Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 205 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 205 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 24/10/2023
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza n. 44 del 25/10/2022, depositata il 03/01/2023, la Corte di cassazione, Sesta sezione penale, dichiarava inammissibile il ricorso per cassazione che era stato proposto da NOME COGNOME contro la sentenza del 12/03/2021 della Corte d’appello di Messina che aveva confermato la sentenza del 04/10/2019 del Tribunale di Messina di condanna del COGNOME alla pena di due anni e
sei mesi di reclusione per il reato di calunnia ai danni di NOME COGNOME oltre che al risarcimento del danno in favore dello stesso COGNOME che si era costituito parte civile.
Avverso la menzionata sentenza n. 44 del 25/10/2022 della Corte di cassazione, ha proposto ricorso straordinario, ai sensi dell’art. 625-bis cod. proc. pen., NOME COGNOME denunciando i seguenti asseriti errori di fatto che sarebbero stati commessi dalla Corte di cassazione nell’esaminare diversi motivi del menzionato originario ricorso per cassazione.
Quanto all’esame dei primo motivo, il ricorrente lamenta l’asserito «errore percettivo» che discenderebbe dal fatto, che costituirebbe il trascurato «puntum dolens», che «tutti i Giudici Territoriali non abbiano motivato sulle richieste eccezioni» (di nullità del decreto che dispone il giudizio per la prospettata genericità dell’imputazione, con la conseguente nullità derivata della sentenza di primo grado).
Quanto all’esame del secondo motivo, il ricorrente lamenta un asserito «errore percettivo» in ragione della «apodittica pseudo-motivazione» che sarebbe stata resa dalla Corte di cassazione riguardo a detto motivo.
In apertura del ricorso, il Crea aveva contestato che fosse «frutto di svista e di puro equivoco il fatto che l’odierno ricorrente sia stato Fin qui giudicato condannato sulla base di un capo di imputazione, caratterizzato da indeterminatezza e genericità , originante l’errore di fatto evidente già nell’errata sopra riportata ricostruzione fattuale della Corte giudicante, qui complessivamente contestato, capo di imputazione formulato le.tteralmente sulla base di un reato impossibile, in quanto non previsto dalla Legge. Infatti, l’attribuito reato di calunnia è contestabile solo a chi “incolpa di un reato taluno che egli sa innocente”: tale consapevolezza non è neppure minimamente sollevata dal P.M., in quanto notoriamente insussistente».
Quanto all’esame del terzo motivo, il ricorrente lamenta che: 3.1) «non corrisponde al vero che l’allora imputato non abbia motivato in dettaglio il proprio interesse» a fare valere la nullità derivante dall’omessa citazione in giudizio del Ministro della giustizia, persona offesa dal reato; 3.2) la Corte di cassazione avrebbe fatto «digeri» sia all’imputato sia al Ministro della giustizia un processo nel quale l’omessa citazione di tale Ministro aveva comportato la violazione del contraddittorio sin dall’udienza preliminare, con la conseguente lesione del diritto di difesa di cui all’art. 24, secondo comma, Cost., del principio di legalità di cui all’art. 25 Cost. e del principio del giusto processo di cui all’art. 111 Cost.; 3.3) nell’affermare la decadenza dall’eccezione della menzionata nullità, la stessa Corte di cassazione sarebbe «incors in ulteriore errore di fatto, quando non percepisce non solo che il menzionato termine [di cui agli artt. 181, comma 3, e 491, comma
1, cod. proc. pen.] era stato rispettato con memoria con richieste, ritualmente depositata ex art. 121 c.p.p., ma che il difensore (d’ufficio) non ha fatto valere la suddetta nullità nell’udienza per la “disarma delle questioni preliminari al dibattimento” perché assente volontariamente, in quanto, a suo dire, aveva maturato l’errato ed illegittimo convincimento che l’imputato avesse potuto nominare un Difensore di fiducia».
Quanto all’esame del quarto motivo, il ricorrente lamenta l’«errore percettivo» nel quale sarebbe incorsa la Corte di cassazione con l’affermare, «su errati presupposti», che «il ricorso non va oltre la generica evocazione di un dissidio tra imputato ed avvocato, non confortata da specifiche allegazioni, ma anzi logicamente smentita dalla prosecuzione dell’attività difensiva di quel professionista anche nel grado successivo del giudizio» e l’ulteriore «svista percettiva» nella quale sarebbe caduta la Corte di cassazione con l’affermare che la revoca del difensore di fiducia (l’avv. NOME COGNOME) da parte del COGNOME sarebbe stata una «forma di manifestazione di un più generale comportamento fortemente ostruzionistico» dello stesso COGNOME. Il ricorrente deduce ancora il «gravissimo errore di fatto» (definito anche «gravissimo e determinante errore percettivo di fatto») che sarebbe stato commesso dalla Corte di cassazione là dove essa «non percepisce la posizione pregiudiziale del Giudice di prime cure» e la «gravissima svista nella lettura degli atti, anche in merito al ruolo imposto al Difensore d’Ufficio», «costretto dal Giudice Monocratico del Tribunale di Messina ad assumere un siffatto illegittimo ruolo», nonostante il Crea gli avesse revocato la nomina a difensore di fiducia.
Quanto all’esame del quinto motivo, il ricorrente lamenta la «grave svista percettiva» nella quale sarebbe incorsa la Corte di cassazione col ritenere che, nell’atto di appello dell’imputato, non fosse stata avanzata richiesta di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale e che la stessa richiesta non fosse stata «riproposta e puntualmente motivata nel ricorso in Cessazione».
Quanto all’esame del sesto motivo, relativo all’asserito diniego, al Crea, di rendere dichiarazioni spontanee all’esito della discussione del giudizio di primo grado, il ricorrente lamenta: 6.1) la «svista percettiva» in cui sarebbe incorsa la Corte di cassazione nel non considerare che, essendo stato il Crea allontanato dall’aula con l’assicurazione, da parte del giudice del Tribunale di Messina, che gli sarebbe stato consentito di rendere dichiarazioni spontanee dopo l’escussione del testimoni («Dopo i testi le farà»), egli «restava in fiduciosa attesa di essere richiamato per rendere le richieste dichiarazioni spontanee dopo la escussione dei testi», senza potere rientrare nell’aula di udienza senza l’autorizzazione del giudice che lo aveva espulso; 6.2) l’«errore percettivo di fatto» «rispetto al dato fattuale
che l’imputato, dal momento dell’allontanamento, non era più a conoscenza dello svolgimento del processo».
Quanto all’esame del settimo motivo, con il quale il Crea aveva lamentato la ritenuta sussistenza del dolo della calunnia, il ricorrente deduce «l’errore percettivo di fatto» che risiederebbe nella «svista» che sarebbe costituita dall’avere la Corte di cassazione «scambia come attribuite alle denuncequerele del Crea accuse di colpevolezza al Bruno, gabellate come riferite al vecchio procedimento penale a carico del Bruno, conclusosi con un decreto di archiviazione del 16 agosto 2007».
Quanto all’esame del nono motivo, relativo al diniego delle circostanze attenuanti generiche e al trattamento sanzionatorio, il ricorrente deduce la «svista» nella quale sarebbe incorsa la Corte di cassazione cori l’affermare – con riguardo al diniego delle menzionate circostanze attenuanti – che effettivamente non si comprendeva se, nel valorizzare l’esistenza di precedenti specifici del Crea, la Corte d’appello di Messina si fosse riferita soltanto alla condanna per diffamazione nei confronti sempre del NOME o anche ad altre condanne.
Quanto all’esame del decimo motivo, il ricorrente lamenta che la Corte di cassazione avrebbe commesso la «gravissima svista» di non valutare la questione, che era stata prospettata con tale motivo, della mancata dichiarazione di astensione, per gravi ragioni di convenienza, del giudice di primo grado.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deve, complessivamente, essere rigettato.
L’asserito errore percettivo che sarebbe stato commesso dalla Corte di cassazione nell’esaminare il primo motivo del ricorso originario (punto 1 della parte in fatto) è insussistente.
Infatti, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, la Corte di cassazione non ha affatto trascurato «l’eventuale difetto di motivazione della sentenza impugnata in ordine alla eccezione» di nullità della sentenza di primo grado che sarebbe derivata dalla nullità del decreto che dispone il giudizio per la prospettata genericità dell’imputazione, ma ha valutato che’ poiché la Corte d’appello di Messina si era pronunciata sul merito di tale eccezione, rigettandola, non c’era motivo che la stessa Corte d’appello verificasse l’eventuale difetto di motivazione della sentenza di primo grado in ordine alla stessa, infondata, eccezione.
La doglianza proposta con riguardo all’esame, da parte della Corte di cassazione, del secondo motivo del ricorso originario (punto 2 della parte in fatto), è inammissibile per genericità, atteso che il ricorrente si è limitato ad affermazioni, appunto, del tutto generiche e a riportare la parte conclusiva della motivazione
della sentenza della Corte di cassazione relativa al suddette motivo di ricorso («D’altro canto l’imputato si è ampiamente difeso ed il ricorso non adduce alcun elemento di possibile incertezza delle accuse rivoltegli»), senza in alcun modo indicare quale sarebbe l’errore di fatto nel quale la stessa Corte di cassazione sarebbe incorsa.
Quanto alla doglianza avanzata in apertura del ricorso – con la quale il Crea ha contestato che fosse «frutto di svista e di puro equivoco il fatto che l’odiern ricorrente sia stato fin qui giudicato e condannato sulla base di un capo di imputazione, caratterizzato da indeterminatezza e genericità , originante l’errore di fatto evidente già nell’errata sopra riportata ricostruzione fattuale del Corte giudicante, qui complessivamente contestato, capo di imputazione formulato letteralmente sulla base di un reato impossibile, in quanto non previsto dalla Legge. Infatti, l’attribuito reato di calunnia è contestabile solo a chi “incolpa un reato taluno che egli sa innocente”: tale consapevolezza non è neppure minimamente sollevata dal P.M., in quanto notoriamente insussistente» – si deve osservare come la Corte di cassazione, nello scrutinare il secondo motivo del ricorso originario, abbia dato mostra di avere letto il capo d’imputazione e ne abbia motivatamente escluso la lamentata genericità, con la conseguenza che tale decisione ha un contenuto valutativo e che non è configurabile alcun errore di fatto ma, in astratto, di giudizio, il che è estraneo al paradigma dell’art. 625-bis cod. proc. pen.
4. La doglianza proposta con riguardo all’esame, da parte della Corte di cassazione, del terzo motivo del ricorso originario (punto 3 della parte in fatto) è in parte infondata e in parte non consentita, atteso che: a) quanto alla censura sub 3.1) della parte in fatto, la Corte di cassazione, contrariamente a quanto asserito dal ricorrente, non ha affermato che il Crea non aveva motivato il proprio interesse a fare valere la nullità derivante dall’omessa citazione in giudizio della persona offesa dal reato Ministro della giustizia, il che comporta l’infondatezza dell’odierna doglianza; b) quanto alla censura sub 3.2) della parte in fatto, con essa non viene denunciato alcun errore di fatto – ma, in astratto, di giudizio – con la conseguenza che la doglianza è estranea al paradigma dell’art. 625-bis cod. proc. pen. e non è, perciò, consentita; c) quanto alla censura sub 3.3) della parte in fatto, si deve rilevare che la Corte di cassazione ha reputato – in via principale e, evidentemente, dirimente – che il Crea non avesse interesse all’osservanza della disposizione di cui all’art. 430, comma 4, cod. proc. pen., con riguardo all’omessa notificazione del decreto che dispone il giudizio alla persona offesa Ministro della giustizia, con ciò esprimendo, all’evidenza, una valutazione in diritto, la quale non presuppone alcuna attività percettiva, con la conseguenza che qualsiasi doglianza
in proposito risulterebbe estranea all’ambito dei possibili motivi di ricorso straordinario.
Tale valutazione della Corte di cassazione non è stata oggetto di censure da parte del ricorrente. Da ciò consegue che, essendo la stessa valutazione, come si è detto, di per sé dirimente, anche qualora dovesse in astratto ritenersi che la stessa Corte di cassazione abbia erroneamente reputato che il Crea non avesse tempestivamente eccepito la nullità da lui invocata, il riscontro di un tale errore sarebbe comunque inidoneo a condurre a una decisione diversa, atteso che resterebbe comunque ferma la ricordata principale e in sé dirimente valutazione circa il difetto di interesse del Crea all’osservanza della disposizione violata. Si può, peraltro, aggiungere che è lo stesso ricorrente ad affermare, nel proprio ricorso, che il difensore d’ufficio del Crea, dopo essersi allontanato, «veniva rintracciato» e «dal Giudice ammesso» e che lo stesso difensore «non ha fatto valere la suddetta nullità nell’udienza per la “disamina delle questioni preliminari al dibattimento”», con la conseguenza che la Corte di cassazione non appare avere commesso il denunciato errore con l’affermare che il difensore dell’imputato non aveva proposto la questione concernente la menzionata nullità entro il termine previsto dal combinato disposto degli artt. 181, comma 3, e 491, comma 1, cod. proc. pen. («subito dopo compiuto per la prima volta l’accertamento della costituzione delle parti»).
La doglianza proposta con riguardo all’esame, da parte della Corte di cassazione, del quarto motivo del ricorso originario (punto 4 della parte in fatto) non è consentita.
In proposito, si deve rilevare come la Corte di cassazione abbia compiutamente motivato: sia, in punto di diritto, richiamando Sez. 1, n. 4036 del 27/03/1996, COGNOME, Rv. 204213 (la quale ha affermato il principio secondo cui, attesi i differenti presupposti della difesa di fiducia e di quella d’ufficio, non p riguardarsi come illegittima la designazione, da parte del giudice, come difensore d’ufficio, del medesimo legale che, già investito di mandato fiduciario, vi aveva rinunciato, restando peraltro tenuto, ai sensi dell’art. 107, comma 3, cod. proc. pen., a continuare, medio tempore, ad assicurare la difesa della parte), in ordine alla legittimità della designazione, da parte del giudice (in particolare, del Tribunale di Messina), quale difensore di ufficio (ex art. 97, cornma 1, cod. proc. pen.), del difensore già investito da mandato fiduciario e poi revocato; sia, in punto di fatto, in ordine alla circostanza che, nella specie, tale revoca non si dovesse ritenere determinata dal venir meno del rapporto fiduciario tra il COGNOME e l’avv. COGNOME – come era dimostrato anche dal fatto che, nonostante l’evocato dissidio con tale difensore, questi aveva attivamente proseguito l’attività difensiva dell’imputato anche nel successivo grado di giudizio – ma costituisse una
manifestazione del più generale comportamento ostruzionistico che era stato tenuto dal Crea nel corso del processo.
Tale motivazione rappresenta il frutto di un giudizio e non di una in ipotesi fuorviata rappresentazione percettiva, con la conseguenza che la censura si deve ritenere estranea al paradigma dell’art. 625-bis cod. proc. pen. e, perciò, non consentita.
La doglianza proposta con riguardo all’esame, da parte della Corte di cassazione, del quinto motivo del ricorso originario (punto 5 della parte in fatto) è manifestamente infondata.
Si deve infatti in proposito rilevare che, come risulta dalla lettura del ricorso originario del Crea nel punto che qui interessa (in particolare, il punto 5, sviluppato alle pagine da 12 a 14), con esso l’imputato non si era doluto del fatto la Corte d’appello di Messina non avesse disposto la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale al fine di escutere i testimoni che erano stati revocati dal Tribunale di Messina, ma della motivazione con la quale la stessa Corte d’appello aveva ritenuto che il menzionato potere di revoca fosse stato correttamente esercitato.
Ne consegue che del tutto legittimamente la Corte di cassazione, nella sentenza impugnata, non ha esaminato la questione della rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, atteso che la stessa non le era stata devoluta, limitandosi ad esaminare solo la questione, effettivamente oggetto del motivo di ricorso dell’imputato, della motivazione della sentenza della Corte d’appello di Messina in ordine all’esercizio, da parte del Tribunale di Messina, del potere di revoca conferito al giudice dall’art. 495, comma 4, cod. proc. pen.
La doglianza proposta con riguardo all’esame, da parte della Corte di cassazione, del sesto motivo del ricorso originario (punto 6 della parte in fatto) non è fondata.
È vero che la Corte di cassazione, nella sentenza impugnata, non ha fatto cenno alla richiesta del Crea di rendere dichiarazioni spontanee e all’assicurazione, da parte del giudice del Tribunale di Messina, che ciò gli sarebbe stato consentito dopo l’escussione dei testimoni; ciò che avrebbe implicato la necessaria riammissione dell’imputato nell’aula di udienza dalla quale era stato espulso. La sentenza impugnata si è infatti limitata a rilevare come la Corte d’appello di Messina avesse evidenziato «l’assenza di una richiesta dell’imputato di rendere dichiarazioni spontanee».
A tale proposito, si deve peraltro rilevare che, nel proprio motivo di appello sul punto (punto 6, pagine 14-15), il ricorrente non aveva dedotto ciò, ma si era limitato a lamentare l’«rror in procedendo per omessa concessione della parola al fine di pronunciare dichiarazioni finali», sull’assunto che, «allontanando l’imputato dall’aula, e soprattutto non richiamandolo al momento della decisione,
pur potendolo e dovendolo fare, il Giudice ha impedito all’imputato di potersi difendere compiutamente».
Ne consegue che legittimamente la Corte di cassazione, nella sentenza oggi impugnata, non ha fatto cenno alla richiesta del Crea di rendere dichiarazioni spontanee e all’assicurazione, da parte del giudice del Tribunale di Messina, che ciò gli sarebbe stato consentito dopo l’escussione dei testimoni, atteso che la censura fondata su tale deduzione non era stata devoluta al giudice dell’appello e, perciò, si appalesava come del tutto nuova e, perciò, non consentita.
La Corte di cassazione ha peraltro motivato il rigetto del motivo di ricorso limitatamente alla parte in cui esso si poteva ritenere ammissibile – argomentando che la richiesta di rendere dichiarazioni spontanee non era stata resa impossibile dall’espulsione dell’imputato dall’aula di udienza, in quanto, ai sensi dell’art. 475, commi 2 e 3, cod. proc. pen., l’imputato espulso è rappresentato dal suo difensore e l’ingresso in aula gli è sempre consentito qualora egli intenda rendere dichiarazioni spontanee. Tale motivazione si fonda, in effetti, sull’interpretazione dei menzionati commi 2 e 3 dell’art. 475 cod. proc. pen. – nel senso che essi non escludono la possibilità per l’imputato espulso dall’aula di chiedere di rendere dichiarazioni spontanee – e non è, quindi, censurabile in sede di ricorso straordinario.
La doglianza proposta con riguardo all’esame, da parte della Corte di cassazione, del settimo motivo del ricorso originario (punto 7 della parte in fatto) è inammissibile per genericità, atteso che il ricorrente ha del tutto omesso di chiarire con quale affermazione e per quale ragione la Corte di cessazione avrebbe «scambia come attribuite alle denunce-querele del Crea accuse di colpevolezza al NOME, gabellate come riferite al vecchio procedimento penale a carico del NOME, conclusosi con un decreto di archiviazione del 16 agosto 2007», così da rendere anche impossibile, per il Collegio, comprendere il contenuto della doglianza.
La doglianza proposta con riguardo all’esame, da parte della Corte di cassazione, del nono motivo del ricorso originario (punto 8 della parte in fatto) non è consentita.
Con essa, il ricorrente qualifica infatti come «svista» un’affermazione della Corte di cassazione – quella secondo cui non era chiaro se, nel valorizzare, ai fini del diniego delle circostanze attenuanti generiche, l’esistenza di precedenti specifici del Crea, la Corte d’appello di Messina si fosse riferita solo alla condanna per la diffamazione nei confronti dello stesso NOME o anche ad altre condanne la quale non configura, all’evidenza, una «svista» né la commissione di un errore di fatto da parte della Corte di cassazione.
La doglianza proposta con riguardo all’esame, da parte della Corte di cassazione, del decimo motivo del ricorso originario (punto 9 della parte in fatto) non è fondata.
Con il decimo motivo del ricorso originario, il Crea aveva avanzato due profili di censura: a) il primo, relativo all’asserita violazione dell’obbligo di astensione del giudice di primo grado del Tribunale di Messina per gravi ragioni di convenienza, ai sensi dell’art. 36, comma 1, lett. h), cod. proc. pen.; b) il secondo, relativo all’asserita nullità della sentenza di secondo grado per la mancata dichiarazione della conservazione di efficacia degli atti che erano stati compiuti dalla Corte d’appello di Messina con il concorso di un giudice che si era poi astenuto.
Dalla lettura dell’impugnata sentenza della Sesta sezione di questa Corte risulta che essa ha esaminato soltanto quest’ultimo profilo di censura mentre ha omesso di esaminare il primo profilo di censura, ciò che costituisce la ragione del motivo di ricorso in esame.
A tale proposito, si deve tuttavia ritenere che non scorrettamente la Corte di cassazione, nella sentenza impugnata, non abbia dato spazio a tale profilo di censura, atteso che esso atteneva a una questione di diritto manifestamente infondata, con la conseguenza che, in presenza di un’esatta soluzione, anche se non motivata o motivata in modo contraddittorio o illogico, non poteva sussistere alcuna ragione di doglianza (Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, COGNOME, Rv. 280027-05).
Il profilo di censura era infatti manifestamente infondato in diritto, ancorché la motivazione della Corte d’appello di Messina – secondo cui «l’invocata violazione dell’art. 36 c.p.p. non può comportare la nullità del provvedimento impugnato in quanto la parte, dinnanzi alla violazione dell’obbligo di astensione del Giudice, ha a disposizione lo strumento processuale della ricusazione disciplinato dall’art. 37 c.p.p.» – debba essere rettificata.
La Corte di cassazione ha infatti chiarito, con orientamento da tempo consolidato, che l’inosservanza, da parte del giudice, dell’obbligo di astensione riconducibile alle «gravi ragioni di convenienza», di cui all’art. 36, comma 1, lett. h), cod. proc. pen., la quale non costituisce motivo di ricusazione – dovendosi, perciò, rettificare, in ordine a tale aspetto, l’opposta affermazione che è contenuta nella motivazione della sentenza della Corte d’appello di Messina – non comporta una nullità generale e assoluta della sentenza, non incidendo sulla capacità del giudice, e può rilevare soltanto in sede di responsabilità disciplinare (Sez. 2, n. 19292 del 15/01/2015, NOME, Rv. 263518-01, successivamente richiamata da Sez. 1, n. 30033 del 11/09/2020, Bilancia, Rv. 279732-01), sicché si deve, pertanto, ritenere che «l’imputato può soltanto “sollecitare”, in via informale, l’astensione del membro di un Collegio giudicante
per il quale possa prefigurarsi la situazione di cui all’ all’art. 36 c.p.p., comma 1, lett. h), ma non ha a disposizione strumenti processuali che gli consentano di censurare la mancata astensione del medesimo decidente, né nell’ambito dello stesso grado del procedimento né in sede di impugnazione» (così Sez. 2, n. 19292 del 15/01/2015, cit.); con la conseguenza che non era neppure astrattamente ipotizzabile un vizio della sentenza che l’imputato potesse fare valere nell’ambito del processo.
Pertanto, il ricorso deve essere rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento.
Dal rigetto del ricorso consegue altresì la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile NOME COGNOME che si liquidano in complessivi C 3.510,00, oltre accessori di legge.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, il ricorrente alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile NOME COGNOME che si liquidano in complessivi C 3.510/00, oltre accessori di legge.
Così deciso il 24/10/2023.