Errore di Fatto: Quando un Equivoco non Basta per Annullare la Sentenza
Nel complesso mondo della giustizia penale, esistono rimedi straordinari pensati per correggere eventuali storture nel processo decisionale. Uno di questi è il ricorso per errore di fatto, previsto dall’articolo 625-bis del codice di procedura penale. Questo strumento permette di impugnare persino una sentenza della Corte di Cassazione, ma solo a condizioni molto stringenti. Una recente pronuncia della Prima Sezione Penale chiarisce in modo esemplare la differenza tra un errore percettivo, che può giustificare il ricorso, e un errore di valutazione, che invece non lo consente.
I Fatti del Processo
Il caso trae origine da una sentenza della Corte d’appello di Venezia riguardante condotte di associazione di stampo mafioso nelle province di Padova e Venezia. Gli imputati avevano proposto ricorso in Cassazione, che era stato rigettato. Successivamente, uno dei ricorrenti ha presentato un ulteriore ricorso, questa volta basato sull’articolo 625-bis, sostenendo che la Corte di Cassazione fosse incorsa in un errore di fatto.
Nello specifico, la difesa lamentava che la Corte avesse erroneamente attribuito l’imposizione dell’assunzione di uno degli imputati presso un’azienda alle dichiarazioni di un testimone, il quale, in realtà, non avrebbe mai affermato una circostanza simile. Secondo il ricorrente, questo equivoco avrebbe viziato la decisione, portando la Corte a ritenere provata una condotta estorsiva sulla base di un presupposto fattuale inesistente negli atti processuali.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione ha esaminato il ricorso e lo ha dichiarato inammissibile, rigettandolo. I giudici hanno colto l’occasione per ribadire i confini precisi del rimedio dell’errore di fatto. Hanno stabilito che l’operato dei loro colleghi nella precedente sentenza non configurava una svista materiale o un errore di percezione, bensì una valutazione e interpretazione delle risultanze processuali. Di conseguenza, non sussistevano i presupposti per accogliere l’impugnazione straordinaria.
L’errore di fatto e l’errore di giudizio
La Corte ha precisato che l’errore di fatto rilevante ai sensi dell’art. 625-bis c.p.p. è solo quello che ha natura percettiva. Si tratta di una svista o di un equivoco nella lettura degli atti del processo che porta il giudice a decidere sulla base di un fatto che non esiste o a ignorare un fatto che invece risulta chiaramente. Deve essere un errore che incide direttamente sulla formazione della volontà del giudice, conducendolo a una decisione che altrimenti non avrebbe preso.
Al contrario, non costituisce errore di fatto l’errore di giudizio, ovvero quello che attiene alla valutazione e all’interpretazione del materiale probatorio. Se il giudice legge correttamente gli atti ma ne trae conclusioni che la parte ritiene errate, si è di fronte a un errore di valutazione, non sindacabile attraverso questo specifico rimedio.
Le Motivazioni della Sentenza
Nel motivare la propria decisione, la Suprema Corte ha analizzato la sentenza impugnata, evidenziando come l’assunzione del ricorrente non fosse stata considerata l’oggetto principale dell’estorsione. Piuttosto, essa era stata inquadrata come parte di una più complessa operazione estorsiva. La sentenza originale specificava che il compito principale del soggetto assunto era eccentrico rispetto alle sue competenze professionali e che la sua remunerazione, sovrastimata, era giustificata solo dalla posizione di supremazia esercitata da un altro soggetto legato agli ambienti criminali.
La Corte ha quindi chiarito che il riferimento all’imposizione dell’assunzione non era una semplice svista, ma il risultato di un’analisi complessiva del contesto. I giudici avevano interpretato quella vicenda come un tassello di un mosaico più ampio, volto a imporre pagamenti per prestazioni non nell’interesse della società, ma di terzi. Questa operazione logico-giuridica è un tipico esempio di valutazione probatoria, e come tale, esula completamente dall’ambito dell’errore di fatto.
Le Conclusioni
La pronuncia in esame è di fondamentale importanza perché traccia una linea netta e invalicabile tra l’errore percettivo e l’errore valutativo. Stabilisce che il ricorso straordinario per errore di fatto non può essere utilizzato come un pretesto per ottenere un terzo grado di giudizio di merito, tentando di rimettere in discussione l’interpretazione delle prove offerta dalla Cassazione. Questo rimedio è riservato a casi eccezionali di “abbaglio” del giudice, in cui la decisione si fonda su un’inesatta percezione della realtà processuale, e non su una sua interpretazione, per quanto discutibile possa apparire alla difesa.
Cos’è un “errore di fatto” secondo la Corte di Cassazione?
È un errore di tipo percettivo, causato da una svista o da un equivoco nella lettura degli atti interni al giudizio, che ha viziato la percezione delle risultanze processuali e ha condotto a una decisione diversa da quella che sarebbe stata altrimenti adottata. Non include l’errore di valutazione delle prove.
Perché la Corte ha rigettato il ricorso in questo caso?
La Corte ha rigettato il ricorso perché ha ritenuto che la questione sollevata non riguardasse un errore percettivo, ma una valutazione delle prove. La precedente sentenza aveva interpretato l’assunzione del ricorrente non come un fatto isolato, ma come parte di una complessa operazione estorsiva, compiendo quindi un’attività di giudizio e non commettendo una svista materiale.
È possibile utilizzare il ricorso per errore di fatto per contestare l’interpretazione delle prove data dalla Cassazione?
No. La sentenza chiarisce che il rimedio previsto dall’art. 625-bis c.p.p. non è configurabile quando la decisione ha un contenuto valutativo. Non può essere utilizzato per contestare l’interpretazione delle risultanze processuali, ma solo per correggere un errore di percezione oggettivo e immediatamente riscontrabile.
Testo del provvedimento
Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 25123 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 1 Num. 25123 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 15/04/2025
PRIMA SEZIONE PENALE
NOME COGNOME
NOME COGNOME
ha pronunciato la seguente sul ricorso proposto da:
avverso la sentenza del 14/05/2024 della CORTE DI CASSAZIONE di ROMA
sentite le conclusioni del PG NOME COGNOME che conclude per il rigetto del ricorso.
Con sentenza in data 14/05/2024, la Corte di cassazione ha rigettato i ricorsi proposti da NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME avverso la sentenza della Corte di appello di Venezia riguardo condotte di associazione di stampo mafioso, commesse nelle provincie di Padova e Venezia.
La Cassazione riteneva che l’imposizione dell’assunzione di NOME emergesse dalle dichiarazioni di NOME COGNOME ma costui nulla dice sulla vicenda in questione e nemmeno i giudici di merito erano addivenuti alla conclusione che l’assunzione di NOME sarebbe stata imposta da NOME COGNOME.
– Relatore –
Sent. n. sez. 1330/2025
CC – 15/04/2025
Con successiva memoria la difesa rappresentava che tale errore di fatto aveva comportato che la Cassazione aveva retrodatato la condotta estorsiva ad un comportamento non contestato e precedente a quello descritto nelle sentenze di merito e a non confrontarsi con la specifica censura contenuta nel ricorso dell’Agostino.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Occorre ricordare che l’errore di fatto verificatosi nel giudizio di legittimità e oggetto del rimedio previsto dall’art. 625-bis cod. proc. pen. consiste in un errore percettivo causato da una svista o da un equivoco in cui la Corte di cassazione sia incorsa nella lettura degli atti interni al giudizio stesso e connotato dall’influenza esercitata sul processo formativo della volontà, viziato dall’inesatta percezione delle risultanze processuali che abbia condotto a una decisione diversa da quella che sarebbe stata adottata senza di esso. Dunque, qualora la causa dell’errore non sia identificabile esclusivamente in una fuorviata rappresentazione percettiva e la decisione abbia comunque contenuto valutativo, non Ł configurabile un errore di fatto, bensì di giudizio (Sez. 3, n. 47316 del 01/06/2017, Rv. 271145; Sez. U, n. 16103 del 27/03/2002, Rv. 221280).
Si legge infatti a pagina 26 della sentenza della Corte di cassazione in data 14/05/2024 quale sia la rilevanza dell’assunzione di NOME nella ‘RAGIONE_SOCIALE‘, che non costituisce l’oggetto dell’estorsione ma rientra in una piø complessa operazione estorsiva: «che il principale compito dell’NOME fosse quello di
Insomma il riferimento all’imposizione dell’inserimento nella struttura operativa della GS di NOME non sostanzia la condotta estorsiva, che viene descritta nella pretesa di pagamenti di prestazioni che non corrispondevano all’interesse della società ma del solo COGNOME.
Contesto peraltro pienamente noto all’NOME, non solo per gli stretti rapporti che lo legano al COGNOME NOME, come minuziosamente ricostruiti dai giudici di merito e, in particolare, dal Tribunale, ma anche, come già detto, per la consapevolezza di svolgere all’interno della ‘GS’ un ruolo del tutto eccentrico rispetto alle sue competenze professionali, remunerato in misura sovrastimata rispetto alle leggi di mercato grazie alla posizione di supremazia che il suo vero referente, il COGNOME NOME, esercitava sulla coppia COGNOME»
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Il Consigliere estensore
NOME COGNOME