto estranei all’area dell’errore di fatto – e sono, quindi, inoppugnabili – g errori di valutazione e di giudizio dovuti ad una non corretta interpretazione degli atti del processo di cassazione, da assimilare agli errori di diritto conseguenti all’inesatta ricostruzione del significato delle norme sostanziali e processuali» (Sez. 5, n. 29240 del 01/06/2018, COGNOME, Rv. 273193; Sez. 3, n. 47316 del 01/06/2017, COGNOME, Rv. 271145).
Nel caso in esame, il ricorrente, con il primo motivo, attribuisce la veste di errori percettivi a circostanze che, invece, la Corte di cassazione ha debitamente considerato nel vaglio dei motivi di ricorso da lui articolati.
Dalla sentenza della Corte di appello di Messina del 12 febbraio 2021 si evince, invero, che il giudice di merito, esclusa la circostanza aggravante dell’avere COGNOME commesso il fatto (consistito nella sottrazione di beni da un esercizio commerciale) con destrezza, ha confermato la sua penale responsabilità per il delitto di furto aggravato dalla commissione del fatto su cosa esposta alla pubblica fede e, tenuto conto dell’applicazione di un’unica aggravante (si legge, invero, in quel provvedimento: «Esclusa la circostanza aggravante della destrezza, il furto non è più pluriaggravato»), ha rideterminato la pena partendo dalla pena base di un anno e sei mesi di reclusione e 450 euro di multa, applicando l’aumento di due terzi per la recidiva reiterata, specifica ed infraquinquennale e riducendo infine, la sanzione di un terzo per la scelta del rito.
Avendo l’imputato eccepito, con il secondo motivo del ricorso per cassazione avverso la sentenza di secondo grado, che la congiunta operatività dell’aggravante ex art. 625, primo comma, n. 7), cod. pen. e della recidiva qualificata, da considerarsi entrambe alla stregua di aggravanti ad effetto speciale, avrebbe imposto il rispetto del criterio moderatore stabilito dall’art. 63, quarto comma, cod. pen. e, quindi, il contenimento dell’aumento per la recidiva in misura non superiore al terzo, la Corte di cassazione ha replicato che «la Corte
territoriale ha correttamente applicato sulla pena base solo l’aumento per la contestata più grave aggravante della recidiva».
Così facendo, ha mostrato, nel riferirsi alla «contestata più grave aggravante», di avere percepito, da un canto, che, nella fattispecie, si era al cospetto di una pluralità di fattori idonei ad incidere sul trattamento sanzionatorio e ritenuto, dall’altro, la maggiore gravità della recidiva rispetto alla circostanza ex art. 625 cod. pen..
La Corte di cassazione, subito dopo, ha osservato che il giudice di merito si è determinato «in ossequio al criterio moderatore di divieto del cumulo materiale sancito dall’art. 63, comma 4, cod. pen., che prevedere quanto segue: “Se concorrono più circostanze tra quelle indicate nel secondo capoverso di questo articolo, si applica soltanto la pena stabilita per la circostanza più grave; ma il giudice può aumentarla”».
Considerato, quindi, che la pena base fissata dalla Corte di appello rientra nel range edittale del furto semplice, deve ragionevolmente inferirsi che, nella prospettiva della Corte di cassazione, il giudice di appello ha apportato, sulla pena stabilita ai sensi dell’art. 624 cod. pen., un unico aumento per la recidiva e non si è, invece, avvalso della facoltà di applicare un ulteriore incremento per la residua circostanza aggravante.
Rebus sic stanbbus, è del tutto evidente che si è al cospetto di valutazioni orientate dalla considerazione delle evidenze disponibili – anziché, come sostenuto dal ricorrente, da errori percettivi – sicché risulta preclusa in radice, a prescindere dall’eventuale opinabilità, in diritto, della soluzione adottata, l’enucleazione di un errore di fatto che abbia inciso sulla decisione del giudice di legittimità.
A dispetto di quanto obiettato dal ricorrente, deve, pertanto, ribadirsi che il giudice di legittimità ha avuto precisa contezza delle determinazioni adottate da quelli di merito, che lo hanno indotto a disattendere l’impugnazione sulla base di argomentazioni che discendono, come già detto, dalla riconosciuta concorrenza di due aggravanti ad effetto speciale e dalla ritenuta, maggiore gravità della recidiva qualificata.
Ne discende che la Corte di cassazione ha stimato la legittimità dell’applicazione, da parte della Corte di appello, di un unico aumento per la recidiva, in tal modo esprimendo una valutazione di ordine giuridico, non influenzata dal ventilato, ed insussistente, errore percettivo.
6. Dal rigetto del ricorso discende la condanna di COGNOME al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616, comma 1, primo periodo, cod. proc. pen..
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 01/02/2024.