Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 37525 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 37525 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 15/10/2025
ha pronunciato la seguente
Oggi,
18 110V1 2025
SENTENZA
IL FUNZIONAR IO sul ricorso proposto da NOME COGNOME COGNOME NOME, nato a Castellammare di Stabia (Na) il DATA_NASCITA ‘A R I(
avverso la sentenza dell’11/9/2024 della Corte di cassazione; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; sentita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME AVV_NOTAIO, che ha chiesto dichiarare inammissibile il ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza dell’11/9/2024, la Quarta sezione penale della Corte di cassazione dichiarava inammissibile il ricorso proposto da NOME COGNOME, ai sensi dell’art. 625-bis cod. proc. pen., avverso la sentenza emessa il 19/10/2023 dalla Terza sezione penale della stessa Corte suprema.
Propone ricorso per cassazione il COGNOME, deducendo – con unico motivo l’errore di fatto nel giudizio di legittimità. La Quarta sezione di questa Corte avrebbe ribadito lo stesso errore di fatto in cui sarebbe caduta la Terza sezione, ossia ritenere che un certo motivo di appello – decisivo per il riconoscimento della
circostanza aggravante di cui all’art. 416-bis.1. cod. pen. – fosse stato proposto, per la prima volta, solo con il ricorso per cassazione, e che, comunque, la questione fosse stata trattata con la prima sentenza di legittimità. Questo argomento, tuttavia, sarebbe errato, come quello contenuto nella sentenza della Terza sezione penale. In primo luogo, perché la valutazione delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia COGNOME, COGNOME e COGNOME, essenziali nell’ottica dell’aggravante citata, avrebbe costituito già esplicito oggetto dell’atto di appello, come risulterebbe dalla sintesi dei motivi di gravame contenuta nella stessa sentenza di merito. In secondo luogo, perché la Terza sezione non avrebbe comunque trattato la censura, neppure implicitamente, attesa l’inconciliabilità della stessa con il passaggio della sentenza concernente la prova fornita dai collaboratori quanto alla stabile collaborazione tra l’associazione ex art. 74, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, di cui faceva parte il ricorrente, ed il RAGIONE_SOCIALE COGNOME. La reiterazione dell’errore di fatto, dunque, imporrebbe l’annullamento della sentenza di legittimità.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso risulta manifestamente infondato.
La Quarta sezione di questa Corte, con la sentenza n. 46719/24, ha dichiarato inammissibile il primo ricorso per cassazione in forza di una motivazione del tutto solida e congrua, che non contiene alcun errore di fatto ai sensi dell’art. 625-bis cod. proc. pen., così come la precedente pronuncia di legittimità emessa da questa Sezione il 19/10/2023 con riguardo alla sentenza del 5/11/2021 della Corte di appello di Napoli.
In particolare, è stato innanzitutto ribadito un decisivo elemento di inammissibilità del primo ricorso per cassazione, quale l’assenza – nell’atto di appello – di un motivo concernente l’attendibilità dei collaboratori di giustizi COGNOME, COGNOME e COGNOME, le cui dichiarazioni avevano costituito argomento per riconoscere la circostanza aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., in relazione all’art. 74, d.P.R. n. 309 del 1990; la sentenza in esame ha analizzato partitamente i motivi di gravame (par. 4), ed ha così riscontrato che “dalla lettura dell’atto di appello, effettivamente, non risulta proposto lo specifico motivo al quale si fa riferimento”. Ancora, la sentenza n. 46719 del 2024 ha evidenziato che i richiami – presenti nel primo ricorso ex art. 625-bis cod. proc. pen. – a taluni passi della sentenza di appello (che, in ottica difensiva, evidenzierebbero l’effettiva proposizione della questione qui in esame) non risultavano invero congrui, in quanto le pagine citate concernevano questioni diverse.
Di seguito, la Quarta sezione di questa Corte ha sottolineato che la prima pronuncia di legittimità, pur ribadendo che il tema dei tre collaboratori era stato posto per la prima volta nel ricorso, si era comunque pronunciata sulla circostanza aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., ritenendola adeguatamente riscontrata – nella sentenza di appello – non solo dalle dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia (attesa “la dovizia di particolari in esse presenti, la l precisione anche cronologica, la loro spontaneità, l’assenza di motivi di sospetto e di intenti calunniatori”), ma anche da molti riscontri esterni, quali l’arresto numerosi spacciatori appartenenti al sodalizio criminale ed i sequestri di stupefacenti, eseguiti proprio nei luoghi riferiti dai collaboratori.
6.1. Ancora con riguardo alla circostanza aggravante in questione, peraltro, la Quarta sezione ha sottolineato che la precedente pronuncia di legittimità aveva evidenziato gli stretti rapporti, criminali ed economici, tra il RAGIONE_SOCIALE ed i RAGIONE_SOCIALE, da lungo tempo, oltre al fatto che il ricorrente faceva parte della prima associazione da ampio periodo (“RAGIONE_SOCIALE storico”), così che i legami di interesse con il RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE dovevano per certo essere conoscibili, dunque con piena consapevolezza dell’aggravante in esame in capo al ricorrente.
6.2. Alla luce di queste considerazioni, la sentenza n. 46719 del 2024 – con argomento del tutto solido e qui non censurabile, che non evidenzia alcun errore di fatto – ha dunque sostenuto che l’esame del motivo di ricorso in oggetto non era comunque mancato nella pronuncia della Terza sezione, valorizzandosi numerosi elementi istruttori (anche non contestati in questa sede) a pieno riscontro della circostanza aggravante.
Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 15 ottobre 2025 Il GLYPH siglíere estensore.