Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 7437 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 7437 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 17/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a PALO DEL COLLE il 12/09/1966
avverso la sentenza del 08/03/2024 della CORTE DI CASSAZIONE di ROMA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il pubblico ministero in persona del Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio e la revoca della sentenza impugnata;
udito il difensore del ricorrente, avv. NOME COGNOME che si riporta ai motivi di ricorso e insiste per l’accoglimento dello stesso associandosi alla richiesta del PG e chiedendo l’annullamento con rinvio del provvedimento originariamente impugnato.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe, questa Corte ha rigettato il ricorso proposto avverso l’ordinanza della Corte di appello di Roma del 19.05.2023 che riconosceva il vincolo della continuazione fra i reati accertati a carico di NOME COGNOME con le sentenze della Corte di appello di Roma del 21/03/2022 e della
Corte di appello di Bari del 29/09/2021, e rideterminava la pena complessiva in anni sedici di reclusione.
In particolare, questa Corte ha ritenuto corretta la determinazione della pena in quanto nella sentenza n.1937/2021 del 30/05/2014, la pena stabilita in primo grado per il reato più grave di cui al capo A) era stata determinata in anni otto mesi sei di reclusione e in sede di incidente di esecuzione la pena per il reato associativo di cui al capo A) era stata determinata in anni sei mesi tre di reclusione (pena poi aumentata ex art.81 cod. pen., in ragione di mesi due di reclusione per ciascuno dei reati scopo contestati).
Contro l’anzidetta sentenza, l’imputato propone ricorso a mezzo del difensore di fiducia avv. NOME COGNOME affidato ad un unico motivo.
2.1 D ricorrente lamenta violazione dell’art. 606 lett. b) cod. proc. pen. in relazione agli artt.671 cod. proc. pen. e art.187 disp. att. cod. proc. pen., deducendo che la Corte sarebbe incorsa in errore percettivo in fatto non considerando che l’aumento di pena il reato di cui al capo A) della sentenza n.1937/2014 era stato successivamente rideterminato con sentenza della Corte di appello di Roma n.3108/2022 del 21/03/2022, irrevocabile il 5/09/2022, in anni uno mesi due di reclusione e che l’aumento di pena di cui all’ordinanza n.652/2023 della Corte di appello di Roma pari ad anni sei mesi tre di reclusione violava il divieto di reformatio in peius in quanto la pena di anni quattro mesi due di reclusione (già ridotta per l’abbreviato) è superiore a quella di anni uno mesi due di reclusione già in precedenza individuata per il medesimo delitto di cui al capo A) della sentenza 1937/2014 del 30/05/2014.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Alla disamina del ricorso, va premessa la verifica della legittimazione del Lubisco al rimedio straordinario azionato.
1.1 Secondo l’insegnamento di legittimità, autorevolmente espresso (Sez. U, n. 13199 del 21/07/2016 – dep. 2017, Nunziata, Rv. 269789) e di seguito riaffermato (Sez. 5, n. 33143 del 26/03/2018, COGNOME, Rv. 273773; Sez. 5, Sentenza n. 25239 del 13/07/2020, Rv. 279466 – 01), il ricorso straordinario di cui all’art. 625-bis cod. proc. pen. può essere proposto dal condannato anche per la correzione dell’errore di fatto contenuto nella decisione della Corte di cassazione emessa su ricorso avverso l’ordinanza del giudice dell’esecuzione, quando tale decisione, intervenendo a stabilizzare il giudicato, determina l’irrimediabilità del pregiudizio derivante dall’errore di fatto.
2. Il ricorso è infondato.
è noto che l’errore di fatto verificatosi nel giudizio di legittimità e oggetto del rimedio previsto dall’articolo 625 bis c.p.p. consiste in un errore percettivo causato da una svista o da un equivoco in cui la Corte di Cassazione sia incorsa nella lettura degli atti interni al giudizio stesso e connotato dall’influenza esercitata sul processo formativo della volontà, viziato dall’inesatta percezione delle risultanze processuali che abbia condotto a una decisione diversa da quella che sarebbe stata adottata senza di esso. Occorre che lo sviamento della volontà del giudice sia non solo decisivo, ma anche di oggettiva immediata rilevabilità, nel senso che il controllo degli atti processuali deve far trasparire, in modo diretto ed evidente, che la decisione è stata condizionata dall’inesatta percezione e non dall’errata valutazione o dal non corretto apprezzamento di quegli atti, nel qual caso la qualificazione appropriata è quella corrispondente all’errore di giudizio.
Ciò è stato più volte affermato da questa Corte, in particolare con la sentenza a Sezioni Unite n. 16103 del 27/03/2002 (Rv. 221280, ric. Basile), nella quale è stato precisato in motivazione che: 1) qualora la causa dell’errore non sia identificabile esclusivamente in una fuorviata rappresentazione percettiva e la decisione abbia comunque contenuto valutativo, non è configurabile un errore di fatto, bensì di giudizio; 2) sono estranei all’ambito di applicazione dell’istituto gl errori di interpretazione di norme giuridiche, sostanziali o processuali, ovvero la supposta esistenza delle norme stesse o l’attribuzione ad esse di una inesatta portata, anche se dovuti ad ignoranza di indirizzi giurisprudenziali consolidati, nonché gli errori percettivi in cui sia incorso il giudice di merito, dovendosi questi ultimi far valere – anche se risoltisi in travisamento del fatto – soltanto nelle forme e nei limiti delle impugnazioni ordinarie; 3) l’operatività del ricorso straordinario non può essere limitata alle decisioni relative all’accertamento dei fatti processuali, non risultando giustificata una simile restrizione dall’effettiva portata della norma in quanto l’errore percettivo può cadere su qualsiasi dato fattuale (Sez. Un., 27 marzo 2002 n. 16104, COGNOME, rv. 220292; Sez. Un. 27/03/2002 n. 16103, COGNOME, Rv. 221283; Sez. 4, Sentenza n. 34156 del 21/06/2004, Rv. 229099 – 01; Sez. 2, Sentenza n. 44327 del 11/10/2005, Rv. 232780 – 01).
La sentenza impugnata non incorre in un errore materiale percettivo, in fatto, immediatamente ed oggettivamente rilevabile in base al semplice controllo del contenuto del ricorso, in quanto, in premessa, individua con esattezza la questione sottoposta al giudice della esecuzione e le ragioni dell’aumento di pena che applica a titolo di continuazione per il reato associativo di cui al capo a), nella misura di anni sei mesi tre di reclusione, inferiore a quello disposto con sentenza n.1937/2014 nella misura di anni otto mesi sei di reclusione, ritenendolo congruo,
sebbene l’aumento di pena per tale reato era stato successivamente rideterminato in anni uno mesi due di reclusione con sentenza della Corte di appello di Roma n.3108/2022 del 21/03/2022, irrevocabile il 5/09/2022, che riconoscendo il vincolo della continuazione e ritenendo più grave il reato di cui al capo g), determinava la pena base per tale reato in anni dieci di reclusione.
La sentenza impugnata individua il principio di diritto applicabile in sede di esecuzione per la rideterminazione della pena a titolo di continuazione tra reati separatamente giudicati con sentenze, ciascuna delle quali per più violazioni già unificate ai sensi dell’art.81, comma 2, cod. pen., richiamando la costante giurisprudenza di questa Corte, secondo cui qualora sia applicata in sede esecutiva la continuazione tra distinte condanne, delle quali quella a pena più grave sia stata pronunciata per una pluralità di reati già uniti nel giudizio di cognizione dal vincolo della continuazione, deve essere assunta come pena base quella inflitta in tale giudizio per la violazione più grave, prescindendosi dall’aumento per i reati satellite che va determinato ex novo dal giudice dell’esecuzione (Sez. 1, n. 45161 del 27/10/2004, COGNOME, Rv. 229822), anche per quelli già riuniti nella continuazione con il reato più grave posto alla base del nuovo computo (Sez. 1, n. 4911 del 15/01/2009, Neder, Rv. 243375). In altri termini, il giudice dell’esecuzione deve dapprima scorporare tutti i reati che il giudice della cognizione abbia riunito in continuazione, individuare quello più grave e solo successivamente, sulla pena come determinata per quest’ultimo dal giudice, operare autonomi aumenti per i reati satellite, compresi quelli già riuniti in continuazione con il reato posto a base del nuovo computo (Sez. 1 n. 21424 del 19/03/2019, COGNOME, Rv. 275845), al fine di consentire il vaglio di congruità della pena concordata che lo stesso è tenuto ad effettuare (Sez. 1, Sentenza n. 17948 del 31/01/2024, Rv. 286261 – 01). La necessità di rideterminare la pena per la sopravvenienza di nuovo titolo definitivo di detenzione, che si assuma in continuazione con fatti già oggetto di precedente provvedimento del giudice dell’esecuzione emesso ai sensi dell’art.671 cod. proc. pen. non consente di modificare in senso peggiorativo il contenuto del precedente provvedimento di unificazione (Sez.1, n.26460 del 11/04/2013, Cocos, Rv. 256043-01). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
La sentenza impugnata, aderendo alle richieste del Procuratore Generale, ed uniformandosi al richiamato principio di diritto, ha ritenuto corretto il percorso logico – argomentativo del giudice dell’esecuzione che, nel determinare l’aumento di pena per il reato satellite contestato al capo a), a seguito dello scorporo di tutti i reati già riuniti in continuazione, ha compiuto una nuova ed autonoma valutazione rispetto a quella precedente compiuta in sede di cognizione, nell’ambito di un diverso contesto, operando autonomi aumenti per i reati satellite,
compresi quelli già riuniti in continuazione con il reato posto a base del nuovo computo.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 17/01/2025.