Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 26710 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 26710 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 03/06/2025
In nome del Popolo Italiano
SESTA SEZIONE PENALE
– relatore –
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME NOME AndreaCOGNOME nato ad Angolo Terme (BS) il 15/09/1954
avverso la sentenza del 24/10/2024 della Corte di appello di Brescia visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso; udito il difensore del ricorrente, avv. NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento dei motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
A NOME NOME COGNOME Ł stato contestato il delitto di peculato continuato, perchØ, nella sua qualità di segretario, direttore generale e responsabile dei servizi amministrativi e finanziari di un’unione di comuni della provincia di Brescia, nonchØ di segretario e responsabile dei servizi finanziari di uno di quei comuni, si Ł autoliquidato rimborsi per spese che in realtà non avrebbe sostenuto e che, comunque, non sarebbero state rimborsabili (capo A dell’imputazione).
Gli Ł stato, poi, contestato il delitto di truffa continuata ed aggravata ai danni di enti pubblici, perchØ, quale segretario della convenzione per i servizi di segreteria tra vari comuni
Ercole COGNOME
Sent. n. sez. 772/2025
UP – 03/06/2025
R.G.N. 12883/2025
di quella zona, si Ł fatto rimborsare spese in tesi non sostenute, non spettantigli o, comunque, prive di documentazione giustificativa, approfittando dell’affidamento in lui riposto, in ragione del suo ruolo, dai responsabili finanziari dei vari comuni e, perciò, inducendo costoro in errore (capo B dell’imputazione).
Infine, al capo C), gli Ł stato addebitato un analogo episodio di truffa, per essersi fatto rimborsare spese per viaggi non effettuati o comunque non documentate, relative al periodo in cui era segretario della predetta unione di comuni.
1.1. Il Tribunale di Brescia, in primo grado, lo ha dichiarato colpevole di tali reati, fatta eccezione, con riferimento al peculato, per i rimborsi di spese per ‘missioni’ e per ‘diritti di segreteria’.
1.2. La Corte d’appello di Brescia, in parziale accoglimento del gravame da lui proposto, lo ha assolto dal delitto di peculato, « limitatamente alle contestazioni per il rimborso spese di viaggio ed accessi »; nonchØ, dalla truffa di cui al capo B), « limitatamente alle richieste di rimborso per accessi »; e completamente, infine, dalla truffa di cui al capo C).
1.3. Con ordinanza recante pari data rispetto alla sentenza (24 ottobre 2024), ma pubblicata unitamente alle motivazioni di quest’ultima il 12 febbraio 2025, la Corte d’appello, a norma dell’art. 130, cod. proc. pen., ha apportato una correzione al dispositivo letto in udienza, integrando le statuizioni relative ai reati di cui ai capi A) e B) con l’indicazione dei mandati di pagamento riguardanti i rimborsi per i quali ha ritenuto di pronunciare assoluzione: ovvero, per il capo A), i mandati n. 1194/2017 e n. 220/2017; mentre, per il capo B), quelli n. 594/2017 del Comune di Saviore dell’Adamello, nn. 1081, 1082 e 1083/2018 del Comune di Malegno, n. 141/2017 del Comune di Cevo.
L’imputato, attraverso il proprio difensore, impugna tanto la sentenza, quanto l’ordinanza.
2.1. In premessa, evidenzia l’incertezza sugli episodi ai quali, all’esito dei giudizi di merito, si riferisce l’affermazione di colpevolezza per i fatti di cui ai capi A) e B) dell’imputazione, in quanto:
le voci di spesa relative ad ‘accessi’, stando al dispositivo della sentenza d’appello, rientrerebbero nella pronuncia di assoluzione; in motivazione, invece, la Corte d’appello limita quest’ultima alle spese per accessi « comunque ricollegati alla specifica attività istituzionale rendicontata »; mentre, nella successiva ordinanza integrativa, l’assoluzione viene limitata a due mandati, specificamente indicati, che però non riguardano spese per accessi;
in motivazione, inoltre, la Corte d’appello, nell’esaminare i diversi mandati di pagamento oggetto di condanna per le truffe di cui al capo B), omette qualsiasi riferimento a quelli n. 257/2017 del Comune di Cedegolo e n. 816/2017 del Comune di Malegno;
infine, la sentenza d’appello conferma la condanna per peculato con riferimento al rimborso disposto con mandato n. 1477/2017, che tuttavia, secondo la contestazione, avrebbe riguardato spese di ‘missione’, per le quali il Tribunale aveva però pronunciato sentenza di assoluzione.
2.2. Tanto premesso, il ricorso censura, anzitutto, l’ordinanza integrativa del dispositivo, denunciandone delle anomalie (la redazione in calce alla motivazione della sentenza; la data di deliberazione corrispondente a quella della lettura del dispositivo della sentenza, ma il riferimento, in motivazione, a quella della sentenza, depositata mesi dopo).
In ogni caso, deduce che la stessa sia stata adottata al di fuori dei limiti consentiti dall’art. 130, cod. proc. pen., essendosi con essa disposta una modificazione essenziale della decisione precedentemente adottata e non una semplice rettifica.
L’errore materiale del dispositivo – si sostiene – Ł solo quello obiettivamente riconoscibile già dalla semplice lettura dello stesso o, comunque, univocamente inconciliabile con la motivazione, così da escludere che questa sia stata strumentalmente utilizzata per giustificare un errore di decisione. Diversamente, nel contrasto tra quelle parti della sentenza, deve prevalere il dispositivo.
Nel caso in esame, invece, una lettura coordinata non sarebbe possibile, poichØ nessuno dei mandati richiamati nell’ordinanza relativamente al capo A) riguarderebbe spese per accessi, mentre, per il capo B), risultano indicati mandati su cui non v’Ł motivazione; nØ potrebbe essere d’aiuto la sentenza di primo grado, dalla quale quella d’appello si Ł ampiamente discostata.
Infine, il ricorrente sottolinea il proprio interesse a ricorrere sul punto, tenuto conto dei riflessi in punto di aumenti di pena per continuazione.
2.3. Con il successivo motivo, si lamentano violazione di legge e vizi di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza del peculato, avuto riguardo alla natura delle voci di spesa oggetto dei rimborsi.
2.3.1. Relativamente alle spese per ‘accessi’, la sentenza si presenterebbe contraddittoria, perchØ: a) pur assumendo in motivazione la legittimità dei rimborsi riguardanti accessi « effettivamente accertati come strumentali rispetto alle funzioni proprie dell’imputato », afferma la responsabilità di quest’ultimo per tutti i mandati aventi ad oggetto rimborsi per tali spese; b) fonda il giudizio di colpevolezza sulla mancata dimostrazione, da parte dell’imputato, dello svolgimento delle relative attività, in tal modo invertendo l’onere probatorio, diversamente da quanto affermato in linea di principio; c) Ł la stessa Corte d’appello ad individuare per ogni mandato le funzioni di riferimento svolte dall’imputato, così ricollegando la relativa spesa alle attività istituzionali da lui svolte.
Inoltre, la sentenza impugnata sostiene che dalla stessa consulenza tecnica della difesa risulterebbe come le spese per accessi abbiano rappresentato un’indebita duplicazione di quelle di viaggio tra i comuni dell’unione di cui al capo A): tale assunto, però, si fonderebbe su un travisamento di detta prova, secondo la quale, invece, le ‘spese di viaggio’ costituiscono semplici rimborsi chilometrici, mentre quelle per gli ‘accessi’ attengono alle attività prodromiche all’adozione degli atti nell’interesse dell’ente.
Mancherebbe, dunque, per tali spese, la prova della natura indebita dei relativi rimborsi.
2.3.2. Anche riguardo alle ‘spese di registrazione’ la sentenza presenterebbe plurimi profili di contraddittorietà, ovvero: a) là dove afferma che non sono rilevanti le modalità di riscossione e l’eventuale irritualità dei mezzi di pagamento, ma poi, in relazione ai mandati nn. 995/2017 e 112/2017, conferma la condanna in ragione dell’incompatibilità della relativa liquidazione con le modalità normativamente previste; b) nella parte in cui conferma la responsabilità per il rimborso di cui al mandato n. 995/2017, pur attenendo questo a ‘diritti di segreteria’, per i quali, però, già il Tribunale aveva pronunciato assoluzione; c) allorchØ, inoltre, con riferimento al mandato n. 112/2017, confusamente afferma la configurabilità del reato, senza tener conto: che si trattava di somme versate dal privato all’amministrazione in eccedenza rispetto al dovuto, tuttavia destinate non all’ente ma al segretario a titolo di rimborso; che l’imputato ha ricevuto per errore tale maggior somma, ma l’ha poi restituita;
che, pertanto, la condotta si Ł tradotta in un arricchimento, benchØ ingiustificato, della pubblica amministrazione, senza alcun pregiudizio per la stessa.
Si tratterebbe, perciò, in conclusione, di somme non aventi natura pubblica, perchØ destinate dall’origine ad essere rimborsate al pubblico ufficiale.
2.4. Vizi di motivazione vengono, poi, dedotti con riferimento al ritenuto dolo dell’imputato per il delitto di peculato.
La giustificazione di entrambe le sentenze di merito, sul punto, sarebbe puramente assertiva, mancando di richiami ad elementi di fatto specifici e concreti, nonchØ trascurando che le richieste di liquidazione hanno riguardato spese comunque tutte sostenute dall’imputato; che non Ł stato formato alcun documento falso; che frequentemente, nello stesso mandato, vi erano piø voci di spesa, alcune delle quali incontestate; che piø volte sono stati accertati errori nella determinazione delle spese liquidate, a discapito e non a vantaggio dell’imputato.
Inoltre, la sentenza si contraddice, nella parte in cui afferma che, non essendo previste specifiche formalità per la presentazione delle richieste di rimborso, non sarebbe possibile ritenere espressivi di malafede da parte dell’imputato i prospetti informali da lui elaborati a corredo di quelle.
2.5. La successiva doglianza riguarda le truffe di cui al capo B) della rubrica, la cui motivazione presenterebbe i seguenti vizi: a) contraddittorietà tra l’affermazione di principio, per cui l’onere probatorio della natura indebita dei rimborsi spetterebbe all’Accusa, ed un giudizio di responsabilità fondato essenzialmente sul difetto di allegazioni giustificative da parte dell’imputato; b) travisamento della prova in ordine alla ritenuta sovrapponibilità tra spese di viaggio e per accessi, peraltro relative a mandati diversi, liquidati da enti differenti e riguardanti diverse funzioni svolte dall’imputato; c) totale omissione di valutazioni su alcuni dei mandati oggetto di contestazione, rispetto ai quali, dunque, non v’Ł certezza sulla conferma o meno della sentenza di primo grado.
Inoltre, secondo la sentenza, gli artifici e raggiri sarebbero consistiti nell’allegare alle richieste di rimborso semplici prospetti riepilogativi di spese non documentate, tali da indurre in errore i funzionari degli enti destinatari, in ragione dell’affidamento da costoro riposto sull’imputato per via del suo ruolo.
Obietta, pero, il ricorso: che il comportamento omissivo dell’agente può integrare il raggiro soltanto qualora il fatto taciuto non possa essere conosciuto dal terzo con l’impiego dell’ordinaria diligenza; che tale non può ritenersi il comportamento tenuto da quei funzionari, vista l’assenza di ogni documentazione giustificativa delle richieste; che, comunque, costoro erano tenuti a liquidare dette spese, trattandosi di somme loro versate dai privati ma destinate al pubblico ufficiale; che non appare verosimile l’ipotesi dell’affidamento incolpevole; che, infine, la stessa sentenza impugnata si contraddice, laddove – come già s’Ł visto – esclude che la presentazione di quei prospetti riepilogativi potesse ritenersi espressiva ex se di malafede da parte dell’imputato.
2.6. Tal ultimo aspetto viene altresì valorizzato, con il motivo successivo, per lamentare la sostanziale assenza di motivazione sul dolo delle ritenute truffe, giustificato essenzialmente – sostiene la difesa – sulla base della erronea sovrapponibilità tra spese di viaggio e per accessi.
2.7. Riguardo alle truffe, il ricorso deduce violazione di legge e vizi di motivazione anche nella parte in cui ne Ł stata esclusa la non punibilità per particolare tenuità del fatto, a
norma dell’art. 131bis , cod. pen..
La motivazione si presenterebbe soltanto apparente, non confrontandosi con la concreta condotta e con l’esiguità del danno, che, al netto degli episodi progressivamente esclusi dalla due sentenze di merito, ammonterebbe complessivamente a 1.151,35 euro. Peraltro, si tratterebbe di somme anticipate da privati, che perciò, semmai indebite, avrebbero arricchito e non depauperato la pubblica amministrazione e che, comunque, sarebbero inferiori a quelle non percepite dall’imputato per attività d’ufficio svolta a titolo gratuito per i medesimi enti pubblici, senza contare, altresì, l’avvenuta restituzione delle stesse, quanto meno in parte.
2.8. Violazione di legge e vizi della motivazione vengono addotti, infine, in punto di determinazione degli aumenti di pena per continuazione per i reati di cui al capo B).
In primo grado, tale aumento era stato fissato, complessivamente, in un mese e dieci giorni di reclusione; la sentenza d’appello lo ha ridotto ad un mese, «vista la parziale seppur minima assoluzione» per quei reati.
Replica, però, il ricorso che tale assoluzione non sarebbe stata affatto ‘minima’, avendo interessato sette dei venti mandati contestati ed essendo residuata una condanna per rimborsi pari a complessivi 1.151,35 euro, a fronte degli 8.930,33 oggetto dell’originario addebito.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Sono fondati i primi due motivi di ricorso, dal cui accoglimento discende il superamento dei restanti.
Ha ragione, anzitutto, la difesa ricorrente là dove deduce che l’ordinanza estesa in calce alla motivazione della sentenza, con la quale la Corte d’appello ha inteso apportare una correzione di errore materiale del dispositivo di sentenza letto in udienza, abbia in realtà ampiamente superato i limiti entro i quali l’art. 130, cod. proc. pen., consente di adottare tale rimedio.
Esso, infatti, non può essere esperito quando la correzione si risolva nella modifica essenziale o nella sostituzione di una decisione già assunta. Questa, cioŁ, non può subire interventi correttivi nelle sue componenti essenziali, mentre tali interventi sono sempre ammissibili soltanto allorchØ imposti dalla necessità di armonizzare l’estrinsecazione formale della decisione con il suo reale ed intangibile contenuto, proprio perchØ intrinsecamente incapaci di incidere sulla decisione già assunta (così, in termini di principio, già Sez. U, n. 8 del 18/05/1994, COGNOME, Rv. 198543). L’errore suscettibile di correzione, vale a dire, Ł quello che consiste nella divergenza evidente e casuale fra la volontà del giudice e il mezzo di espressione, della quale costituiscono manifestazioni tipiche l’errore linguistico e quello immediatamente rilevabile dal contesto interno della sentenza (Sez. U, n. 7945 del 31/01/2008, Boccia, Rv. 238426); Ł, ancora in altri termini, quello caratterizzato, in negativo, dall’ininfluenza sul contenuto decisorio della sentenza impugnata e, in positivo, dall’evidente divergenza fra il dato testuale e l’effettiva volontà del decidente (così, piø di recente, in motivazione, Sez. U, n. 47502 del 29/09/2022, COGNOME, Rv. 283754).
Se, allora, sono queste le coordinate entro le quali si può far ricorso alla procedura di cui all’art. 130, cit., risulta di solare evidenza come la sentenza impugnata si sia spinta ben
oltre, modificando il contenuto del dispositivo precedentemente letto in udienza, con un’addizione per specificazione che ha mutato in modo evidente ed essenziale la decisione già adottata e resa pubblica.
Anche per effetto di tale formazione ‘progressiva’ della effettiva volontà decisoria della Corte d’appello, poi, la sentenza impugnata – anche se letta unitamente a quella di primo grado, dai contenuti soltanto in parte conformi – non permette di cogliere con la necessaria puntualità per quali delle singole condotte di cui al capo A) sia stata confermata la condanna e per quali, invece, l’imputato sia stato mandato assolto.
Infine, coglie nel segno il ricorso anche nella parte in cui denuncia la totale assenza di motivazione, in sentenza, rispetto a due mandati per i quali – secondo quanto indicato dalla Corte distrettuale nell’ordinanza di (pseudo)correzione del dispositivo – Ł stata confermata la condanna per le truffe di cui al capo B) dell’imputazione. Si tratta, in particolare, dei mandati n. 257/2017 del Comune di Cedegolo e n. 816/2017 del Comune di Malegno, dei quali, effettivamente, non si rinviene traccia nella motivazione della sentenza.
Da quanto sin qui esposto, discende la necessità ineludibile di una motivazione supplementare, attraverso la quale i giudici d’appello chiariscano con la necessaria precisione la loro decisione e ne diano una giustificazione congruente.
La sentenza impugnata, pertanto, dev’essere annullata con rinvio e, con essa, anche l’ordinanza integrativa del dispositivo originario.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata nonchØ l’ordinanza di pari data redatta in calce alla motivazione della stessa sentenza, e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Brescia.
Così deciso in Roma, il 3 giugno 2025.