Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 20165 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 20165 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 19/04/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da
COGNOME NOME, nata a Catania il DATA_NASCITA
rappresentata ed assistita dall’AVV_NOTAIO, di fiducia
COGNOME NOMENOME nato a Catania il DATA_NASCITA
rappresentato ed assistito dall’AVV_NOTAIO, di fiducia avverso la sentenza in data 22/09/2023 della Corte di appello di Palermo, seconda sezione penale;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
preso atto che non è stata richiesta dalle parti la trattazione orale ai sensi degli artt. 611, comma 1-bis cod. proc. pen., 23, comma 8, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito con modificazioni dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, prorogato in forza dell’art. 5 – duodecies del d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 2022, n. 199 e, da ultimo, dall’art. 17 del d.l. 22 giugno 2023, n. 75, convertito con modificazioni dalla legge 10 agosto 2023, n. 112 e che, conseguentemente, il procedimento viene trattato con contraddittorio scritto;
lette le conclusioni scritte nell’interesse di COGNOME NOME a firma dell’AVV_NOTAIO in data 06/04/2024; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; letta la requisitoria scritta ex art. 23, comma 8, del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176 e succ. modif., con la quale il Sostituto procuratore generale, NOME COGNOME, ha concluso chiedendo di dichiararsi l’inammissibilità dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 22/09/2023, la Corte di appello di Palermo, in parziale riforma della pronuncia resa in primo grado dal Tribunale di Termini Imerese in data 17/05/2022, appellata da NOME COGNOME e da NOME COGNOME, concedeva solo alla prima (già beneficiaria della sospensione condizionale della pena) l’ulteriore beneficio della non menzione. In primo grado i due imputati erano stati NOMEti alla pena di mesi nove di reclusione ed euro 140 di multa (la prima) e alla pena di anni uno, mesi otto di reclusione ed euro 600 di multa (il secondo) per il reato di cui agli artt. 110, 640, secondo comma, n. 2 -bis cod. pen. (fatti commessi in Castronovo di Sicilia fino al 19/07/2018).
Avverso la predetta sentenza, nell’interesse di NOME COGNOME e di NOME COGNOME, sono stati proposti distinti ricorsi per cassazione, i cui motivi vengono di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
3. Ricorso di NOME COGNOME.
Primo motivo: violazione di legge ed in specie dell’art. 68 cod. proc. pen. e 620 lett. g) cod. proc. pen., per errore sull’identità fisica dell’imputata. L’odierna ricorrente, COGNOME NOME, è nata a Catania il DATA_NASCITA; l’intestataria dell’utenza telefonica mobile utilizzata da NOME COGNOME per inviare i messaggi di whatsapp e NOME COGNOME è tale COGNOME NOME, nata a Catania il DATA_NASCITA; il processo è stato istruito e poi celebrato contro tale COGNOME NOME, nata a Catania il DATA_NASCITA. Da qui la richiesta di annullamento senza rinvio della sentenza impugnata.
Secondo motivo: violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento della circostanza attenuante di cui all’art. 62 n. 4 cod. pen. e in ordine all’avvenuto riconoscimento della circostanza aggravante di cui all’art. 61 n. 5 cod. pen., in presenza di una trattativa che ha preso il vi dall’ostensione di un bene su una piattaforma telematica e successivamente
sviluppatasi attraverso contatti telefonici con chiari riferimenti spazio-temporali oltre che personali.
4. Ricorso di NOME COGNOME.
Primo motivo: vizio di motivazione in relazione agli artt. 110 cod. pen. e 192, comma 3, cod. proc. pen., in difetto di univoca e sicura prova circa la sua partecipazione al reato in contestazione.
Secondo motivo: erronea applicazione della legge penale in relazione agli artt. 640, secondo comma, n. 2-bis, 157, 161, 482, 494 e 648 cod. pen. La trattativa nata sulla piattaforma telematica, essendosi sviluppata in frequenti contatti telefonici, non consente di ritenere integrata l’aggravante contestata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso di NOME COGNOME è fondato in relazione al primo assorbente motivo; il ricorso di NOME COGNOME è, invece, inammissibile.
Ricorso di NOME COGNOME.
2.1. Fondato è il primo assorbente motivo.
L’odierna ricorrente NOME COGNOME risulta essere nata a Catania il DATA_NASCITA.
L’intestataria dell’utenza telefonica mobile utilizzata dalla sedicente (irreale) NOME COGNOME per inviare i messaggi whatsapp a NOME COGNOME (persona offesa) risulta essere tale NOME COGNOME nata a Catania il DATA_NASCITA.
Il presente procedimento risulta essere stato istruito e poi celebrato contro altra persona di nome NOME COGNOME nata a Catania il DATA_NASCITA.
L’odierna ricorrente ha lamentato di essere stata ingiustamente destinataria delle conseguenze giuridiche per le quali è tenuta a rispondere altra persona, sua omonima.
2.1.1. Dal consentito accesso agli atti, è stato possibile accertare che: -nella prima iscrizione al registro notizie di reato, l’indagata veniva individuata in COGNOME NOME, nata a Catania il DATA_NASCITA; -successivamente, in data 03/05/2019, il pubblico ministero procedeva all’aggiornamento dell’anagrafica completa e delle generalità della persona sottoposta ad indagini nei seguenti termini: COGNOME NOME, nata a Catania il DATA_NASCITA.
Sin dall’udienza preliminare, si è sempre proceduto contro tale COGNOME NOME, nata a Catania il DATA_NASCITA.
2.1.2. L’attribuzione degli indizi di colpevolezza in capo a COGNOME NOME nata il DATA_NASCITA veniva infatti riconosciuta sulla scorta dei rilievi investigativi svolti, in relazione ai quali (l’originaria) COGNOME NOME nata Catania il DATA_NASCITA (nominativo successivamente – come detto – aggiornato con anagrafica COGNOME NOME nata a Catania il DATA_NASCITA) risultava essere intestataria della SIM dell’utenza telefonica n. NUMERO_TELEFONO, numero telefonico con il quale era stata posta in essere la condotta delittuosa oggetto di contestazione.
Vi è prova documentale che, anche all’udienza dibattimentale del 27/04/2021, il teste di polizia giudiziaria maresciallo NOME COGNOME confermava che la SIM dell’utenza 3801328116 risultava intestata a tale COGNOME NOME nata a Catania il DATA_NASCITA.
2.1.3. Fermo quanto precede, la difesa ha ritenuto che, nella fattispecie, pur in presenza di un evidente errore di persona che investe l’odierna ricorrente a cui sono stati, per errore ed omonimia, notificati atti di un procedimento che è stato istruito nei confronti di altro soggetto, nei confronti del quale non è stat spiegata alcuna difesa, la Corte territoriale, del tutto inopinatamente, aveva omesso di trarre le dovute conseguenze. In tal senso, i giudici di secondo grado hanno ritenuto che “… la tesi difensiva del difetto di sufficiente prova in ordine al effettiva partecipazione degli odierni imputati a tale reato è destituita d fondamento, avendo la polizia giudiziaria accertato che l’utenza telefonica mobile utilizzata dall’irreale NOME COGNOME per inviare i messaggi whatsapp a COGNOME NOME risultava intestata a COGNOME NOME e che la carta Postepay su cui erano stati versati gli acconti risultava intestata a COGNOME NOME. Trattasi, questi, di accertamenti oggettivi che non sono stati smentiti da contrarie emergenze (in proposito, il primo giudice ha giustamente evidenziato l’assenza, sia prima che dopo i fatti di causa, di una denunzia di smarrimento del telefono o della scheda SIM da parte di COGNOME NOME e di una denunzia della stessa e di COGNOME NOME per furto d’identità o dei propri documenti personali) e che, pertanto, possono senz’altro assumere valenza univocamente dimostrativa del diretto coinvolgimento degli imputati nella truffa, vieppiù in difetto di qualsiasi attendibil allegazione degli stessi in ordine alla effettiva ed esclusiva disponibilità del telefono cellulare e della carta Postepay da parte di altri”. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
2.2. Ciò considerato, ritiene il Collegio come, nella fattispecie, non si sia raggiunta, alla luce della regula iuris del doveroso superamento del dubbio ragionevole, la certezza che l’odierna ricorrente sia la effettiva titolare (oltre ch la esclusiva utilizzatrice) dell’utenza mobile 380.1328116 ovvero che la stessa, utilizzando altra utenza, fosse la persona che, con la finta identità di NOME COGNOME, avesse inviato o concorso ad inviare i messaggi di whatsapp a NOME
COGNOME, finalizzati al compimento della contestata condotta delittuosa, ovvero ancora che non esista un’altra persona di nome NOME COGNOME nata a Catania il DATA_NASCITA. Solo in tali casi – che necessariamente presuppongono l’accertamento della ricorrenza di un mero errore materiale nell’identificazione di una stessa persona – non sufficientemente chiariti dai giudici di merito, superati i dubbi sull’identità personale conseguenti alla rilevata parziale omonimia, l’accusa potrebbe ritenersi validamente elevata a carico della odierna ricorrente: da qui la necessità dell’annullamento della presente sentenza nei confronti della stessa e la conseguente doverosità di un nuovo giudizio, finalizzato a chiarire i predetti punti, da parte del giudice di rinvio.
Ricorso di NOME COGNOME.
3.1. Aspecifico e comunque manifestamente infondato è il primo motivo.
Il ricorrente omette di confrontarsi con le argomentate conclusioni dei giudici di merito che hanno ritenuto che l’accertato incameramento del profitto del reato confluito su una carta Postepay intestata allo stesso costituisce elemento di decisiva rilevanza ai fini della dimostrazione della sua partecipazione alla truffa.
3.2. Aspecifico e comunque manifestamente infondato è anche il secondo motivo.
3.2.1. Il Collegio non intende porsi in contrasto con la giurisprudenza maggioritaria secondo cui sussiste l’aggravante della minorata difesa, con riferimento alle circostanze di luogo, note all’autore del reato e delle quali egli, a sensi dell’art. 61, n. 5, cod. pen., abbia approfittato, nell’ipotesi di tru commessa attraverso la vendita di prodotti “on-line”, poiché, in tal caso, la distanza tra il luogo ove si trova la vittima, che di norma paga in anticipo il prezzo del bene venduto, e quello in cui, invece, si trova l’agente, determina una posizione di maggior favore di quest’ultimo, consentendogli di schermare la sua identità, di non sottoporre il prodotto venduto ad alcun efficace controllo preventivo da parte dell’acquirente e di sottrarsi agevolmente alle conseguenze della propria condotta (cfr., Sez. 2, n. 1085 del 14/10/2020, dep. 2021, COGNOME, Rv. 280515; Sez. 6, n. 17937 del 22/03/2017, COGNOME, Rv. 269893; Sez. 2, n. 43706 del 29/09/2016, COGNOME, Rv. 268450).
Tale giurisprudenza identifica le condizioni della minorata difesa nella “costante” distanza tra venditore ed acquirente che gestiscono trattative che si svolgono interamente sulle piattaforme web: tale modalità di contrattazione pone l’acquirente in una situazione di debolezza in quanto è costretto ad affidarsi alle immagini che non consentono una verifica della qualità del prodotto; a ciò si aggiunge che la trattativa telematica consente di vendere (ed acquistare) sotto
falso nome rendendo difficile anche l’identificazione del contraente e difficile il controllo sulla sua affidabilità.
3.2.2. In sintesi, la compravendita on-line richiede un particolare affidamento del contraente alla buona fede dell’altro, dato che le trattative si svolgono integralmente a distanza, senza che sia possibile verificare la identità e la qualità del prodotto. Diversamente quando, come nel caso in esame, la trattativa prenda avvio dall’ostensione di un bene su una piattaforma telematica, ma poi si sviluppi attraverso contatti telefonici – oggi in gran parte sostituiti dal messaggistica istantanea – ed incontri in presenza, non può dirsi che i contraenti versino in una condizione di particolare vulnerabilità; gli stessi risultano esposti a ordinarie azioni fraudolente, che non risultano agevolate dalla condizione di minorità in cui è posta la vittima di truffe contrattuali che si consumano attraverso trattative svolte interamente “a distanza”, su piattaforme web.
3.2.3. Nel caso in esame, i giudici di secondo grado hanno evidenziato come tutto sia avvenuto “a distanza”, “… non essendovi stato, dopo il primo contatto tramite piattaforma, alcun incontro in presenza tra le parti, né essendosi verificata, nel corso di tali trattative a carattere “istantaneo”, altra circostanza idonea a rendere atipica l’azione truffaldina, sicchè gli imputati – strumentalizzando consapevolmente la piattaforma facebook per occultare la propria identità personale in modo, così, da poter sottrarsi più agevolmente alle conseguenze delle proprie proposte contrattuali artificiose – hanno concretamente approfittato delle circostanze di luogo per indurre COGNOME NOME a confidare sulla bontà dell’affare mediante la falsa rappresentazione della disponibilità delle case vacanza oggetto della di lei richiesta di affitto, senza altresì darle modo di addivenire alla conclusione del contratto attraverso un rapporto personale e diretto, essendo la stessa stata sollecitata – sempre per mezzo di inganno (ci si riferisce alla prospettata esistenza di altre trattative in corso con altri per le stesse case) e sempre con modalità “virtuali” (ci si riferisce al messaggio whatsapp) – a provvedere immediatamente al versamento dell’acconto …”: da qui la ritenuta ricorrenza dell’aggravante in parola.
Ancora una volta, la censura reitera sostanzialmente quella del gravame d’appello senza confrontarsi con la motivazione.
4. Alla pronuncia consegue:
-l’annullamento della sentenza impugnata nei confronti di NOME COGNOME, con rinvio per nuovo giudizio ad atra sezione della Corte di appello di Palermo;
-la declaratoria di inammissibilità del ricorso di NOME COGNOME che, per il disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., va NOMEto al pagamento delle spese processuali
e della somma di euro tremila, così quantificata in ragione dei profili di colpa
emergenti dal ricorso, in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME, con rinvio per nuovo giudizio ad atra sezione della Corte di appello di Palermo. Dichiara inammissibile il ricorso di COGNOME NOME NOME NOME al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 19/04/2024.