Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 12368 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 12368 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 07/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a MELITO DI PORTO SALVO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 13/01/2023 della CORTE DI CASSAZIONE di ROMA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del AVV_NOTAIO NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 13 gennaio 2023, la Corte di Cassazione, sezione quinta penale, ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto da NOME COGNOME avverso la pronuncia, in data 8 marzo 2021, con cui la Corte di appello di Reggio Calabria lo aveva riconosciuto colpevole del reato di cui all’art. 74, commi 2, 3 e 4, T.u. stup.
COGNOME ricorre, ai sensi dell’art. 625-bis, cod. proc. pen, a mezzo del difensore di fiducia AVV_NOTAIO, eccependo errore percettivo di fatto.
Lamenta che il Giudice di legittimità ha escluso l’ammissibilità del motivo relativo alla denegata concessione delle attenuanti generiche per la genericità della censura originariamente dedotta sul medesimo punto con l’atto di appello.
Al contrario, COGNOME, come risulta dal contenuto globale dell’atto di appello, allegato ai fini dell’autosufficienza del ricorso, non si era limitato ad invocare l concessione del beneficio in ragione della condizione di incensurato, ma aveva posto a fondamento della richiesta sia il principio del “giusto equilibrio della sanzione” nel giudizio di bilanciamento con le aggravanti, che avrebbe imposto di differenziare la sua posizione processuale rispetto a quella degli altri coimputati, chiamati a rispondere, oltre che del reato associativo, di reati fine particolarmente gravi, sia la positiva personalità, desunta da specifiche circostanze, quale la denuncia del furto dell’autovettura nonostante l’appartenenza ad una comunità Rom e la condotta tenuta durate un controllo delle Forze dell’ordine, allorquando aveva invitato i presenti a non molestare i carabinieri.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso straordinario è inammissibile.
Preliminarmente deve essere rigettata la richiesta di rinvio presentata dal difensore che ha dichiarato di aderire all’astensione collettiva dalle udienze proclamata dalle Camere penali.
Il presente procedimento segue le forme del cd. “rito camerale non partecipato” ex art. 610, comma 1 e 611 cod. proc. pen. Ne consegue che è priva di effetti l’istanza di rinvio presentata dal difensore che dichiari di aderir all’astensione collettiva proclamata dai competenti organismi di categoria, non avendo l’istante diritto di partecipare all’udienza camerale (Sez. 5, n. 26764 del 20/04/2023, Dalla Tomba, Rv. 284786 – 01, in motivazione la Corte ha precisato che il rinvio può essere concesso solo in relazione ad atti o adempimenti per i quali sia prevista la presenza del difensore e che, dunque, in caso di trattazione scritta, rimangono del tutto irrilevanti, ai fini dell’accoglimento dell’istanza, ulterio circostanze quali la data di scadenza del termine previsto per la trasmissione delle conclusioni o se tale termine ricada nel periodo di astensione).
Passando al merito, occorre in premessa ricordare le indicazioni offerte da consolidati orientamenti della giurisprudenza di legittimità in tema di ricorso straordinario.
L’errore di fatto verificatosi nel giudizio di legittimità e oggetto del rimedi previsto dall’art. 625- bis cod. proc. pen. consiste in un errore percettivo causato da una svista o da un equivoco in cui la Corte di cassazione sia incorsa nella lettura degli atti interni al giudizio stesso e connotato dall’influenza esercitata sul processo formativo della volontà, viziato dall’inesatta percezione delle risultanze processuali
che abbia condotto a una decisione diversa da quella che sarebbe stata adottata senza di esso, sicché qualora la causa dell’errore non sia identificabile esclusivamente in una fuorviata rappresentazione percettiva e la decisione abbia comunque contenuto valutativo, non è configurabile un errore di fatto, bensì di giudizio, mentre sono estranei all’ambito di applicazione dell’istituto gli errori di interpretazione di norme giuridiche, sostanziali o processuali, ovvero la supposta esistenza delle norme stesse o l’attribuzione ad esse di una inesatta portata, anche se dovuti ad ignoranza di indirizzi giurisprudenziali consolidati, nonché gli errori percettivi in cui sia incorso il giudice di merito, dovendosi questi ultimi far valer – anche se risoltisi in travisamento del fatto – soltanto nelle forme e nei limiti dell impugnazioni ordinarie (Sez. U. n. 16103 del 27/03/2002, Basile, Rv. 221280).
L’omessa motivazione in ordine ad uno o più motivi di ricorso per cassazione non dà luogo a errore di fatto rilevante a norma dell’art. 625-bis cod. proc. pen., allorché il motivo proposto debba considerarsi implicitamente disatteso, ovvero qualora l’omissione sia soltanto apparente, risultando le censure formulate con il relativo motivo assorbite dall’esame di altro motivo preso in considerazione, o, ancora, quando l’omesso esame del motivo non risulti decisivo, in quanto da esso non discenda, secondo un rapporto di derivazione causate necessaria, una decisione incontrovertibilmente diversa da quella che sarebbe stata adottata se il motivo fosse stato considerato; in tale ultima ipotesi, è onere del ricorrente dimostrare che la doglianza non riprodotta era, contro la regola di cui all’art. 173 disp. att. cod. proc. pen., decisiva e che il suo omesso esame è conseguenza di un sicuro errore di percezione (Sez. 2, n. 53657 del 17/11/2016, Macrì, Rv. 268982). D’altra parte, l’omesso esame di un motivo di ricorso per cassazione non può dare luogo a un errore di fatto rilevante a norma dell’art. 625-bis cod. proc. pen. allorché l’omissione non abbia avuto carattere decisivo, in quanto la pronuncia non poteva comunque essere diversa da quella adottata (Sez. 1, n. 15422 del 10/02/2010, Cillari, Rv. 247236; conf., ex plurimis, Sez. 6, n. 14296 del 20/03/2014, Apicella, Rv. 259503). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Tanto premesso, appare evidente che l’errore dedotto non rientri nella nozione di errore percettivo o di fatto nei termini intesi dalla giurisprudenza di questa Corte.
La sentenza della quinta sezione di questa Corte di cassazione ha dichiarato inammissibile il motivo relativo alle circostanze attenuanti generiche osservando che ” … l’appellante non aveva censurato specificamente la decisione di primo grado sul punto, limitandosi ad invocare la concessione delle attenuanti generiche e richiamando la incensuratezza del COGNOME laddove per espressa disposizione di legge la concessione delle circostanze attenuanti generiche non può fondarsi
sull’assenza di precedenti penali. Si tratta di un motivo generico e, perciò, geneticamente inammissibile, che la Corte territoriale poteva non prendere in considerazione, trattandosi di una ipotesi riconducibile ad una causa di inammissibilità originaria, quantunque parziale, dell’impugnazione promossa contro altri capi della sentenza (Sez. U.n.8825 del 27/10/2016, dep.2017, Galtelli, Rv.268822).”.
Sostiene il ricorrente che l’atto di appello, ove esamiNOME nel suo complesso e non solo nella parte espressamente dedicata alle circostanze ex art. 62 bis cod. pen., non aveva un contenuto generico ma contestava il mancato riconoscimento del beneficio con argomenti specifici e puntuali riferimenti alle evidenze probatorie e che pertanto il giudice di legittimità ha posto a fondamento della decisione sul piano un presupposto erroneo.
Ad essere denunciato non è, dunque, un errore di fatto ma un’erronea valutazione giuridica sulle condizioni di ammissibilità dell’appello peraltro fondata su una interpretazione dell’atto di impugnazione non disancorata dal suo contenuto, letterale ed esplicito. In ogni caso, l’errore dedotto non ha carattere decisivo. Infatti, nel motivo del ricorso originario relativo alle circostanz attenuanti generiche, trascritto a pag. a pag. 7 della sentenza di cui si chiede l’emenda, non si formulavano censure motivazionali ai sensi dell’art. 606, lett. e), cod. proc. pen., ma si sollecitava, nella sostanza, un diverso esercizio del potere discrezionale, riservato al giudice del merito, in modo da attribuire rilevanza ad elementi quali “l’unico e non grave precedente penale, lo svolgimento di attività lavorativa e le precarie condizioni di salute”, considerati più preganti rispetto a quelli valorizzati in chiave negativa.
All’inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e – per i profili di colpa correlati all’irritualità dell’impugnazione (C. Cost. n. 186 del 2000 di una somma in favore della Cassa delle ammende nella misura che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile firicorse e condanna iericorrenteal pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, in Roma il 7 febbraio 2024.