Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 6980 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 6980 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 29/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato a PALERMO il 04/04/1955 avverso la sentenza del 28/03/2024 della CORTE DI CASSAZIONE di ROMA udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Il procedimento si celebra con contraddittorio scritto, senza la presenza delle parti in mancanza di richiesta di trattazione orale pervenuta nei termini secondo quanto disposto dagli artt. 610, comma 5 e 611, comma 1 -bis e ss. cod. proc. pen.
Il Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME concludeva, con requisitoria scritta, per il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La sesta sezione penale della Corte di Cassazione rigettava il ricorso proposto da NOME COGNOME in ordine alla sua responsabilità per il reato di peculato.
Avverso tale sentenza proponeva ricorso straordinario per cassazione il difensore che deduceva: la sentenza della Cassazione sarebbe viziata da un “errore di fatto” in quanto, riportando le affermazioni della Corte di appello, faceva riferimento al fatto che COGNOME, condannato per i reati di falso ideologico e di peculato, aveva ricevuto un
compenso a fronte di un’attività realmente “non” svolta, mentre la Corte d’appello aveva affermato che si trattava di «un’attività di fatto realmente svolta»; tale errore sarebbe decisivo in ordine condanna per il reato di peculato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è infondato.
1.1. Il collegio condivide e ribadisce la consolidata giurisprudenza della Corte di cassazione secondo la quale l’errore di fatto verificatosi nel giudizio di legittimità e ogget del rimedio previsto dall’art. 625-bis cod. proc. pen. consiste in un errore percettivo causato da una svista o da un equivoco in cui la Corte di cassazione sia incorsa nella lettura degli atti interni al giudizio stesso e connotato dall’influenza esercitata sul process formativo della volontà, che abbia condotto a una decisione diversa da quella che sarebbe stata adottata senza di esso (Sez. 2, n. 2241 dell’11/12/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 259821; Sez. 6 n. 46065 del 17/09/2014, COGNOME, Rv. 260819).
Il collegio ribadisce, altresì, che qualora la causa dell’errore non sia identificabi esclusivamente in una rappresentazione percettiva errata e la decisione censurata abbia invece contenuto valutativo, non sia configurabile un errore di fatto, bensì di giudizio, come tale escluso dal perimetro di applicabilità del rimedio previsto dall’art. 625-bis cod. proc pen. (Sez. U, n. 18651 del 26/03/2015, COGNOME, Rv. 263686; Sez. U, n. 37505 del 14/07/2011, COGNOME, Rv. 250527).
Segnatamente la Corte di legittimità ha chiarito che: 1) qualora la causa dell’errore non sia identificabile esclusivamente in una fuorviata rappresentazione percettiva e la decisione abbia comunque contenuto valutativo, non è configurabile un errore di fatto, bensì di giudizio; 2) sono estranei all’ambito di applicazione dell’istituto gli erro interpretazione di norme giuridiche, sostanziali o processuali, ovvero la supposta esistenza delle norme stesse o l’attribuzione ad esse di una inesatta portata, anche se dovuti ad ignoranza di indirizzi giurisprudenziali consolidati, nonché gli errori percettivi in cui incorso il giudice di merito, dovendosi questi ultimi far valere – anche se risoltisi travisamento del fatto – soltanto nelle forme e nei limiti delle impugnazioni ordinarie; 3 l’operatività del ricorso straordinario non può essere limitata alle decisioni relati all’accertamento dei fatti processuali, non risultando giustificata una simile restrizion dall’effettiva portata della norma in quanto l’errore percettivo può cadere su qualsiasi dato fattuale (Sez. U. n. 16103 del 27/03/2002, COGNOME, Rv. 221280, ripresa da Sez. U, n. 18651 del 26/03/2015, COGNOME Rv. 263686).
Il perimetro della cognizione affidata al giudice di legittimità con il ricorso straordina previsto dall’ art. 625-bis cod. proc. pen esclude, dunque, dal suo ambito ogni attività di rivalutazione del percorso logico argomentativo fatto proprio dalla Corte di legittimità, ed
ogni processo valutativo, essendo limitato GLYPH esclusivamente alla correzione di patologie della decisione riconducibili, con immediatezza, alla erronea percezione di un elemento “decisivo” per l’accertamento di responsabilità.
Si ribadisce, infatti, che con il ricorso straordinario per errore di fatto, no deducibile la mancata disamina di doglianze “non decisive”, o che devono essere considerate implicitamente disattese, perché incompatibili con la struttura e con l’impianto della motivazione, nonché con le premesse essenziali, logiche e giuridiche che compendiano la ratio decidendi della sentenza, sicché è onere del ricorrente dimostrare · che i motivi non esaminati fossero, invece, decisivi, e che il loro omesso scrutinio sia dipeso da un errore di percezione (tra le altre: Sez. 1, n. 391 del 09/11/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 285553 – 01; Sez. 2, n. 53657 del 17/11/2016, COGNOME, Rv. 268982 – 01; Sez. 6, n. 14296 del 20/03/2014, COGNOME, Rv. 259503 – 01).
1.2 GLYPH Nel caso in esame l’errore materiale dedotto dal ricorrente sussiste in quanto GLYPH · a pag. 12 della sentenza della Corte di Cassazione ha fatto riferimento ad una attività “non svolta” da Mazzeo, mentre a pag. 10 della sentenza di appello ha fatto riferimento ad un’attività “svolta” dallo stesso.
Il Collegio ritiene che tale errore non sia “decisivo”, dato che il percorso logico argomentativo rilevabile nella sentenza impugnata risulta del tutto coerente con quello tracciato dalla Corte di appello.
Entrambe le Corti – sia quella di merito che quella di legittimità – hanno ritenuto, infatti, che le prove raccolte dessero conto del fatto che il Mazzeo avesse ricevuto «con piena consapevolezza il denaro proveniente dal comune per un’attività che, “a tutto concedere”, egli svolgeva abusivamente in favore di Votrico, quale che ne fosse il beneficio indiretto che l’ente possa averne ricavato» (pag. 10 della sentenza di appello e pag. 12 della sentenza della Cassazione). Dunque la Corte di cassazione, nella sentenza impugnata, – come si ricava incontrovertibilmente da quanto affermato a pag. 12 – ha ritenuto che la Corte di appello avesse solo “ipotizzato” che il COGNOME potesse avere svolto il lavoro: tale circostanza priva di qualsiasi ricaduta sulla tenuta logica della sentenza l’error rilevato.
In conclusione il Collegio ritiene che l’errore rilevato, pur sussistente, non può ritenersi decisivo poiché emerge che la Corte di Cassazione ha validato il percorso argomentativo proposto dalla Corte d’appello ritenendo che il COGNOME avesse ricevuto consapevolmente il denaro dal COGNOME, concorrendo con lo stesso nel reato di peculato (consistito nell’appropriazione ingenti somme di proprietà del Comune di Pettineo, distratte mediante l’esibizione di mandati di pagamento che attestavano spese inesistenti o non autorizzate).
La Cassazione ha inequivocabilmente validato il percorso logico argomentativo che la Corte di appello aveva tracciato per confermare la condanna del COGNOME per i reato di falso
ideologico e peculato: i giudici di legittimità hanno infatti ritenuto logica e persuasiva valutazione della Corte di merito nella parte in cui aveva ritenuto che le prove raccolte dimostrassero inequivocabilmente che il COGNOME avesse incassato i mandati di pagamento con la piena consapevolezza che si riferissero a somme che NOME COGNOME aveva distratto dalle casse comunali.
Del pari, la Cassazione ha ritenuto che la Corte d’appello avesse logicamente ritenuto provata anche la consumazione dei delitti di falso, tenuto conto che era stato persuasivamente dimostrato che il COGNOME aveva coadiuvato il Votrico nella gestione del software utilizzato per emettere i falsi mandati di pagamento.
2.Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che rigetta il ricorso la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali Così deciso, il giorno 29 gennaio 2025.