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Errore giudiziario: risarcimento e colpa grave

Un soggetto, assolto in sede di revisione da un’accusa di traffico di droga dopo un periodo di detenzione, si è visto negare il risarcimento per errore giudiziario. La Corte d’Appello aveva ritenuto ostativa una sua presunta condotta gravemente colposa, basata sulla stessa intercettazione telefonica che il processo di revisione aveva già smentito. La Corte di Cassazione ha annullato tale decisione, stabilendo un principio fondamentale: il giudice della riparazione non può negare il risarcimento utilizzando come prova di colpa grave lo stesso elemento fattuale che ha costituito l’errore giudiziario e che è stato smentito dalla sentenza di assoluzione.

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Pubblicato il 26 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Errore Giudiziario: Quando il Risarcimento Non Può Essere Negato

L’errore giudiziario rappresenta una delle più gravi disfunzioni del sistema giustizia, con conseguenze devastanti per chi lo subisce. La legge prevede un meccanismo di riparazione per compensare, almeno in parte, il danno sofferto. Tuttavia, il diritto al risarcimento può essere escluso se l’interessato ha dato causa alla sua detenzione con dolo o colpa grave. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 22601/2024) ha tracciato un confine netto, chiarendo che non si può negare il risarcimento basandosi sugli stessi elementi fattuali che hanno costituito l’errore. Analizziamo insieme questa importante pronuncia.

I Fatti del Caso

La vicenda riguarda un cittadino che, dopo aver subito un periodo di carcerazione a partire dal 2015 per associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, veniva definitivamente assolto in sede di revisione nel 2021. La sentenza di condanna originaria si basava in modo determinante su un’intercettazione telefonica in cui si discuteva di un trasporto di droga. Nel processo di revisione, tuttavia, veniva accertato che l’interlocutore di quella telefonata non era l’imputato, il quale aveva sempre proclamato la sua estraneità.

Una volta ottenuta l’assoluzione, l’uomo presentava domanda di riparazione per l’errore giudiziario subito. Sorprendentemente, la Corte d’Appello di Perugia respingeva la richiesta. La motivazione? I giudici ritenevano che l’uomo avesse tenuto un comportamento gravemente colposo, ostativo al risarcimento, valorizzando proprio il tenore della famosa telefonata intercettata.

La Decisione della Cassazione sull’errore giudiziario

Contro l’ordinanza della Corte d’Appello, la difesa ha proposto ricorso in Cassazione, denunciando un vizio di motivazione. Il punto centrale del ricorso era l’illogicità della decisione impugnata: come poteva essere usata come prova di colpa grave la stessa telefonata che il processo di revisione aveva sconfessato, dimostrando l’estraneità del ricorrente?

La Suprema Corte ha accolto il ricorso, annullando l’ordinanza e rinviando il caso per un nuovo esame alla Corte d’Appello di Perugia. I giudici di legittimità hanno ribadito un principio fondamentale in materia.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte di Cassazione ha chiarito che la valutazione sulla sussistenza di una condotta dolosa o gravemente colposa, idonea a escludere il diritto al risarcimento, deve fondarsi su dati di fatto certi, ovvero elementi «accertati o non negati». Non può basarsi su dati congetturali o, soprattutto, su elementi che la stessa sentenza di assoluzione ha smentito.

Nel caso specifico, la Corte territoriale ha commesso una «manifesta erroneità» laddove ha dedotto il comportamento ostativo del ricorrente proprio dall’elemento su cui si fondava l’errore giudiziario poi corretto. In sostanza, ha utilizzato la prova rivelatasi falsa (la partecipazione dell’uomo alla telefonata) per negargli il diritto alla riparazione. Questo crea un paradosso logico e giuridico: si nega il risarcimento per l’errore basandosi sull’errore stesso.

La facoltà del giudice della riparazione di valutare autonomamente gli indizi emersi nel processo non può spingersi fino a contraddire le conclusioni fattuali della sentenza di assoluzione. Attribuire al richiedente comportamenti che il giudice della cognizione ha già escluso o ritenuto non provati significherebbe stravolgere il principio solidaristico alla base dell’istituto della riparazione.

Le Conclusioni

Questa sentenza rafforza in modo significativo la tutela di chi è vittima di un errore giudiziario. Stabilisce che il giudizio sulla riparazione non può diventare una sorta di “processo d’appello mascherato” in cui si rimettono in discussione i fatti già accertati in via definitiva nel giudizio di revisione. Il presupposto per la richiesta di riparazione è la sentenza di assoluzione; pertanto, i fatti accertati in quella sede non possono essere ignorati o ribaltati per negare il conseguente diritto al risarcimento. La condotta ostativa deve essere fondata su elementi certi e distinti da quelli che hanno dato origine all’ingiusta condanna.

Si può negare il risarcimento per errore giudiziario basandosi su prove già smentite nel processo di revisione?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che il giudice della riparazione non può fondare il suo diniego su elementi di prova che sono stati sconfessati o ritenuti non provati dalla sentenza di assoluzione che è il presupposto della richiesta di risarcimento.

Quale condotta dell’imputato può escludere il diritto al risarcimento per errore giudiziario?
Una condotta tenuta con dolo o colpa grave che abbia un rapporto di causa-effetto con l’adozione del provvedimento restrittivo della libertà. Tale condotta deve però basarsi su dati di fatto certi e non può coincidere con l’elemento che ha costituito l’errore giudiziario.

Qual è il limite del potere di valutazione del giudice che decide sulla riparazione per errore giudiziario?
Il giudice della riparazione può valutare autonomamente i dati processuali, ma il suo potere non può spingersi fino al punto di attribuire al richiedente comportamenti che il giudice della cognizione ha già escluso o ritenuto non provati, in quanto ciò contraddirebbe la sentenza di assoluzione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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