Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 9418 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 9418 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 24/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOMECOGNOME nato a Ginosa (TA) il 07/10/1960
avverso la sentenza della Corte d’appello di Lecce, sez. dist. di Taranto, del 27/03/2024
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha chiesto l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.Con sentenza del 28 febbraio 2023, il Tribunale di Taranto, dichiarava COGNOME NOME colpevole dei reati di cui ai capi a) e b) rispettivamente per aver effettuato, nella sua qualità di titolare di impresa edile, attività n autorizzata, di raccolta di rifiuti pericolosi (art. 256 d.lgs. n. 152 del 2006) e p aver, nella medesima qualità, istigato un suo dipendente ad appiccare il fuoco a rifiuti pericolosi e non (rifiuti vegetali, secchi di plastica, tubi, carta, carton altro).
La Corte d’appello di Lecce, adita dal ricorrente, in riforma della decisione di primo grado, assolveva COGNOME NOME per il reato ascrittogli al capo b) per
non aver commesso il fatto e per l’effetto, con le già riconosciute circostanze attenuanti generiche, rideterminava la pena per la residua contravvenzione in mesi quattro di reclusione ed euro 2000 di multa.
2.Avverso tale provvedimento COGNOME NOMECOGNOME tramite difensore, propone ricorso per cassazione articolato in un unico motivo in cui, in primo luogo, chiede alla Corte la rettifica ai sensi dell’art. 619 cod. proc. pen. della decisione impugnata nella parte in cui ha erroneamente indicato in “mesi quattro ed euro 2.000 di multa” la pena comminata, pur trattandosi di condanna per reato contravvenzionale.
Secondariamente, lamenta il vizio di violazione di legge e di motivazione in relazione alla revoca della sospensione condizionale della pena, e al mancato riconoscimento della causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.In ricorso è infondato. Deve tuttavia procedersi alla rettifica della decisione impugnata.
2.In premessa va osservato che la Corte d’appello ha esaminato nel merito il solo motivo di ricorso relativo alla pronuncia di condanna per il reato di cui all’art. 256-bis d. Igvo n. 152 del 2006 (capo b), avendo considerato il motivo d’appello relativo all’art. 256 del medesimo decreto, contestato al capo a), inammissibile, poiché concretizzatosi in una “mera richiesta di assoluzione contenuta nella parte conclusiva dell’atto di appello), non supportata da alcuna documentazione”.
Tanto chiarito, deve dichiararsi inammissibile la censura riferita all’omesso riconoscimento della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto.
Sul punto la Corte d’appello, sebbene dopo aver ribadito che la condotta di cui al capo b) non è stata oggetto d’impugnazione, “per completezza espositiva” ha escluso l’applicazione dell’art. 131-bis, cod. pen., in ragione del quantitativo e della tipologia dei rifiuti e dall’entità dell’area interessata.
La doglianza propone deduzioni solo apparentemente riferite a questioni di violazione di legge o vizio motivazionale di manifesta illogicità, carenza e contraddittorietà del provvedimento impugnato, ma in realtà chiede al Collegio una verifica che implica una rivalutazione nel merito della sentenza, non consentita in sede di legittimità (Sez. 6, n. 27429 del 4/7/2006, COGNOME, Rv. 234559; Sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, COGNOME, Rv. 265482; Sez. U, n. 47289 del 24/9/2003, COGNOME, Rv. 226074; Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, COGNOME, Rv.
)
214794). Un’operazione siffatta non è consentita al giudice di legittimità che, come noto, vede l’orizzonte della sua verifica circoscritto alla ricerca di vizi logici ed argomentativi della sentenza, direttamente da essa desumibili nel confronto con i principi dettati dal diritto vivente per l’interpretazione delle norme applicate (Sez. U, n. 6402 del 30/4/1997, COGNOME, Rv. 207944; Sez. 5, n. 39048 del 25/9/2007, COGNOME, Rv. 238215; Sez. 6, n. 25255 del 14/2/2012, COGNOME, Rv. 253099), restando esclusa la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o attendibilità delle fonti d prova (Sez. 2, n. 7380 del 11/1/2007, Messina, Rv. 235716).
La doglianza con la quale si censura l’avvenuta revoca da parte della Corte d’appello della sospensione condizionale è infondata.
Costituisce orientamento condiviso dal Collegio quello secondo cui il beneficio della sospensione condizionale della pena già concesso in primo grado deve ritenersi implicitamente confermato dal giudice d’appello ove questi, su impugnazione del solo imputato, ridetermini la pena senza ulteriori specificazioni in dispositivo, giacché diversamente si violerebbe il divieto di reformatio in peius (Sez. 5, n. 20506 del 14/01/2019, COGNOME, Rv. 275308; Sez. 3, n. 23444 del 1275/2011, Aprile, Rv. 250655; Sez. 3, n. 580 del 7/12/2007, dep. 2018, COGNOME, Rv. 238583; Sez. 5, n. 1788 del 19/4/1999, COGNOME, Rv. 213772).
I principi sopradetti devono essere senza dubbio ribaditi anche nella fattispecie oggetto di ricorso in cui la Corte d’appello, nel dispositivo, dopo aver rideterminato la pena, ha “confermato nel resto”, la sentenza impugnata posto che tale locuzione deve intendersi riferita proprio alle statuizioni del giudice di prime cure relative alla sospensione condizionale della pena subordinata alla prestazione di attività retribuita a favore della collettività per il periodo di mesi sei e al dissequestro e alla restituzione dell’area sequestrata all’avente diritto (cfr., in termini, la citata sentenza n. 1788 del 1999 seppur dettata in fattispecie relativa alla fase esecutiva in cui il giudice di appello aveva respinto l’incidente di esecuzione del condannato che non intendeva ottemperare all’ingiunzione a costituirsi in carcere, sostenendo che la sospensione condizionale, concessa in primo grado per una delle due condanne irrogate, doveva intendersi inerente anche alla sentenza di secondo grado, che, dopo aver rideterminato la pena, aveva usato la formula “conferma nel resto”, in relazione alla quale la Cassazione ha accolto l’eccezione difensiva ed ha annullato senza rinvio l’ordinanza della Corte di appello che, interpretando la sentenza con la quale
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essa stessa aveva applicato la continuazione, aveva ritenuto che al condannato non competesse il beneficio ex art. 163 cod. pen.).
4.In ordine alla richiesta di rettificazione giova ricordare i principi affermati dalle Sezioni Unite di questa Corte (sent. n. 8 del 18/05/1994; COGNOME, Rv. 198543) secondo cui «in tema di correzione degli errori materiali, deve ritenersi esclusa l’applicabilità dell’art. 130 cod. proc. pen., quando la correzione si risolve nella modifica essenziale o nella sostituzione di una decisione già assunta. L’errore, quale che sia la causa che possa averlo determinato, una volta divenuto partecipe del processo formativo della volontà del giudice, non può che diffondere i suoi effetti sulla decisione: ma questa, nella sua organica unità e nelle sue essenziali componenti non può subire interventi correttivi, per quanto ampio significato si voglia dare alla nozione di “errore materiale” suscettibile di correzione; viceversa sono sempre ammissibili gli interventi correttivi imposti soltanto dalla necessità di armonizzare l’estrinsecazione formale della decisione con il suo reale intangibile contenuto, proprio perché non suscettibili di incidere sulla decisione già assunta».
In ragione di tali argomentazioni, la richiesta di rettificazione è fondata e pertanto meritevole di accoglimento.
Deve effettivamente rilevarsi che, nella specie, nel corpo motivazionale della decisione impugnata, la Corte leccese stabilisce: «segue a tale pronuncia la rideterminazione della pena inflitta dal primo giudice, da quantificare – con riferimento alla contravvenzione di cui all’articolo 256, comma uno, lett. a) e b) d. Ivo n.152 del 2006 in mesi quattro di arresto ed C 2.000 di ammenda (pena base attestata sul minimo edittale in ragione della condotta tenuta in seguito al fatto dell’imputato di mesi sei di arresto e di C 3.000 di ammenda, ridotta sino a quella finale per le già riconosciute circostanze attenuanti generiche)»; mentre nel dispositivo si «ridetermina la pena per la residua contravvenzione in mesi quattro di reclusione ed C 2.000 di multa».
L’errata indicazione della tipologia di pena appare evidentemente frutto di un mero errore materiale posto che nello stesso dispositivo si fa esplicito riferimento alla natura contravvenzionale del reato per il quale è intervenuta la condanna.
Per tutti i motivi indicati la sentenza impugnata deve essere rettificata nel senso che la previsione in dispositivo della pena della reclusione e della multa è sostituita rispettivamente con la pena dell’arresto e dell’ammenda. Il ricorso deve essere rigettato nel resto.
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Rettifica la sentenza impugnata nel senso che la previsione in dispositivo della pena della reclusione é s della multa é’ sostituita rispettivamente con la pena dell’arresto e dell’ammenda. Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso in Roma, in data 24/01/2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente