Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 5851 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 5851 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 03/12/2024
SENTENZA
Sui ricorsi proposti da
COGNOME Carlo nato a Teano il 09/12/1990 rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME di fiducia
COGNOME Luca nato a Teano il 26/04/1994 rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME di fiducia
COGNOME NOME nato a Formia il 30/08/1993 rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME di fiducia
COGNOME NOME nato a Caserta il 12/01/1993 rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME di fiducia
avverso la sentenza del 24/05/2024 della Corte di appello di Napoli, terza sezione penale;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
preso atto che non è stata richiesta dalle parti la trattazione orale ai sensi degli artt. 611, comma 1-bis cod. proc. pen., 23, comma 8, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito con modificazioni dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, prorogato
in forza dell’art. 5 -duodecies del d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 2022, n. 199 e, da ultimo, dall’art. 17 del d.l. 22 giugno 2023, n. 75, convertito con modificazioni dalla legge 10 agosto 2023, n. 112 e che, conseguentemente, il procedimento viene trattato con contraddittorio scritto;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria scritta depositata in data 12/11/2024 ex art. 23, comma 8, del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176 e succ. modif., con la quale il Sostituto procuratore generale, NOME COGNOME ha chiesto l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata con rettifica del dispositivo mediante aggiunta della pena pecuniaria indicata in motivazione;
lette le conclusioni scritte depositate in data 20/11/2024 dall’avv. NOME COGNOME difensore dei ricorrenti COGNOME Carlo e COGNOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento dei ricorsi;
lette le conclusioni scritte depositate in data 18/11/2024 dall’avv. NOME COGNOME difensore dei ricorrenti COGNOME NOME e COGNOME NOMECOGNOME che ha chiesto l’accoglimento dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Napoli, in parziale riforma della pronuncia emessa dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere in data 09/05/2023 così statuiva:
-confermava il giudizio di responsabilità nei confronti di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME ed NOME COGNOME per il delitto di rapina commessa in concorso tra loro;
-escludeva l’aggravante di cui all’art. 628, comma terzo n. 3 -quinquies, cod. pen. e, per l’effetto, rideterminava la pena inflitta in anni tre mesi sei di reclusione e euro 516,00 di multa, così si legge nella parte motiva della sentenza che disponeva la correzione dell'”errore materiale” contenuto nel dispositivo letto in udienza, mancante della indicazione della pena pecuniaria.
Hanno proposto ricorso per cassazione gli imputati, tramite i rispettivi difensori fiduciari.
2.1. Nell’interesse di NOME COGNOME NOME e di NOME COGNOME sono proposti due motivi.
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2.1.1. Con il primo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1 lett. b) e c), cod. proc. pen., violazione di legge in relazione agli artt. 546 e 547 del codice di rito.
Rilevano i ricorrenti che la sentenza impugnata è nulla per contrasto tra dispositivo e motivazione.
Il dispositivo letto in udienza recava l’indicazione per tutti gli imputati dell sola pena detentiva, in motivazione era rilevata l’omessa indicazione nello stesso della congiunta sanzione pecuniaria prevista dal legislatore per il delitto di rapina e – ritenuto trattarsi di un mero errore materiale – si procedeva alla correzione dell’errore materiale di detto dispositivo con l’aggiunta delle parole “euro 516,00 di multa per ciascuno”.
Trattasi di rettifica che non poteva essere effettuata con la procedura prevista dall’art. 130 cod. proc. pen. in quanto consistente in una modifica essenziale del dispositivo.
2.1.2. Con il secondo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1 lett. b) ed e), cod. proc. pen., violazione di legge con riferimento agli artt. 62-bis e 133 cod. pen nonché vizio di motivazione in punto di mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche.
La Corte di appello ha negato la diminuente in questione sulla base della ritenuta gravità del fatto, senza considerare la personalità degli imputati (che è uno degli indici di commisurazione della pena previsto dall’art. 133 cod. pen.), in particolare la condotta confessoria.
2.2. Nell’interesse di NOME COGNOME e di NOME COGNOME sono proposti cinque motivi con due separati ricorsi, identici tra loro.
2.2.1. Con il primo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1 lett. b) e c), cod. proc. pen., violazione di legge in relazione agli artt. 546 e 547 codice di rito.
Rileva la difesa ricorrente che la sentenza impugnata è nulla.
Il dispositivo letto in udienza recava l’indicazione per tutti gli imputati dell sola pena detentiva, in motivazione era rilevata l’omessa statuizione in ordine alla congiunta sanzione pecuniaria prevista dal legislatore per il delitto di rapina ed era pertanto effettuata la correzione dell’errore materiale contenuto in detto dispositivo con l’aggiunta delle parole “euro 516,00 di multa per ciascuno”.
Non è suscettibile di correzione di errore materiale l’omessa statuizione in dispositivo della pena pecuniaria prevista ex lege poiché la rettifica determina una modifica essenziale del dispositivo che non è consentita.
La mancata irrogazione della sanzione pecuniaria non rappresenta quindi un errore materiale, bensì un errore di diritto, non emendabile con la procedura prevista dall’art. 130 cod. proc. pen. la quale, peraltro, mai potrebbe comportare il
– come, invece, avvenuto nel caso di specie – una reformatio in peius ove manchi l’impugnazione della pubblica accusa.
La sentenza è pertanto nulla ai sensi dell’art. 546, comma 3, cod. proc. pen., poiché il dispositivo è incompleto nei suoi elementi essenziali.
2.2.2 Con il secondo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1 lett. b) e c), cod. proc. pen., violazione di legge in relazione agli artt. 127 e 130 codice di rito.
Anche qualora si ritenga che l’omessa pronuncia nel dispositivo di sentenza in ordine alla pena pecuniaria costituisca un mero errore materiale e non di diritto, la Corte di appello non ha correttamente applicato le norme processuali relative alla procedura di correzione prevista dagli artt. 127 e 130 cod. proc. pen., avendo provveduto in tal senso de plano senza fissazione della camera di consiglio e relativo avviso alle parti, il che ha determinato una nullità di ordine generale ai sensi dell’art. 178 codice di rito, deducibile con ricorso in cassazione.
Gli imputati vantavano un interesse concreto e attuale al contradditorio camerale perché in tale sede avrebbero potuto documentare le loro condizioni economiche e richiedere l’applicazione di una pena pecuniaria pari al minimo editale.
Neppure è stata data comunicazione, ad opera della cancelleria, della disposta correzione, ancorchè in motivazione tale adempimento fosse stato ordinato.
2.2.3. Con il terzo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1 lett. b) ed e), cod. proc. pen., violazione di legge con riferimento all’art. 62-bis cod. pen nonché vizio di motivazione in punto di mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche.
La Corte di appello, con motivazione puramente di stile e senza alcun richiamo ai parametri normativi previsti dall’art. 133 cod. pen., ha escluso la diminuente non tenendo in alcun conto l’incensuratezza dell’imputato COGNOME il minor apporto di costui nella commissione del reato e la circostanza che la persona offesa non si trovava in condizioni di vulnerabilità. Sia nella pronuncia di primo grado che in quella di appello si è anche evidenziato che gli imputati non hanno serbato un comportamento collaborativo, né hanno mai reso confessione, tale profilo, tuttavia, non vale ad escludere il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
2.2.4. Con il quarto motivo si deduce, ai sensi dell’art. 606 comma 1 lett. b) ed e), cod. proc. pen., violazione di legge con riferimento violazione degli artt. 62 e 194, comma 3, cod. proc. pen., 24 e 111 Cost.
All’udienza dibattimentale di primo grado celebrata il 13 dicembre 2022 erano stati escussi i testimoni di polizia giudiziaria COGNOME NOME e COGNOME NOME ai quali era chiesto di contestualizzare il contenuto delle operazioni di intercettazione
e costoro – così si legge testualmente nel ricorso – hanno “usato la testimonianza come veicolo di impressioni personali e collegamenti soggettivi” allo scopo di giungere alla identificazione degli imputati NOME COGNOME e NOME COGNOME, ai quali, invece, in sede di indagini non si era pervenuti.
2.2.5. Con il quinto motivo si deduce l’estinzione del delitto contestato per prescrizione in quanto, essendo stata esclusa l’aggravante di cui all’art. 628, comma terzo n. 3-quinquies, cod. pen., il termine di dieci anni dalla data del commesso reato era già abbondantemente decorso al momento della pronuncia di secondo grado.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Sono fondate le doglianze contenute nel primo motivo dei ricorsi proposti nell’interesse di NOME COGNOME e NOME COGNOME e nel primo e secondo motivo dei ricorsi proposti nell’interesse di NOME COGNOME e NOME COGNOME: trattasi di censure esaminabili congiuntamente in quanto di contenuto del tutto sovrapponibile. Gli altri motivi proposti sono invece inammissibili per manifesta infondatezza.
1.1. E’ pacifico che la Corte di appello, per effetto della esclusione della circostanza aggravante di cui all’art. 628, comma terzo n. 3-quinquies, cod. pen., ha rideterminato la pena inflitta dal primo giudice indicando nel dispositivo della sentenza letto in udienza la sola pena detentiva di anni tre, mesi sei di reclusione e non anche quella congiunta della multa.
Nel redigere la motivazione, il Collegio ha poi corretto tale dispositivo integrandolo con la componente pecuniaria determinata nel minimo edittale vigente all’epoca del fatto (euro 516,00 di multa), dando atto che – “per mero errore materiale” – era stata omessa e disponendo la comunicazione alle parti di tale statuizione con annotazione della stessa sull’originale del dispositivo.
1.2. La soluzione adottata dai giudici di appello non può essere condivisa.
Va richiamato il maggioritario orientamento di legittimità – che il Collegio condivide e fa proprio – secondo cui l’omessa irrogazione di una pena prevista dalla legge nel dispositivo di una sentenza di condanna integra un errore di diritto e non un errore materiale, in quanto tale non rettificabile – come invece avvenuto nella specie – nè con la procedura di correzione di cui all’art. 130 cod. proc. pen., nè attraverso la motivazione della sentenza medesima, poichè trattasi di lacuna che determina l’incompletezza del dispositivo nei suoi elementi essenziali, a norma dell’art. 546, comma 3, cod. proc. pen.
Si è inoltre affermato che, ove il giudice di merito abbia inflitto una sanzione in contrasto con la previsione di legge ma in senso favorevole all’imputato, si
realizza un errore al quale la Corte di cassazione, in difetto di specifico motivo di gravame da parte del pubblico ministero, non può porre riparo con le formalità di cui all’art. 619 cod. proc. pen., versandosi, appunto, in ipotesi di errore di giudizi e non di errore materiale del computo aritmetico della pena, né in osservanza all’art. 1 cod. pen. ed in forza del compito istituzionale della Corte di cassazione di porre rimedio alle deviazioni da tale disposizione, in quanto la possibilità di correggere in sede di legittimità la illegalità della pena, nella specie o nell quantità, è limitata all’ipotesi in cui l’errore sia avvenuto a danno dell’imputato essendo anche in detta sede non superabile il limite del divieto della “reformatio in peius” (cfr., Sez. 3, n. 19537 del 10/02/2015, COGNOME, Rv. 263638; Sez. 5, n. 44897 del 30/09/2015, COGNOME, Rv. 265529; Sez. 3, n. 34139 del 07/06/2028, COGNOME, Rv. 273677; Sez. 2, n. 30198 del 10/09/2020, COGNOME, Rv. 279905; Sez. 2, n. 22494 del 25/05/2021, NOMECOGNOME Rv. 281453; Sez. 3 n. 30286 del 09/03/2022, COGNOME, Rv. 283650).
Invero, osserva il Collegio che, fuori dai casi di motivazione contestuale al dispositivo della sentenza penale, alla pronuncia di quest’ultimo è affidata la funzione dell’applicazione della legge al fatto contestato all’imputato, mentre la parte motiva non è elemento decisionale ma solo giustificativo e cioè meramente volta alla esplicazione dell’iter logico sotteso alla formazione del convincimento del giudice e quindi alla decisione adottata, essa pertanto riveste esclusivamente la funzione di interpretazione del dispositivo ed è improduttiva di conseguenze giuridiche diverse da quelle coerenti con lo stesso.
Logico corollario di ciò è che le eventuali divergenze tra le due componenti della sentenza possono essere corrette unicamente ove si tratti di quegli errori od omissioni che non comportano una modificazione essenziale del dispositivo, situazione che esula dal caso in esame perché l’omissione, contenuta nel dispositivo, attiene alla mancata irrogazione della pena pecuniaria prevista ex lege.
Tale opzione interpretativa pare, del resto, del tutto coerente con i principi affermati dalle Sezioni Unite di questa Corte (sent. n. 8 del 18/05/1994; COGNOME, Rv. 198543) secondo cui “in tema di correzione degli errori materiali, deve ritenersi esclusa l’applicabilità dell’art. 130 cod. proc. pen., quando la correzione si risolve nella modifica essenziale o nella sostituzione di una decisione già assunta. L’errore, quale che sia la causa che possa averlo determinato, una volta divenuto partecipe del processo formativo della volontà del giudice, non può che diffondere i suoi effetti sulla decisione: ma questa, nella sua organica unità e nelle sue essenziali componenti non può subire interventi correttivi, per quanto ampio significato si voglia dare alla nozione di “errore materiale” suscettibile d correzione; viceversa sono sempre ammissibili gli interventi correttivi imposti
soltanto dalla necessità di armonizzare l’estrinsecazione formale della decisione con il suo reale intangibile contenuto, proprio perché non suscettibili di incidere sulla decisione già assunta”.
In ragione di tali argomentazioni, questo Collegio intende discostarsi dal diverso orientamento (che non si ignora) secondo cui il contrasto tra dispositivo e motivazione non determina nullità della sentenza, ma si risolve con la logica prevalenza dell’elemento decisionale su quello giustificativo, potendosi eliminare eventualmente la divergenza mediante ricorso alla semplice correzione dell’errore materiale della motivazione in base al combinato disposto degli artt. 547 e 130 cod. proc. pen. (cfr., Sez. 5, n. 22736 del 23/03/2011, COGNOME, Rv. 250400; Sez. 6, n. 19851 del 13/04/2016, COGNOME, Rv. 267177; Sez. 6, n. 7980 del 01/02/2017, COGNOME, Rv. 269375) e potendosi comunque rettificare l’errore in sede di legittimità secondo la procedura prevista dall’art. 619 cod. proc. pen. (Sez. 4, n. 26172 del 19/05/2016, COGNOME, Rv. 267153; Sez. 6, n. 24157 del 01/03/2018, COGNOME, Rv. 273269).
In ogni caso, nella specie, la disposta correzione del ritenuto errore materiale è affetta da nullità di ordine generale ex art. 178 cod. proc. pen. in quanto adottata “de plano” e cioè senza fissazione della camera di consiglio a norma dell’art. 127 cod. proc. pen. con previo avviso alle parti consentendo loro di presentare memorie nonché di comparire e di essere sentiti nell’apposita udienza camerale all’uopo fissata (Sez. 3, n. 1460 del 03/12/2008, dep. 2009, Sanna, Rv. 242270; Sez. 1, n. 1674 del 09/01/2013, COGNOME, Rv. 254230; Sez. 3, n. 36350 del 23/03/2015, COGNOME, Rv. 265638; Sez. 4, n. 8612 del 08/02/2022, COGNOME, Rv. 282933).
Dalla motivazione della sentenza impugnata si evince, infatti, con tutta chiarezza, come la Corte di appello abbia disposto una mera comunicazione postuma che i ricorrenti deducono non essere stata neppure materialmente eseguita dalla cancelleria.
Alla luce delle argomentazioni di cui sopra, va pronunciato l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata con riferimento alla pena pecuniaria illegittimamente irrogata agli imputati, che va conseguentemente elisa.
Sono invece inammissibili il secondo motivo dei ricorsi proposti nell’interesse di NOME COGNOME e NOME COGNOME e il terzo motivo dei ricorsi proposti nell’interesse di NOME COGNOME e NOME COGNOME, censure esaminabili congiuntamente in quanto entrambe di contenuto del tutto sovrapponibile e relative al mancato riconoscimento di attenuanti generiche.
La dedotta violazione di legge in relazione agli art. 62-bis e 133 cod. pen. ed il prospettato vizio di motivazione sono manifestamente infondati.
La sentenza impugnata (pag. 7) ha puntualmente motivato in ordine al diniego di tale diminuente evidenziando, da un lato, la gravità del commesso reato (rapina in concorso consumata in danno di persona anziana e particolarmente vulnerabile) e, dall’altra, la negativa personalità degli imputati che avevano concertato tale azione predatoria organizzandola nel dettaglio e rivestendo ciascuno un ben preciso ruolo, indispensabile per la sua effettiva realizzazione, così disattendendo implicitamente le deduzioni difensive svolte nell’atto di appello che – senza alcun riferimento alla condotta confessoria – valorizzavano, quali elementi positivi l’incensuratezza di COGNOME, il minimo contributo causale di COGNOME (ritenuto, invece, di ugual disvalore rispetto a quello dei coimputati), l’occasionalità ed ingenuità della condotta dei due COGNOME.
Va ribadito il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, COGNOME, Rv. 271269; Sez. 3, n. 46463 del 17/09/2029, COGNOME, Rv. 277271) secondo cui, in tema di applicazione delle circostanze attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché non sia contraddittoria e dia conto, come nel caso di specie, degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione. L’esclusione delle circostanze attenuanti generiche è adeguatamente motivata quando il giudice, a fronte di specifica richiesta dell’imputato, indichi delle plausibili ragioni a sostegno del rigetto della richiesta senza che ciò comporti tuttavia la stretta necessità della contestazione o della invalidazione degli elementi sui quali la richiesta stessa si fonda.
E’ inammissibile anche il quarto motivo dedotto nei ricorsi proposti nell’interesse di NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Si lamenta che, in violazione degli art. 62 e 194, comma 3, cod. proc. pen., i testi di polizia giudiziaria COGNOME e COGNOME, escussi all’udienza del 13/12/2022, nel corso della loro deposizione, avevano veicolato “impressioni personali e collegamenti soggettivi” allo scopo di identificare gli imputati negli interlocutor delle conversazioni intercettate.
Il motivo non è consentito per quanto attiene alla posizione dell’imputato COGNOME poiché non proposto nell’atto di appello.
La doglianza rappresentata nel ricorso di COGNOME è, invece, del tutto generica.
In primo luogo, il ricorrente non indica minimamente le parti della testimonianza affette dal dedotto vizio, né allega i relativi verbali stenotipici d quali poterne apprezzare la fondatezza.
In secondo luogo, non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata (pag. 5) con la quale la Corte di appello ha evidenziato l’ininfluenza delle deposizioni rese sul punto dai testimoni COGNOME e COGNOME atteso che, l’identificazione di COGNOME, quale utilizzatore dell’utenza a lui attribuita, fondava sulla annotazione di polizia giudiziaria del 18/01/2023, acquisita in dibattimento con il consenso anche dell’imputato, attestante conversazioni nelle quali erano declinate le sue esatte generalità e registrati contatti con i suoi strett familiari.
E’ infine manifestamente infondato il quinto motivo dedotto nei ricorsi proposti nell’interesse di NOME COGNOME e NOME COGNOME con il quale si rappresenta che, a seguito della esclusione della circostanza aggravante di cui all’art. 628, comma terzo n. 3 -quinquies, cod. pen., il termine di prescrizione del reato contestato era già decorso al momento della pronuncia di secondo grado.
In realtà, nella specie, il delitto di rapina semplice ex art. 628, comma primo, cod. pen., ha come termine massimo di prescrizione (in ragione delle intervenute cause interruttive calcolate nella massima estensione) quello di anni 12 e mesi 6 (anni 10 + 1/4, in assenza di recidiva) e deve farsi decorrere dal giorno della consumazione e cioè dal 18 giugno 2013, non risultando cause di sospensione ex lege.
Ne consegue che il reato in parola si estinguerà, per prescrizione, solo in data 18 dicembre 2025.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente all’erogazione della pena pecuniaria che elimina. Dichiara inammissibili nel resto i ricorsi. Così deciso il 03/12/2024