Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 10030 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 10030 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 22/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a POTENZA il 13/04/1964
avverso l’ordinanza del 22/05/2023 della CORTE APPELLO di CATANZARO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni del PG, in persona del sostituto COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso;
letta la memoria dell’avv. NOME COGNOME del Foro di POTENZA e la memoria di replica alle conclusioni del P.G. e del Ministero competente;
letta la memoria del MINISTERO dell’ECONOMIA e delle FINANZE che ha chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 22 maggio 2023 la Corte di appello di Catanzaro.-ha respinto la domanda di riparazione dell’errore giudiziario proposta nell’interesse di NOME COGNOME
La Corte della riparazione si è pronunciata in sede di rinvio disposto dalla Terza Sezione penale di questa Corte ; che, accogliendo il ricorso straordinario proposto dalla Sassano, con sentenza dell’Il maggio 2022, previa revoca della sentenza emessa in data 18 marzo 2021 dalla Quarta Sezione penale di questa Corte di legittimità, ha annullato l’ordinanza emessa dalla Corte di appello di Catanzaro, in data 14 maggio 2020, di rigetto della domanda di riparazione dell’errore giudiziario già proposta dalla odierna ricorrente.
NOME COGNOME era stata sottoposta a procedimento penale in relazione ai reati di cui agli art. 110 cod. pen., 216, terzo comma, 219 e 223 I. fall. (capo C), 110, 81 cpv, 216, primo comma, n. 1, 219, primo e secondo comma, n. 1, 223, I. fall., 61 n. 11 cod. pen. (capo C bis), 110, 81 cpv, cod. pen., 216, primo comma, n. 1, 219, primo e secondo comma, n. 1, I. fall., 61 n. 11 cod. pen. (capo C ter), 110 e 640-bis cod. pen. (capo D).
Il GUP del Tribunale di Potenza, con sentenza dell’8 marzo 2008, aveva condannato l’imputata in relazione ai reati di cui ai capi C), C-bis) e C-ter) e dichiarato non doversi procedere per il reato di cui al capo D), estinto per prescrizione. Con sentenza del 18 maggio 2006 1 la Corte di appello di Potenza aveva assolto l’imputata dal reato di cui al capo C) e rideterminato la pena in relazione ai reati di cui ai capi C bis) e C ter).
Con sentenza del 4 marzo 2008 questa Corte aveva annullato senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente alla durata della pena accessoria dell’interdizione temporanea dalla professione di avvocato.
Proposta istanza di revisione, la Corte di appello di Catanzaro, in data 19 luglio 2017, aveva revocato la sentenza emessa dalla Corte di merito ed assolto la Sassano dai residui reati di cui ai capi C bis) e C ter).
Respinta per la prima volta la domanda di riparazione dell’errore giudiziario, con ordinanza emessa il 15 maggio 2020 dalla Corte di appello di Catanzaro, è stato proposto ricorso per cassazione, rigettato dalla Quarta Sezione penale, giusta sentenza n. 28741 del 18 marzo 2021.
Avverso tale decisione è stato proposto ricorso straordinario e la Terza Sezione penale di questa Corte, con sentenza n. 25653 dell’Il maggio 2022, ha revocato la pronuncia n. 28731 del 18 marzo 2021 e per l’effetto, annullato, con rinvio, l’ordinanza emessa in data 14 maggio 2020 dalla Corte di appello di Catanzaro di rigetto della domanda di riparazione dell’errore giudiziario.
Con l’ordinanza oggi impugnata la Corte della riparazione, giudicando in sede di rinvio ha nuovamente rigettato l’istanza proposta nell’interesse della Sassano.
Avverso l’ordinanza è stato proposto ricorso , .affidandolo a tre motivi.
2.1 Con il primo si deducono violazioni di legge e vizi di motivazione. Si deduce che i giudici della riparazione avrebbero disatteso il principio impartito dalla Terza Sezione penale secondo cui, premesso che per negare la riparazione non basta che il soggetto versi in colpa grave o dolo né che abbia concorso a darvi causa ma, piuttosto, che lo abbia causato, «a tal fine non basta l’esame delle sentenze di condanna … ma va verificata tutta l’istruttoria compiuta e in particolare… la documentazione prodotta dalla ricorrente per chiarire se le “nuove” prove che hanno convinto i Giudici della revisione erano q meno relative a fatti di cui era già in astratto possibile la lettura in favore della prospettiva difensiva momento delle pronunce di condanna».
Secondo la difesa, la Corte di appello di Catanzaro avrebbe obliterato il punto affermando che «non sarebbe stato possibile per i giudici della cognizione, anche valutando le prove nuove su cui si è fondato il giudizio di revisione, affermare in favore della Sassano, che la ricevuta rilasciata dalla COGNOME e le dichiarazioni di NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME e dei dipendenti della RAGIONE_SOCIALE riscontravano l’annotazione in contabilità dei pagamenti dei debiti della RAGIONE_SOCIALE nei confronti dei predetti e dimostravano che la COGNOME aveva versato queste somme per conto del COGNOME, per pagare i debiti della RAGIONE_SOCIALE, poiché non vi è corrispondenza cronologica tra la data di annotazione in contabilità dei predetti pagamenti e la data in cui i soldi della RAGIONE_SOCIALE sono entrati materialmente nella disponibilità della COGNOME e del COGNOME».
A tale conclusione la Corte della riparazione sarebbe pervenuta rilevando che i debiti non possono essere stati pagati con il denaro proveniente dalla RAGIONE_SOCIALE, atteso che dette annotazioni di pagamento risultano inserite in contabilità alla data del 31.10.1997, mentre è certo che il giudice delegato al fallimento della RAGIONE_SOCIALE ha disposto la restituzione alla società RAGIONE_SOCIALE della somma di lire 203.291.644 solo in data 2.12.1997, ossia dopo un mese dalla annotazione del pagamento alla RAGIONE_SOCIALE e ai lavoratori delle somme indicate nelle scritture contabili. Inoltre, risulta che COGNOME, in data 10.12.1997, ha conferito incarico alla Sassano di riscuotere il denaro del fallimento / specificando che la somma andava messa a disposizione del socio di maggioranza COGNOME e che sempre COGNOME ha incassato l’assegno emesso dalla Sassano per un importo pari alla metà della somma riscossa dal fallimento RAGIONE_SOCIALE solo il 9.1.1998, tre mesi dopo l’annotazione contabile.
Ad avviso della difesa, la Corte di Catanzaro ha fondato il proprio assunto su un dato errato, ossia che risulti un pagamento della RAGIONE_SOCIALE s.p.aRAGIONE_SOCIALE in favore dei lavoratori e della RAGIONE_SOCIALE s.p.a. da una annotazione contabile del 31 ottobre 1997, che non è dato sapere da dove sia stata tratta dato che la stessa non è stata neppure valorizzata dai giudici di merito per pronunciare la condanna della Sassano, poi oggetto di revisione. I giudici della riparazione avrebbe covuto acquisire la consulenza tecnica d’ufficio che evidenzia come dalle scritture contabili 0(2 GLYPH f GLYPH i e in specie quelle relative all’esercizio 1997, in assenza di entrate finanziari GLYPH on -si era proceduto ad alcun pagamento e che le entrate finanziarie dell’esercizio 1998 K ammontavano a complessive lire 203.291,665, tutte riferibili alle somme incassate “in restituzione” dalla curatela RAGIONE_SOCIALE s.p.a. -n . (i e
L’annotazione del 31 c)ftot)re 1997 cui fa riferimento la Corte/attiene alla voce contabile “stipendi da liquidare” per 30 milioni di lire rimborso finanziamento Fesco LDT per 173.291.665 milioni di lire, come aveva rilevato il consulente del P.M. COGNOME Secondo la difesa la presunta appostazione in contabilità del 31 ottobre 1997 costituirebbe un fatto “nuovo” che neppure i giudici della cognizione avevano preso in esame. Per contro è documentalmente provato che nel libro giornale, alla data del 15.1.1998, risulta alla voce cassa, “contanti 203.291,665” ossia la somma incassata dalla curatela RAGIONE_SOCIALE e lo stesso giorno l’uscita in contanti di 30 milioni per pagamento stipendi e 173.291.665 per finanziamento RAGIONE_SOCIALE
2.2. Con il secondo motivo si deducono violazioni di legge e vizio di motivazione. I giudici della riparazione, dopo avere riportato alcuni elementi emersi nel giudizio di cognizione e di revisione hannoconcluso che le nuove prove, se pure fossero state acquisite dai giudici di merito, non sarebbero state idonee a dimostrare che i pagamenti alla COGNOME e ai lavoratori erano stati effettuati dalla ricorrente con i denaro proveniente dalla curatela RAGIONE_SOCIALE. E’ stato osservato che la sentenza di revisione non ha affrontato la questione della mancata dimostrazione del versamento in contanti di metà del denaro proveniente dagli assegni della curatela RAGIONE_SOCIALE, dalla ricorrente a COGNOME. Si tratta di circostanza smentita già dalla prima ordinanza di rigetto /dove si legge “solo in sede di revisione la Sassano ha fornito la prova della corretta destinazione del denaro”; che la prova del pagamento alla COGNOME non avrebbe comportato anche la dimostrazione che il pagamento fosse avvenuto con il denaro proveniente dalla curatela RAGIONE_SOCIALE che la Sassano aveva trattenuto sul proprio conto e che ha sostenuto di avere consegnato in contanti al COGNOME; che anche le dichiarazioni degli operai risulterebbero irrilevanti ai fin della dimostrazione della consegna della residua somma in contanti dalla Sassano a Nardelli, senza garantirne la tracciabilità, atteso che costoro avevano affermato
di avere ricevuto tali somme agli inizi del 1998 mentre la relativa annotazione del pagamento di tali somme nella contabilità della Orop risaliva al 31 ottobre 1997. Ha ritenuto la Corte della riparazione che il comportamento, a dir poco ambiguo, della Sassano avrebbe determinato in maniera esclusiva la condanna dell’istante.
Secondo la difesa gli argomenti usati dal Giudice della riparazione facendo, peraltro, uso del novum, rappresentato dalla presunta appostazione contabile del 31 ottobre 1997, sono in violazione dell’art. 648 cod. proc. pen. in quanto intaccherebbero il giudicato. Nel pervenire a tale esito la Corte di Catanzaro, valorizzando il dato storico più che il comportamento dell’istante, finisce con il negare l’essenza stessa del giudizio di revisione che, nel caso di specie, è stato celebrato ex novo sul presupposto di fatti conosciuti successivamente. La COGNOME, sin dal primo momento, aveva dichiarato di avere trasferito l’intera somma percepita dal fallimento RAGIONE_SOCIALE al COGNOME e di essere estranea alle condotte di costui; ha richiamato le scritture contabili della società da cui risultava la posta i entrata e in uscita, le dichiarazioni rese dal COGNOME nonché prodotto le quietanze dei lavoratori. La COGNOME ha, poi, ottenuto ragione in sede di revisione, grazie alle dichiarazioni degli amministratori cinesi e dei lavoratori, dei quali aveva chiesto sin dal primo momento l’escussione. La Corte della riparazione ha omesso di passare in rassegna come era stato indicato dalla Terza Sezione penale, tutta l’istruttoria dibattimentale e in specie la documentazione prodotta dalla ricorrente per stabilire se le nuove prove fossero relative a fatti da leggere in una prospettiva difensiva già al momento della pronuncia di condanna.
2.3. Con il terzo motivo si deduce vizio di motivazione con riferimento alla memoria ex art. 121cod. proc. pen. nonché sulla memoria di replica, depositate presso la Corte di appello di Catanzaro. Si pone questione di legittimità costituzionale dell’art. 643 cod. proc. pen. per violazione dell’art. 117 Cost. in relazione all’art. 3 Protocollo 7 Cedu. La questione è “se in tema di riconoscimento del diritto alla riparazione dell’errore giudiziario, il dolo e la colpa grave, q cause ostative alla configurazione del diritto reclamato debbano necessariamente consistere in comportamenti processuali dell’imputato che, per trovarsi in rapporto di causalità con la ingiusta condanna, debbano avere l’attitudine ad indurre in errore il giudice in conseguenza di atti compiuti nel corso del processo e attribuibili all’imputato stesso e connotati da inganno (dolo) e/o da mastodontica imprudenza o negligenza (colpa grave) nel difendersi, così da determinare, di per sé soli e non anche in concorso con altri comportamenti (magari anche pre-processuali) l’errore giudiziario, il quale senza quelle condotte non sarebbe stato in alcun caso commesso”.
Assume la difesa che il rigetto sarebbe fondato sul rilievo che la ricorrente avrebbe tenuto un comportamento connotato da colpa grave poiché quantomeno irregolare ed ambiguo, per avere versato metà della somma consegnata dalla RAGIONE_SOCIALE sul conto corrente intestato a COGNOME e alla moglie piuttosto che alla società RAGIONE_SOCIALE cui gli assegni erano intestati; di avere poi versato il resto della somma sul proprio conto corrente senza garantirne la successiva e dovuta tracciabilità e, dunque, non consentendo di acquisire dimostrazione certa della consegna di tale somma residua al COGNOME, inducendo così, con il proprio comportamento irregolare e irrituale, peraltro, tenuto da un avvocato, i giudici della cognizione ad affermare la responsabilità per il concorso nella bancarotta fallimentare. Già con precedenti memorie era stato evidenziato che la giurisprudenza di legittimità è ferma nel ritenere che nel processo penale non è previsto un onere probatorio a carico dell’imputato modellato sui principi propri del processo civile ma è prospettabile solo un onere di allegazione. Dagli atti allegati alla riparazione risulta che la ricorrente aveva puntualmente “allegato” la circostanza decisiva di aver restituito e non distratto le somme oggetto del reato di bancarotta mediante il versamento in favore del socio di maggioranza e il pagamento degli stipendi, come ha rilevato la Corte della revisione. Pur in presenza di un dato di prova certo e non controverso, la Corte ha pretermesso qualsivoglia motivazione nonostante il chiaro indirizzo fornito dalla sentenza di annullamento, omettendo di valutare le informazioni esistenti agli atti del processo, decisive per escludere qualsiasi ipotesi di colpa della ricorrente nel determinare la sentenza di condanna a suo carico. Accertato che la ricorrente si è difesa indicando la destinazione delle somme riscosse e richiedendo l’assunzione di mezzi di prova a discarico mai assunti dagli organi inquirenti e giudicanti nel procedimento in cui fu ingiustamente condannata, non le si può addebitare di aver dato causa né in via esclusiva né concorrente alla sentenza di condanna. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
La Sassano, infatti, ha chiesto di difendersi provando e quelle prove, che in sede di revisione hanno escluso la responsabilità penale, avrebbero consentito /se acquisite nel giudizio di merito, di escludere la responsabilità anche nel giudizio di cognizione ove i giudici, nella loro discrezionalità, hanno, invece, ritenuto di non dare loro ingresso. Di ciò non può essere mosso rimprovero alla ricorrente.
Si rammenta che l’art. 3 del protocollo n. 7 Cedu prevede che «qualora una condanna penale definitiva sia successivamente annullata o qualora la grazia sia concessa perché un fatto sopravvenuto o nuove rivelazioni comprovano che vi è stato un errore giudiziario, la persona che ha subito una pena in ragione di tale condanna sarà risarcita a meno che non sia provato che la mancata rivelazione in
tempo utile del fatto non conosciuto le sia interamente o parzialmente imputabile».
Si richiede, dunque, un comportamento processuale che sottragga al giudice un “sapere” che se posseduto, avrebbe consentito in astratto di impedire l’errore giudiziario. Se si dovesse escludere l’interpretazione conforme e ritenere che l’art. 643 cod. proc. pen. / cui l’art. 24 comma 4 Cost. rinvia per la determinazione delle condizioni e dei modi della riparazione, vada interpretatp nel senso che la colpa grave ostativa al riconoscimento del diritto possa prescindere da un comportamento processuale che abbia, da solo o con altri elementi, l’attitudine ad indurre in errore il giudice che viene così privato della conoscenza di fatti utili a evitare l’errore, l’art. 643 cod. proc. pen. sarebbe in contrasto con l’art. 3 citato
La difesa della Sassano ha fatto pervenire motivi aggiunti ribadendo gli argomenti spesi nel ricorso e rileva che il giudice del rinvio non avrebbe acquisito gli atti del procedimento relativi al giudizio di revisione che contiene o avrebbe dovuto contenere gli atti del processo di primo e secondo grado come dimostrerebbe la mancanza di detti atti a quelli allegati al presente procedimento nonché l’assenza di un apposito provvedimento di acquisizione che dai verbali di causa, non risulta essere stato emesso dai giudici dellà riparazione.
Il P.G., in persona del sostituto NOME COGNOME COGNOME, ha rassegnato conclusioni scritte / chiedendo il rigetto del ricorso.
Il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha depositato memoria con la quale ha chiesto il rigetto del ricorso.
La difesa ha depositato repliche alle conclusioni del P.G. e del Ministero deducendo la tardività della memoria del Ministero.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I motivi di ricorso, che possono essere trattati congiuntamente, sono infondati e devono essere rigettati.
Appare necessario muovere da una premessa.
La valutazione cima l’esistenza di un comportamento gravemente negligente da parte dell’interessato, sinergicamente collegato all’errore giudiziario del quale il soggetto sia stato vittima, costituisce giudizio di merito che ove sorretto da un
ragionamento congruo non è sindacabile in questa sede.
La Corte della riparazione, con motivazione coerente e non manifestamente illogica, ha evidenziato i comportamenti dell’interessata che si erano posti in modo diretto e in chiave sinergica rispetto alla condanna, poi ribaltata in sede di revisione, anche alla stregua di “nuove acquisizioni probatorie”.
Alla base della decisione sono state poste circostanze che sono rimaste accertate nella sentenza assolutoria, ritenendole con ragionamento logico-giuridico congruo, ostative al riconoscimento del diritto azionato. Alle predette conclusioni .« i giudici della riparazione sono giunti, contrariamente a quanto deduce la ricorrente, nel solco dei principi sanciti da questa Corte di legittimità secondo cui la colpa grave ostativa al diritto alla riparazione dell’errore giudiziario quand abbia dato causa all’errore medesimo e non anche quando si sia limitata ad essere una delle cause concorrenti come, al contrario, si ritiene sufficiente ai fini dell esclusione del diritto alla riparazione (sez. 4, n. 9213 del 4/2/2010, NOME, Rv. 246803-01; sez. 3, n. 48321 del 17/5/2016, COGNOME, Rv. 268494-01; nonché la stessa Sez. 3 n. 25653 del 11/5/2022, Sassano, Rv. 283621-02).
La Corte, infatti, con motivazione non manifestamente illogica né in violazione delle norme in tema di revisione ha ricostruito la vicenda come segue, traendo argomenti a sostegno della determinazione con la quale ha respinto la richiesta di riparazione:
il giudice delegato al fallimento della società RAGIONE_SOCIALE con ordinanza del 2.12.1997 ha disposto la restituzione alla RAGIONE_SOCIALE s.p.a della somma di lire 203.291.655;
il curatore della RAGIONE_SOCIALE, in esecuzione del provvedimento del giudice, ha emesso tre assegni circolari, traendo la disponibilità dal conto corrente intestato al fallimento RAGIONE_SOCIALE;
gli assegni per l’importo complessivo sopra indicati sono stati intestati alla RAGIONE_SOCIALE s.p.a.;
la Sassano, su incarico dell’amministratore della RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME, ha incassato in nome e per conto della società la somma complessiva, proveniente dal fallimento della RAGIONE_SOCIALE e destinata alla RAGIONE_SOCIALE, versandola per intero sul proprio conto corrente personale;
successivamente metà circa di detta somma, lungi dall’essere riversata alla OROP, è stata dalla COGNOME “consegnata” al COGNOME mediante l’emissione di un assegno tratto dal proprio conto corrente e negoziato presso la Banca di credito cooperativo di Roma dove COGNOME e la moglie erano titolari di un conto cointestato. Il resto sarebbe stato consegnato dalla COGNOME in contanti, attingendo da denaro
non prelevato dal conto ma da disponibilità proprie.
La Corte della riparazione ha, poi, posto l’accento sulla circostanza, anche questa storicamente e documentalmente acclarata, che COGNOME i con nota del 10.12.1997, conferendo alla Sassano l’incarico di riscuotere il denaro del fallimento RAGIONE_SOCIALE, aveva espressamente specificato che la somma andava messa a disposizione del socio di maggioranza COGNOME, precisando, altresì, che la restituzione doveva essere effettuata con denaro contante per evitare i rischi correlati a un possibile sequestro e sottolineando la necessità che «dette somme non transitassero per i conti della società da lui amministrata e in grave stato di decozione, prossima al fallimento, palesando così il suo intendimento di compiere un’operazione di distrazione patrimoniale in frode ai creditori» (pag. 4 del provvedimento impugnato).
La Corte della riparazione, dopo avere richiamato il contenuto della sentenza assolutoria nei passaggi relativi alle “nuove prove” acquisite, consistite nella ricevuta di pagamento rilasciata dalla COGNOME, alle dichiarazioni di NOME COGNOME e NOME COGNOME le trascrizioni delle fonoregistrazioni relative all’esame nel processo per falso a carico della Sassano, conclusosi con l’assoluzione della stessa, in cui costoro avrebbero riferito che l’avvocata avrebbe loro corrisposto le somme dovute dalla Orop, oltre che le stesse dichiarazioni del coimputato COGNOME ha rilevato, con motivazione congrua, scevra da profili di manifesta illogicità, che la lettura di questi fatti in favore della prospettiva difensiva, al momento delle pronunce di condanna non era in astratto già possibile sicché solo in forza delle nuove prove prodotte solo nel giudizio di revisione è stato possibile pervenire ad una pronuncia assolutoria.
In proposito va detto che il ricorrente non spiega perché, a fronte delle condotte accertate nel giudizio abbreviato, così come messe in luce nella ordinanza impugnata, si sarebbe dovuto procedere ai sensi dell’art. 441, co. 5, cod. proc. pen. ad assumere prove per verificare se le somme che la Sassano aveva incassato versandole sul proprio conto personale e poi avrebbe restituito, parte con assegno e parte, asseritamente, in contanti al COGNOME piuttosto che alla società alla quale erano destinate, fossero state poi utilizzate nel senso che solo dopo il giudizio di revisione è stato ritenuto accertato.
Quanto al giudizio espresso dalla Corte della riparazione secondo cui l’avvocata COGNOME con condotta certamente irregolare ha recuperato i crediti della società RAGIONE_SOCIALE e consegnato il denaro al proprio cliente, COGNOME va detto quanto segue.
E’ stato rilevato che sebbene il COGNOME, secondo i giudici della revisione, sarebbe l’unico a poter rispondere dell’impiego delle somme recuperate, «non può che evidenziarsi la irregolarità della condotta mantenuta dalla Sassano la quale, invece di consegnare la somma alla società RAGIONE_SOCIALE, ha accettato di seguire le direttive del suo cliente, ben consapevole delle finalità distrattive di tale condott di appropriazione delle somme erogate dalla RAGIONE_SOCIALE che, per metà dell’importo sono transitate sul conto personale del COGNOME e della moglie. Condotta questa che, secondo la Corte, proprio in virtù della qualità di legale ricoperta dalla Sassano, dunque, dotata di adeguate competenze tecniche e professionali, ha consentito al COGNOME di porre in essere una condotta distrattiva che, senza il suo apporto, non si sarebbe potuta realizzare determinando così, in via esclusiva, per sua colpa grave, l’affermazione della responsabilità. Tutto ciò senza garantire la necessaria tracciabilità. Da qui le determinazioni dei giudici della cognizione «ad affermarne la responsabilità per concorso nella bancarotta fallimentare».
L’ordinanza impugnata ha congruamente evidenziato che la condotta tenuta dalla Sassano, pur non idonea a fondare la sua responsabilità penale quanto alf.,A contestat6 di bancarotta è stata, tuttavia, ritenuta non solo gravemente colposa ma determinante, lo si ripete, nell’orientare l’autorità giudiziaria verso una pronuncia di condanna.
Nel sopradescritto contesto il travisamento del libro giornale allegato dalla ricorrente, pur avendo costituito oggetto di valutazione esplicita da parte della Corte non è stato ritenuto decisivo dato che la condotta che si assume gravemente colposa e determinante ai fini delle determinazioni assunte dai giudici di merito, è stata ritenuta assorbente e prevalente. E d’altra parte gli argomenti posti dalla difesa si ri5olvono in una rilettura della scrittura contabile -Fa crittkra n i .. 9)chiedendone una alternativa, a lei più favorevole, che in questa sede non è consentita).
4. La conclusione cui è pervenuta la Corte della riparazione ha fatto corretta applicazione dei principi di diritto sanciti dalla Terza Sezione con la sentenza rescindente la quale non ha certo richiesto di ripetere il giudizio di cognizione (e, duque, di acquisire quindi tutti gli atti relativi) bensì di verificare se “le nuove pro che hanno convinto i giudici della revisione” fossero o meno relative a fatti di cui sarebbe stata “in astratto possibile la lettura in favore della prospettiva difensiva al momento delle pronunce di condanna” e /come già chiarito / questa eventualità è stata esclusa con motivazione congrua.
E’ appena il caso di rilevare che nessun profilo di contrasto può essere ravvisato tra l’art. 643 cod proc. pen. e l’art. 3 del protocollo 7 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo. L’art. 643, infatti, esclude il diri alla riparazione solo se l’imputato prosciolto in sede di revisione «non ha dato causa per dolo o colpa grave all’errore giudiziario» in piena armonia con l’art. 3 prot. 7 della Convenzione in base al quale, in caso di annullamento di una condanna penale definitiva, l’interessato ha diritto al risarcimento «a meno che non sia provato che la mancata rivelazione in tempo utile del fatto non conosciuto le sia interamente o parzialmente imputabile».
Al rigetto del ricorso segue la condanna al pagamento delle spese del presente grado di giudizio. L’Amministrazione resistente ha depositato le proprie conclusioni in data 7 ottobre 2024, nel rispetto del termine di quindici giorni previsto dall’art. 611 cod. proc. pen. calcolandosi a ritroso i quindici giorni liber infatti, il termine ultimo entro cui presentare la memoria era il 6 ottobre 2024. Cadendo però detto termine in giorni festivo (domenica) ed essendo fissato in vista di un adempimento processuale da compiere entro una specifica scadenza, ai sensi dell’art. 172 co. 3 cod. proc. pen., opera la proroga di diritto del termine al giorn successivo non festivo (Sez. 2 n. 31434 del 30/06/2022 non massimata).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché alla rifusione delle spese sostenute nel presente grado di legittimità dall’Amministrazione resistente, che liquida in euro mille.
Deciso il 22 ottobre 2024