Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 7497 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 7497 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 18/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME nato a MISILMERI il 25/05/1959
avverso l’ordinanza del 08/11/2024 della CORTE di APPELLO di CALTANISSETTA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
letta la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso;
letta la memoria dell’Avvocatura dello Stato, nell’interesse del Ministero dell’economia e delle finanze, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
letta la memoria dell’avv. COGNOME del foro di Trapani, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 8 novembre 2024 la Corte di appello di Caltanissetta ha respinto la domanda per la riparazione dell’errore giudiziario formulata da NOME COGNOME condannato con sentenza del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Palermo del 5 febbraio 2002 alla pena di anni 5 di reclusione per il reato di associazione per delinquere di stampo mafioso.
La pena fu poi ridotta dalla Corte di appello di Palermo, con sentenza del 22 gennaio 2003, ad anni 4.
A seguito di istanza di revisione la condanna fu quindi revocata ex art. 630, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., con sentenza della medesima Corte di appello del 2 marzo 2023, emessa in sede di rinvio (la domanda fu inizialmente dichiarata inammissibile, con ordinanza poi annullata dalla Corte di cassazione con sentenza del 19 maggio 2021).
La Corte territoriale ha rigettato la domanda di riparazione sul presupposto che il ricorrente diede causa all’errore giudiziario, in ragione del suo comportamento, ritenuto gravemente colposo.
Per le medesime ragioni, ha respinto anche la domanda di riparazione dovuta ad ingiusta sottoposizione alla misura cautelare della custodia cautelare.
1.1. Più in particolare, il COGNOME mise a disposizione degli affiliati i loca nella sua disponibilità per consentire lo svolgimento delle riunioni della famiglia mafiosa di Misilmeri, come accertato nei giudizi di merito e nella successiva sentenza di revoca.
Tale condotta si inscrive in una più ampia relazione con il COGNOME, alla cui ombra il COGNOME operò negli appalti in Misilmeri.
Relazione che è stata apprezzata come un indicatore di contiguità alla consorteria mafiosa, proseguita anche dopo l’uccisione – in un agguato di chiara matrice mafiosa – del Bonanno.
Avverso l’ordinanza propone ricorso per cassazione NOME COGNOME a mezzo del proprio difensore, lamentando in sintesi, ai sensi dell’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen., quanto segue.
2.1. Lamenta il ricorrente violazione di legge e vizio della motivazione, con riguardo alla ritenuta sussistenza della colpa grave, ed alla sua incidenza causale rispetto all’invocata riparazione.
Premesso che delle dichiarazioni del collaboratore COGNOME non vi è traccia nelle sentenze di condanna, il ricorrente sottolinea che il giudicato penale non ha
resistito alle nuove evidenze introdotte con la domanda di revisione, le quali hanno determinato la totale falsificazione degli elementi di prova.
Tra questi certamente il dialogo intercettato il 13 marzo 1999, ritenuto centrale nelle sentenze di condanna, ma poi svuotato di rilevanza a seguito dell’accertamento fonico che escludeva il coinvolgimento del Giordano quale interlocutore.
Quanto, invece, alla vicenda relativa all’appalto di Portella di mare, i giudici della riparazione hanno solo ipotizzato una “cointeressenza sommersa” tra le imprese di Giordano e di COGNOME (incensurato), obliterando il contenuto delle dichiarazioni rese dall’elettricista NOME COGNOME da cui invece è emerso che il COGNOME aveva fornito del materiale al COGNOME.
Né la Corte territoriale ha spiegato perché tale (lecito) rapporto di affari possa ritenersi plusvalente rispetto al mancato apprezzamento della prova da parte dei giudici della cognizione.
Allo stesso modo, la ricostruzione dell’effettivo tenore del dialogo intercettato il 23 aprile 1999 ha poi falsificato quella compiuta con la sentenza di condanna, così determinandone la revoca.
I giudici della riparazione, inoltre, non potevano prendere in considerazione la condizione ostativa, avuto riguardo all’accertamento dell’insussistenza ab origine delle condizioni di applicabilità della misura, posto che la falsificazione del processo di revisione ha riguardato tutti gli episodi originariamente attribuiti al Giordano.
Persino la messa a disposizione dei locali della sua impresa è stata ritenuta non solo un elemento del tutto sterile, ma anche contraddittorio con l’ipotesi d’accusa posto che il Giordano non prese parte ad alcuno degli incontri.
Il giudizio di cassazione si è svolto con trattazione scritta, e le parti hanno formulato, per iscritto, le conclusioni come in epigrafe indicate.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Allo scrutinio dei motivi è utile premettere che, in ragione del diverso tenore letterale degli artt. 314 e 643 cod. proc. pen., deve essere distinto l’ambito applicativo dei due istituti.
Mentre, infatti, per escludere il diritto all’indennizzo dovuto ad ingiusta sottoposizione alla misura cautelare della custodia cautelare è sufficiente che la
colpa grave abbia solo concorso a dare causa alla instaurazione dello stato detentivo, ad escludere, invece, il diritto alla riparazione per errore giudiziario, necessario che la condotta colposa abbia dato causa all’errore (Sez. 4, n. 41409 del 16/10/2024, COGNOME non mass.; Sez. 4, n. 25653 del 11/5/2022, Sassano, Rv. 283621-02; Sez. 3, n.48321 del 17/05/2016, COGNOME, Rv. 268494 – 01; Sez. 4, n. 9213 del 04/02/2010, NOME, Rv. 246803 – 01).
Il giudice della riparazione deve dunque accertare se la condotta gravemente colposa ha causato l’errore giudiziario, apprezzandone l’apporto determinante per la verificazione dell’evento.
2.1. Nel caso in esame la Corte di appello ha ravvisato gli estremi della condotta gravemente colposa, ostativa al riconoscimento della domanda, nel fatto che il Giordano mise i locali della sua impresa a disposizione degli appartenenti alla famiglia mafiosa di Misilmeri (anche in posizione apicale: p. 4 ordinanza), affinché vi si riunissero.
Tale condotta è da ritenersi storicamente accertata anche a seguito della sentenza di assoluzione (p. 4 ordinanza).
Deve ugualmente ritenersi storicamente accertata, anche a seguito della intervenuta revisione, la non episodica vicinanza del COGNOME alla cosca di cui il COGNOME era esponente di rango.
La Corte territoriale, richiamando le considerazioni fatte dal giudice della revisione, ha innanzitutto indicato le ragioni per cui, seppur formalmente incensurato, il COGNOME dovesse essere ritenuto un esponente qualificato dell’associazione mafiosa (p. 9).
A tali considerazioni, logicamente argomentate, il ricorrere finisce per opporre, puramente e semplicemente, quel dato formale che, invece, l’ordinanza impugnato ha ritenuto, motivatamente, di poter superare.
La Corte territoriale ha inoltre ritenuto accertato, pur a seguito dell’assoluzione, la costante interazione del Bonanno in relazione ad appalti ai quali partecipava il ricorrente (ad es., conv. 16 aprile e 23 aprile 1999); non ricorrendo rapporti amicali, la Corte della riparazione ha quindi evidenziato che la disponibilità del COGNOME (che cedeva i suoi locali per consentire le riunioni del gruppo malavitoso) ed il rapporto tra i due trovasse spiegazione nella posizione di potere assunta sul territorio dal COGNOME.
Vicinanza, del resto, che si è protratta anche dopo l’uccisione del COGNOME, in un agguato di stampo mafioso maturato nell’ambito di dissidi interni al sodalizio (profilo, quest’ultimo, in alcun modo preso in considerazione nel ricorso): il ricorrente, infatti, aveva condiviso un lavoro in Bergamo con NOME COGNOME, altro imprenditore legato alla cosca che, non a caso, fu trovato in
possesso di documentazione riferibile alle offerte presentate dallo stesso COGNOME per altre gare (p. 11 ordinanza).
Coerentemente, quindi, i giudici della riparazione ne hanno tratto elementi per affermare il carattere non episodico della vicinanza del COGNOME al sodalizio criminale, in ragione di un rapporto che andava oltre una persona stessa del Bon anno.
Alla luce di tali indicatori deve ritenersi meramente assertiva l’osservazione del ricorrente secondo cui la condotta del COGNOME “non è andata al di là della mera frequentazione di un soggetto presunto mafioso” (p. 13 ricorso); né si è trattato di un “rapporto di affari”, come immotivatamente affermato in ricorso (p. 12).
Al ricorrente che deduce la irrilevanza di tale frequentazione (p. 3 memoria scritta), occorre replicare richiamando il principio, più volte ribadito da questa Corte, secondo il quale la frequentazione ambigua di soggetti coinvolti in traffici illeciti si presta oggettivamente ad essere interpretata come indizio di complicità e può, dunque, integrare la colpa grave ostativa al diritto alla riparazione (Sez. 4, n. 850 del 28/09/2021, dep. 2022, Denaro Rv. 282565; Sez. 4, n. 53361 del 21/11/2018, Puro Rv. 274498; Sez. 4, n. 8914 del 18/12/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 262436; Sez. 4, n. 1235 del 26/11/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258610; Sez. 4, n. 9212 del 13/11/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 259082).
Principio maturato proprio in relazione a misure cautelari applicate nei confronti di persone indagate quali partecipi di associazioni per delinquere, in un ambito investigativo in cui gli intrecci, gli interessi e le connivenze tra soda assumono valore altamente indiziario proprio in rapporto ai tratti tipici del delitto associativo (in questi termini, in motivazione, Sez. 4, n. 1004 del 10/12/2024, dep. 2025, COGNOME, non mass.).
La Corte territoriale, del resto, ha posto alla base della decisione circostanze storicamente accertate nella sentenza assolutoria, contrariamente a quanto, in termini puramente avversativi, si indica in ricorso (p. 10): sicché, sotto tale profilo, le censure del ricorrente non introducono elementi idonei a incrinare la complessiva correttezza dell’incedere argomentativo, con il quale si è valorizzato, in chiave di assorbente sinergia rispetto alla causazione dell’errore giudiziario, un comportamento di evidente contiguità del Giordano alla cosca.
Simili rapporti, non sporadici (essendo proseguiti anche dopo l’uccisione del Bonanno), sono stati ritenuti insufficienti per provare la penale responsabilità per il reato associativo, sebbene l’estraneità rispetto a quel contesto criminale sia emersa solo a seguito dell’acquisizione, nel giudizio di revisione, di ulterior elementi di prova.
Ma tali condotte, storicamente accertate, hanno legittimante assunto rilievo ai fini della verifica del contributo causale del richiedente rispetto al produrs dell’errore giudiziario.
Che la condotta colposa abbia dato causa all’errore lo si coglie, nell’ordinanza impugnata, dalla evidente correlazione tra i profili oggetto di addebito, le ragioni della condanna e della successiva assoluzione: la condotta colposa abbraccia entrambe i profili oggetto di contestazione (p. 2), e senza di essa si sarebbe evitato l’errore giudiziario.
A fronte di tale percorso argomentativo, il ricorrente, in più punti, ha sottolineato come, in forza delle nuove acquisizioni, fu assolto in sede di revisione (ad es., pp. 3, 6, 7, 9, 11 del ricorso; p. 3 memoria scritta), in tal mod limitandosi, di fatto, a ribadire l’esistenza di uno dei presupposti della domanda di riparazione, senza denunciare alcuna effettiva violazione del disposto di cui all’art. 643 cod. proc. pen..
Né si confronta con il principio secondo il quale il sindacato del giudice di legittimità sull’ordinanza che definisce il procedimento per la riparazione è limitato alla correttezza del procedimento logico giuridico con cui il giudice è pervenuto ad accertare o negare i presupposti per l’ottenimento del beneficio.
Sindacato che non può quindi estendersi all’esame ed alla valutazione degli elementi di fatto acquisiti al processo, riservati alla competenza del giudice di merito.
La valutazione circa l’esistenza di un comportamento gravemente colposo, che sia sinergicamente collegato all’errore giudiziario, costituisce infatti giudizio di merito che, ove sorretto da un ragionamento congruo, logico e non contraddittorio, non è censurabile in questa sede.
Resta invero nelle esclusive attribuzioni del giudice di merito, che è tenuto a motivare adeguatamente e logicamente il suo convincimento, la valutazione sull’esistenza e la gravità della colpa o sull’esistenza del dolo (cfr., in relazion alla riparazione per ingiusta detenzione, ma con argomenti estensibili, Sez. 4, n. 31199 del 28/03/2023, COGNOME, non mass.; Sez. 4, n. 2200 del 12/01/2022, COGNOME, non mass.; Sez. 4, n. 21896 del 11/04/2012, NOME COGNOME, Rv. 253325 – 01).
D’altra parte, la circostanza che il giudizio si svolga dinanzi alla corte d’appello in un unico grado di merito non comporta che in sede di legittimità possano essere fatti valere motivi di ricorso diversi da quelli enunciati dall’art. 606 cod. proc. pen., con tutte le limitazioni in essi previste, poiché una diversa estensione del giudizio, pur talvolta prevista dalla legge, non risulta da alcuna disposizione che, per la sua eccezionalità, non potrebbe che essere esplicita (cfr.,
sempre in relazione alla riparazione per ingiusta detenzione, ma con argomenti estensibili, Sez. 4, n. 574 del 05/12/2024, dep. 2025, COGNOME, non mass.; Sez. 4, n. 17119 del 14/01/2021, Reale, Rv. 281135 – 01).
2.2. Non ha maggior pregio il richiamo del ricorrente (p. 10 ricorso) all’orientamento giurisprudenziale secondo cui se è vero che la causa ostativa espressamente prevista dall’art. 314, comma 1, cod. proc. pen. è applicabile, in linea generale, ad entrambe le ipotesi di ingiusta detenzione, è fatto salvo il caso in cui l’accertamento della insussistenza ab origine delle condizioni di applicabilità della misura avvenga sulla base di una diversa valutazione dei medesimi elementi trasmessi al giudice che ha emesso il provvedimento cautelare (Sez. U, n. 32383 del 27/05/2010, COGNOME, Rv. 247663; conf., Sez. 4, n. 13418 del 12/03/2024, COGNOME non mass.; Sez. 4, n. 6315 del 20/12/2023, COGNOME, non mass.).
Il principio, infatti, non è in alcun modo calato nel caso in esame; inoltre, anche a voler ritenere che la domanda fu proposta ai sensi dell’art. 314, comma 2, cod. proc. pen. (cui si riferisce l’orientamento appena richiamato) non si specifica in che termini una decisione di merito abbia (non assolto il ricorrente ma) accertato l’insussistenza ab origine delle condizioni di applicabilità della misura cautelare.
Anche su tale profilo il ricorso di mostra quindi aspecifico.
Infine, anche il richiamo alla circostanza secondo la quale il ricorrente fu assolto applicando il criterio dell’oltre ogni ragionevole dubbio (p. 5 memoria) appare eccentrico, in quanto ciò che rileva non è la regola di giudizio applicata dal giudice di merito: il Collegio richiama sul punto il principio secondo il quale a fini dell’accertamento della condizione ostativa del dolo o della colpa grave, laddove le conclusioni nel processo penale siano state fondate sul criterio dell’accertamento oltre ogni ragionevole dubbio, il giudice può attribuire agli stessi fatti accertati nel giudizio di cognizione una diversa valutazione probatoria, posto che il richiamato criterio caratterizza solo il giudizio di responsabilità penale (Sez. 4, n. 46589 del 03/12/2024, COGNOME, non mass.; Sez. 4, n. 2145 del 13/01/2021, COGNOME, Rv. 280246 – 01; Sez. 4, n. 34438 del 02/07/2019, Messina, Rv. 276859 – 01).
Stante l’inammissibilità del ricorso, e non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost. sent. n. 186/2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria, che si stima equo quantificare in euro tremila, nonché alla rifusione delle spese in
favore del Ministero resistente, che si liquidano in euro mille, oltre accessori di legge.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Condanna, inoltre, il ricorrente alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dal Ministero resistente che liquida in complessivi euro mille, oltre accessori di legge.
Così deciso il 18 febbraio 2025
Il Consi liere estensore
Il Presidente