Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 26907 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 26907 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 29/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 10/02/2023 della CORTE DI CASSAZIONE di ROMA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette/sentite le conclusioni del PG NOME COGNOME
Il Proc. Gen. conclude per l’inammissibilità del ricorso riportandosi alla requisitoria scritta già depositata.
udito il difensore
L’avvocato COGNOME NOME si riporta ai motivi di ricorso e insiste per l’accoglimento dello stesso.
L’avvocato COGNOME NOME si riporta ai motivi di ricorso e insiste per raccoglimento dello stesso e ai motivi aggiunti e alla memoria di replica depositati a mezzo PEC.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 10.02.2023, la Prima Sezione di questa Corte di cassazione, ha rigettato i ricorsi proposti avverso la sentenza del 20.03.2022 della Corte di Assise di Appello di Salerno, la quale aveva confermato la decisione del G.I.P. presso il Tribunale della medesima città, emessa all’esito di rito abbreviato in data 16.03.2021, che aveva dichiarato COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME colpevoli del reato di omicidio volontario premeditato, con l’aggravante della finalità di sfruttamento del metodo mafioso, commesso in danno di COGNOME NOME.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso straordinario per cassazione l’imputato COGNOME NOME, tramite il proprio difensore di fiducia, affidando le censure a due motivi di ricorso.
2.1. Con il primo motivo denuncia l’omessa disamina del motivo di ricorso per cassazione proposto in data 08.07.2022, avente ad oggetto vizio di motivazione in relazione alla natura criptica delle conversazioni tra COGNOME e COGNOME ed alla loro interpretazione, conseguente a travisamento della prova e a violazione dei canoni ermeneutici delle conversazioni e dei canoni valutativi della prova indiziaria.
La Corte territoriale aveva posto a fondamento logico della interpretazione attribuita alle conversazioni telefoniche suddette, le narrazioni del AVV_NOTAIO di giustizia COGNOME nella parte in cui costui, nell’interrogatorio del 18.05.2017, avrebbe dichiarato che í killers erano stati “assoldati”, dovendosi intendere nella ricostruzione operata dalla Corte di merito, che gli stessi erano stati reclutati previo pagamento. La Corte, all’affermazione “se il negozio avesse riaperto” – dì cui alla conversazione del 26.8.15 – ha attribuito non più il significato, ritenuto dal giudice di primo grado, di richiesta di conferma circa la avvenuta esecuzione dell’omicidio, bensì quello di richiesta di conferma rivolta da COGNOME a COGNOME circa l’avvenuta corresponsione da parte dei committenti del compenso per i killers e di invito, rivolto sempre al COGNOME, a recarsi a Sulmona per consegnare detto compenso al COGNOME.
La Corte di merito ha posto a fondamento del ragionamento probatorio, in relazione al contenuto da attribuire alla conversazione del 26.08.2015, un dato processuale in realtà inesistente, tanto è che è stato allegato dalla difesa il verbale di trascrizione integrale dell’interrogatorio del AVV_NOTAIO di giustizia dal quale si evince che dallo stesso non è mai stata adoperata l’espressione “assoldati” e di conseguenza l’interpretazione del contenuto della conversazione fornita dalla Corte territoriale risulta priva di qualsiasi supporto negli a processuali.
La difesa riporta integralmente il motivo del ricorso ordinario sub paragrafo 1.4. nel quale, come anticipato precedentemente, si evidenziava che la natura criptica delle conversazioni tra COGNOME e COGNOME e la loro conseguente interpretazione erano state ritenute indicative della partecipazione del ricorrente alla vicenda omicidiaria.
Si sottolineava l’esigenza di una motivazione rafforzata (SS. UU. 14800/2017) da parte della Corte d’appello, la quale era giunta a conclusioni differenti, rispetto al Giudice di primo grado, in riferimento ai medesimi contenuti captativi, sicché non si era di fronte all’ipotesi della cd. “doppia conforme”.
Era chiara l’illogicità del risultato ermeneutico espresso dalla Corte di merito, ancor più in relazione all’interpretazione della parola “assoldati” che sarebbe stata pronunciata dal AVV_NOTAIO di giustizia, la quale ha costituito supporto logico alla decisione raggiunta dalla Corte medesima, portando ad un vizio di illogicità motivazionale conseguente a travisamento della prova, in quanto in realtà quella espressione – attribuita al predetto sulla base della trascrizione sommaria del suo interrogatorio del 18.5.17 – non è mai stata utilizzata dal COGNOME come emerge dalla trascrizione integrale di tale interrogatorio.
Il significato attribuito alla interlocuzione del 26.08.15 risulta non solo priv di supporto logico e documentale, ma anche concettualmente clecontestualizzato rispetto alla assenta concatenazione con la conversazione del 13.08.15 in cui COGNOME faceva riferimento alla chiusura per ferie del negozio, in quanto in una si parlerebbe del compenso per i killers, mentre nell’altra si farebbe riferimento ad una temporanea e non meglio specificata indisponibilità di uomini o vetture; la concatenazione logico-temporale tra le due risulterebbe compromessa.
1.2. Col secondo motivo si lamenta l’omessa valutazione e disamina ad opera della Corte di Cassazione del motivo di ricorso avente ad oggetto i vizi di illogicità e contraddittorietà della motivazione in tema di individuazione del killer. Appariva inoltre ancor più contraddittoria l’affermazione della Corte territoriale
circa l’avvenuta remunerazione dei sicari messi a disposizione da COGNOME se messa in correlazione con le ulteriori conclusioni della stessa in punto dì disamina delle posizioni di COGNOME NOME NOME di COGNOME NOMENOME in particolare, il soggetto che avrebbe avuto il ruolo di killer non sarebbe stato COGNOME NOME, ma COGNOME NOME, autista e factotum del COGNOME, ovvero soggetto che non può neanche in astratto essere ricondotto alla provenienza dal gruppo COGNOME. Sarebbe illogico e contrario alle massime di esperienza il fatto che COGNOME si fosse rivolto a COGNOME al fine di ottenere la messa a disposizione dei sicari, dal momento che colui che materialmente ha eseguito il delitto sarebbe, per la Corte di merito, proprio un uomo di COGNOME.
L’attribuzione del ruolo di killer ad un uomo di fiducia di COGNOME è in contrasto insanabile con l’intero quadro indiziario riferito al ricorrente.
Come la stessa Corte di cassazione ha affermato, nel c:aso in cui venga dedotto il vizio motivazionale conseguente a travisamento della prova, è possibile per la Corte di legittimità sindacare la interpretazione fornita dal giudice di merito sul contenuto delle intercettazioni; in realtà questo non è stato fatto, in quanto la Corte nella sentenza impugnata non ha esamiNOME il motivo di ricorso con il quale la difesa aveva dedotto, mediante allegazione dell’atto travisato, il vizio conseguente a travisamento della prova.
Quanto alla conversazione del 26.08.2015, la Corte territoriale aveva disatteso la precedente interpretazione affermando che il discorso celava la richiesta dì COGNOME a COGNOME circa la avvenuta regolamentazione del rapporto economico; la Corte di cassazione avrebbe dovuto confrontarsi con la censura sollevata dalla difesa e valutare l’impatto, sul ragionamento probatorio in tema di interpretazione del contenuto della citata captazione, della espunzione del dato inesistente erroneamente utilizzato dalla Corte territoriale. Di conseguenza, la ricostruzione del contenuto della conversazione del 26.08 era priva di supporto logico e risultava inficiata ogni possibile correlazione dì essa con la captazione del 13.08, la quale non era quindi sufficiente a fondare un giudizio di responsabilità del ricorrente quale fornitore dei sicari per l’esecuzione del delitto.
L’errore di fatto risulta rilevante in quanto ha ad oggetto un profilo motivazionale di primaria importanza nella ricostruzione della vicenda e nell’attribuzione della responsabilità a COGNOME perché una volta riconosciuto che la corte di appello aveva valorizzato un elemento di conferma – il termine assoldati imputato a COGNOME – in realtà insussistente, avrebbe dovuto
conseguirne la caduta dell’intero costrutto argomentatívo che su quell’elmento sì poggiava; è decisivo anche perchè la denunciata illogicità motivazionale in tema di ricostruzione della vicenda omicidiaria e di partecipazione dei soggetti in qualità di esecutori materiali riverbera, a sua volta, i propri effetti anche sulla tematica relativa alla individuazione di colui che avrebbe fornito i killers e delle ragioni per le quali avrebbe ricevuto la relativa richiesta.
In definitiva le omissioni qui denunciate risultano determinanti in quanto la mancata disamina delle indicate doglianze ha impedito alla Corte di cassazione di prendere atto che il percorso argomentativo adottato dalla Corte territoriale era caratterizzato da evidenti illogicità che privavano di conseguenzialità il ragionamento probatorio.
Con atto pervenuto il 5.2.24, sono stati presentati due motivi nuovi a sostegno del ricorso straordinario.
3.1. Con il primo motivo si denuncia errore di fatto determiNOME dall’errata percezione di una affermazione (in realtà inesistente) del AVV_NOTAIO di giustizia COGNOME AVV_NOTAIO, relativa alla circostanza che i killer erano stati “assoldati”.
Ricollegandosi ai motivi redatti in data 18.10.2023, si sottolinea come la mancata valutazione e disamina da parte della Corte territoriale del motivo sub 1.4. del ricorso proposto in data 08.07.2022 non possa qualificarsi come una “disattesa implicita”.
La Corte ha negato il problema senza una adeguata motivazione, di conseguenza il processo formativo della volontà è risultato viziato dall’inesatta percezione delle risultanze processuali, tale da portare ad una decisione diversa da quella che sarebbe stata adottata senza dì essa; infatti, a causa dell’errata percezione delle evidenze, la stessa Corte ha finito con l’adottare autonomamente il dato inesistente di killer “assoldati”, non solo omettendo la doverosa valutazione della doglianza difensiva, ma incappando nell’analogo errore di percezione, ponendo anch’essa a fondamento del proprio discorso argomentativo la stessa inesistente circostanza di fatto.
La Corte territoriale aveva fondato il ragionamento probatorio sulle conversazioni del 13.08.2015 e 26.08.2015 tra NOME e NOME COGNOME, escludendo qualsiasi interpretazione alternativa del significato delle suddette conversazioni proprio in virtù della circostanza inesistente per cui il
AVV_NOTAIO di giustizia COGNOME avrebbe dichiarato che i killers erano stati “assoldati”.
La Corte di legittimità, non inquadra in modo specifico i soggetti “esterni al territorio” che hanno eseguito l’omicidio, limitandosi a rappresentare l’utilizzo di persone non del territorio salernitano “assoldate” dal COGNOME, valorizzando il contributo dichiarativo dei COGNOME a sostegno della conferma della sentenza impugnata.
Si ritiene che la Corte sia incorsa in un errore percettivo, con esclusione di qualsiasi contenuto valutativo e si ribadisce come l’espressione “assoldati” non sia stata mai utilizzata dal AVV_NOTAIO di giustizia.
Le SS,UU. n.16103 del 27.03.2002, Rv. 221280 hanno chiarito che l’errore di fatto verificatosi nel giudizio di legittimità consiste in un errore percett causato da una svista o da un equivoco in cui la Corte di Cassazione sia incorsa nella lettura degli atti interni al giudizio stesso ed è proprio ciò che si ritiene avvenuto nel caso di specie, in quanto la Corte ha autonomamente posto il riferimento inesistente ai killer “assoldati” a fondamento del proprio ragionamento dimostrativo.
3.2. Anche il secondo motivo nuovo si ricollega a quello di cui ai motivi uno e due del ricorso straordinario sopra indicato.
Si ribadisce come il COGNOME abbia fatto riferimento a soggetti “esterni al territorio” senza inquadrarli in modo specifico e come non abbia parlato di killer “assoldati”. La Corte ha ritenuto la motivazione offerta dalla Corte territoriale coerente con le parole del AVV_NOTAIO di giustizia, incorrendo in diversi errori percettivi, in quanto il AVV_NOTAIO non ha mai dichiarato di aver appreso da COGNOME NOME che per l’omicidio erano stati “assoldati” soggetti “non del territorio salernitano”, tanto meno di COGNOME (con ciò confermando il collegamento di NOME con l’evento omicichario).
La Corte è incorsa in una svista e non ha considerato quanto affermato realmente da COGNOME, il quale ha dichiarato di aver appreso da COGNOME NOME che essi avevano avuto una mano dai “COGNOME“, in particolare da NOME COGNOME, che aveva mandato loro “dei ragazzi”. Nella sentenza di merito si era già precisato che il clan COGNOME fosse di Castellammare di Stabia e che risultasse operante nel territorio salernitano dì Pontecagnano.
La Corte è incorsa in un ulteriore errore percettivo laddove ha giustificato la conferma della sentenza di merito, individuando, nella ricostruzione dei fatti che collegava l’omicidio al ricorrente COGNOME sulla base delle conversazioni tra lo
stesso e COGNOME del 13 e 26 agosto 2015, alcuni dai dimostrativi “pacifici” quali in particolare quello che “gli esecutori materiali dell’omicidio sono persone venute da COGNOME“. In realtà la Corte territoriale non ha affermato questa circostanza in termini di certezza, di conseguenza vi è stata anche qui una svista della Corte di legittimità; a tal riguardo, COGNOME NOME è stato assolto e COGNOME NOME non è stato considerato autore materiale dell’omicidio, in quanto in via incidentale è stato ritenuto solo “l’uomo della masseria”.
La Corte territoriale indicava COGNOME NOME come esecutore materiale, il quale non era di COGNOME ed era uomo di fiducia di COGNOME NOME. Quest’ultima circostanza ha determiNOME una frattura logica nel ragionamento della Corte territoriale che aveva attribuito al ricorrente COGNOME la fornitura e la messa a disposizione in favore di COGNOME dei propri uomini per l’esecuzione del delitto.
Gli errori denunciati non hanno carattere “valutativo”, ma meramente “percettivo”, in quanto la Corte ha erroneamente letto qualcosa di diverso da quello che realmente vi era scritto e di conseguenza il ragionamento per il quale si è ritenuta logica la ricostruzione operata dalla Corte territoriale, è stato sviato proprio dalla circostanza per cui la Corte di legittimità si è erroneamente convinta che la Corte territoriale avesse affermato qualcosa che in realtà non aveva affermato.
Le parti hanno concluso all’udienza nei termini indicati in epigrafe.
Le difese hanno, altresì, fatto pervenire memoria in replica alla requisitoria resa anche per iscritto dal Procuratore Generale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
Preliminarmente, si dà che al presente procedimento n. 40480 /2023 è stato riunito quello recante il n. 40533/2023 avente ad oggetto il medesimo ricorso, come da ordinanza resa in udienza.
1.L’errore materiale e l’errore di fatto, indicati dall’art. 625-bis cod. proc pen. come motivi di possibile ricorso straordinario avverso provvedimenti della
corte di cassazione, consistono, rispettivamente, il primo nella mancata rispondenza tra la volontà, correttamente formatasi, e la sua estrinsecazione grafica; il secondo – che è quello che si è ritenuto far valere nel caso di specie col ricorso in scrutinio – in una svista o in un equivoco incidenti sugli atti inter al giudizio di legittimità, il cui contenuto viene percepito in modo difforme da quello effettivo, sicché rimangono del tutto estranei all’area dell’errore di fatto e sono, quindi, inoppugnabili – gli errori di valutazione e di giudizio dovuti ad una non corretta interpretazione degli atti del processo di cassazione, da assimilare agli errori di diritto conseguenti all’inesatta ricostruzione del significato delle norme sostanziali e processuali (cfr. per tutte, Sez. 5, n. 29240 del 01/06/2018 Rv. 273193 – 01).
Anche l’omesso esame di un motivo di ricorso per cassazione non dà luogo ad errore di fatto rilevante a norma dell’art. 625-bis cod. proc. pen., nè determina incompletezza della motivazione della sentenza allorché, pur in mancanza di espressa disamina, il motivo proposto debba considerarsi implicitamente disatteso perché incompatibile con la struttura e con l’impianto della motivazione, nonché con le premesse essenziali, logiche e giuridiche che compendiano la ratio decidendi della sentenza medesima, ovvero quando l’omissione sia soltanto apparente, risultando le censure formulate con il relativo motivo assorbite dall’esame di altro motivo preso in considerazione, giacché, in tal caso, esse sono state comunque valutate, pur essendosene ritenuta superflua la trattazione per effetto della disamina del motivo ritenuto assorbente; mentre, esso, deve essere ricondotto alla figura dell’errore di fatto quando sia dipeso da una vera e propria svista materiale, cioè da una disattenzione di ordine meramente percettivo che abbia causato l’erronea supposizione dell’inesistenza della censura, la cui presenza sia immediatamente e oggettivamente rilevabile in base al semplice controllo del contenuto del ricorso (Sez. U, Sentenza n. 16103 del 27/03/2002, Rv. 221283 – 01; questa Corte in motivazione ha precisato che la mera qualificazione della svista in questione come errore di fatto non può tuttavia giustificare, dì per se, l’accoglimento del ricorso straordinario proposto a norma dell’art. 625-bis cod. proc. pen., possibile solo ove si accerti che la decisione del giudice di legittimità sarebbe stata diversa se fosse stato vagliato il motivo di censura dedotto; conf. Sez. un., 27 marzo 2002 n. 16104, COGNOME, non massimata; cfr. altresì Sez. 2, Sentenza n. 53657 del 17/11/2016, Rv. 268982 – 01; ovvero solo ove il vaglio del motivo sarebbe stato decisivo ai finì della diversa decisione invocata). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
L’errore di fatto verificatosi nel giudizio di legittimità e oggetto del rimedi previsto dall’art. 625-bis cod. proc. pen, consiste, invero, in un errore percettivo causato da una svista o da un equivoco in cui la Corte di cassazione sia incorsa nella lettura degli atti interni al giudizio stesso e connotato dall’influenz esercitata sul processo formativo della volontà, viziato dall’inesatta percezione delle risultanze processuali che abbia condotto a una decisione diversa da quella che sarebbe stata adottata senza di esso (Sez. U, Sentenza n. 16103, Rv. 221280 – 01 cit., questa Corte ha precisato in motivazione che: 1) – qualora la causa dell’errore non sia identificabile esclusivamente in una fuorviata rappresentazione percettiva e la decisione abbia comunque contenuto valutativo, non è configurabile un errore di fatto, bensì di giudizio; 2) – sono estranei all’ambito di applicazione dell’istituto gli errori di interpretazione norme giuridiche, sostanziali o processuali, ovvero la supposta esistenza delle norme stesse o l’attribuzione ad esse di una inesatta portata, anche se dovuti ad ignoranza di indirizzi giurisprudenziali consolidati, nonché gli errori percettivi in cui sia incorso il giudice di merito, dovendosi questi ultimi far valere – anche se risoltisi in travisamento del fatto – soltanto nelle forme e nei limiti del impugnazioni ordinarie; 3) – l’operatività del ricorso straordinario non può essere limitata alle decisioni relative all’accertamento dei fatti processuali, non risultando giustificata una simile restrizione dall’effettiva portata della norma in quanto l’errore percettivo può cadere su qualsiasi dato fattuale. Conf. Sez. un., 27 marzo 2002 n. 16104, COGNOME, non massimata).
Principi di diritto questi alla stregua dei quali si è imposta la decisione qui assunta.
Nella specie, il ricorso – con il quale si lamenta l’omessa valutazione, da parte della sentenza di questa Corte, qui, impugnata, del motivo 1.4 del ricorso per cassazione proposto in data 8.7.2022, volto a denunciare il “vizio di travisamento della prova” – risulta proposto fuori dell’ipotesi di cui al primo comma dell’art. 625-bis c.p.p. (errore materiale o dì fatto), in quanto sostanzialmente volto a lamentare un errore di giudizio afferente, da un lato, il contenuto delle intercettazioni, la loro interpretazione, che in tesi sarebbe stata effettuata non tenendo conto che il AVV_NOTAIO COGNOME non avrebbe fatto riferimento a sicari “assoldati”, e, dall’altro, la concatenazione temporale e logica tra la captazione del 13.8.2015 e quella del 26.8.2015, errore in cui sì assume sia incorsa dapprima la Corte di appello e poi la Corte di Cassazione nel non rilevare il motivo articolato su tali punti; laddove dalla sentenza impugnata
emerge, invece, con chiarezza che questa Corte, dopo avere riportato in sintesi il ragionamento sviluppato dalla Corte di appello in relazione alle singole posizioni (ivi compresa quella del COGNOME, evidenziando la stretta correlazione fattuale e probatoria esistente tra esse – in particolare tra quella del COGNOME e di COGNOME e COGNOME), ha innanzitutto esposto – anche – i vizi enunciati nel ricorso proposto nell’interesse del COGNOME, tra i quali figurano, anche, proprio, quelli che il ricorso in scrutinio assume pretermessi. In particolare, la sentenza impugnata dà espressamente atto che nell’interesse di COGNOME si era, tra l’altro, lamentata l’erronea interpretazione del contenuto delle captazioni, “svolta mediante l’applicazione di svariate e differenti canoni esegetici in funzione dei diversi interpreti che vi hanno proceduto. In tale ambito il giudice di primo grado, il Procuratore generale e la Corte di appello giungono a conclusioni diverse in riferimento ai medesimi contenuti captativi e, pertanto, secondo il ricorrente, non si tratta neppure di ‘doppia conforme’, ma anzi era richiesta alla Corte una motivazione rinforzata; invece, ad onta della mancata indicazione delle ragioni giustificative del mutato orientamento, il risultato ermeneutico cui è pervenuta la Corte territoriale è da ritenere caratterizzato dalla manifesta illogicità dei criteri interpretativi adottati, attribuendosi alle medesime locuzion significati eterogenei. In particolare, dato di maggior rilevanza concerne l’interpretazione della parola ‘assoldati’ utilizzata dal AVV_NOTAIO COGNOME, la quale, per la Corte, costituisce supporto logico e riscontro dell’approdo argomentativo raggiunto, ma che in realtà costituisce un’espressione che non è stata mai proferita dal propalante e pertanto del tutto assente in atti. L’utilizzo di essa ai fini del riscontro di fondatezza delle captazioni integra quindi vizio di illogicità motivazionale conseguente a travisamento della prova. Ci sarebbe inoltre una totale decontestualizzazione tra il significato attribuito all’interlocuzione del 26.8. rispetto all’asserita concatenazione con la conversazione del 13.8.; la concatenazione temporale tra le due risulterebbe compromessa. Inoltre si afferma che il soggetto che avrebbe avuto il ruolo di killer non sarebbe COGNOME NOME, bensì COGNOME NOME, autista e factotum del COGNOME, soggetto che non può neanche in astratto essere ricondotto alla provenienza del gruppo RAGIONE_SOCIALE e la cui attribuzione del ruolo di killer sarebbe in contrasto insanabile con l’intero quadro indiziario riferito al ricorrente” così è, per quanto qui dì interesse, testualmente riportato nella sentenza impugnata nella parte in cui si indicano i motivi di ricorso del COGNOME (poi si prosegue riportandosi le ulteriori censure motivazionali relative alla ravvisata correlazione Corte di Cassazione – copia non ufficiale
logica tra l’omicidio in corso di programmazione e il colloquio COGNOME/COGNOME che sarebbe stata valorizzata dai giudici di merito pur in assenza del supporto di argomenti idonei ad escludere ricostruzioni alternative, quale, ad esempio, quella coerente col significato letterale delle conversazioni, a cui si era invece dato, forzatamente, un significato criptico).
Ciò posto, si deve rilevare che la sentenza impugnata non solo ha dato atto dei motivi che il ricorso in scrutinio assume non considerati – circostanza che a rigore potrebbe già di per sé escludere la configurabilità dell’errore percettivo ma ha anche esamiNOME e vagliato le censure riportate. Quanto al contenuto delle intercettazioni ha, in buona sostanza, ritenuto proprio inammissibile il rilievo riportando il pacifico principio di questa Corte secondo il quale in tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, l’interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, si sottrae al sindacato di legittimità Sez. U, Sentenza n. 22471 dei 26/02/2015, Rv. 263715 – 01), e ha concluso che è, dunque, possibile prospettare un’interpretazione del significato dì una intercettazione diversa da quella proposta dal giudice di merito solo in presenza del travisamento della prova e in presenza di una manifesta illogicità e irragionevolezza della motivazione espressa sul punto, escludendo che nel caso in esame alcuna di tali ipotesi si potesse ravvisare. Ed invero, ciò che veniva denunciato non era la errata lettura delle trascrizioni delle conversazioni intercettate il 13 agosto e il 26 agosto (anche dal giudice d’appello valorizzate avuto riguardo alle locuzioni “negozio chiuso” e “negozio aperto”), ma l’errata interpretazione del contenuto delle anzidette intercettazioni e, più in generale, il criterio di valutazione degl elementi indiziari, quanto, ìn particolare, al fattore posto a conferma della interpretazione avallata, afferente il termine ‘assoldato’ che avrebbe adoperato il AVV_NOTAIO di giustizia COGNOME; laddove è pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che, come sottolineato nella sentenza impugnata, non si può sindacare la valutazione delle intercettazioni operata dal giudice di merito a meno che – e ciò evidentemente non ricorreva nel caso di specie – non si profilino la manifesta illogicità o irragionevolezza della motivazione; e tali profil della ragionevolezza e logicità della motivazione sono stati vagliati nella sentenza impugnata che ha, per altro verso, evidenziato come il coacervo probatorio non dovesse essere parcellizzato, ma valutato nel suo complesso composito, fatto di Corte di Cassazione – copia non ufficiale
plurimi elementi indiziari cementati dalla prova logica che consentiva di unire i vari punti attraverso una visione unitaria che tenesse conto del particolare contesto in cui i contatti intercettati si inserivano, andando a completare il mosaico tratteggiato anche alla stregua degli altri elementi emersi.
D’altra parte, l’interpretazione dei contenuti intercettivi offerta dalla Corte d appello, di là del suo stretto significato – al quale la sentenza impugnata mostra di dare relativo rilievo evidenziando come decisivo fosse “il profilo argomentativo che in sede di merito ha consentito di interpretare la sequenza delle conversazioni intrattenute tra il COGNOME e il COGNOME nei giorni 13 agosto (profilo del contrattempo operativo, tradotto in linguaggio criptico nella chiusura del negozio) e del 26 agosto (conferma della buona riuscita della operazione visto che il negozio era aperto)”- non esulava dal contesto in cui si inseriva, ed era stata inserita anche da parte del primo giudice, contraddistinto dalla esistenza di contatti tra i vari soggetti incriminati proprio in determinat frangenti, discostandosi da quella offerta dalla sentenza cli primo grado secondo quanto si riporta nello stesso ricorso in scrutinio – solo in relazione al significato specifico da attribuire a determinate parole – ritenute evidentemente criptiche da tutti gli interpreti e comunque indicative del tipo di collegamento esistente tra gli interlocutori, e ciò, anche alla luce della stessa spiegazione fornita dal COGNOME, di tipo letterale (necessità di acquistare un dono) costituente nell’ottica difensiva l’ipotesi alternativa – valutata come del tutt inverosimile da tutti i giudici.
Riguardo al termine ‘assoldati’, valorizzato dalla Corte di appello come elemento a conferma – di fatto svalutato nella sentenza impugnata che ha dato, come sopra detto, piuttosto, rilievo ad altri aspetti – è comunque il caso di precisare che il ricorso in scrutinio si limita ad asserire che di esso non vi sia traccia testuale, nella trascrizione integrale dell’interrogatorio del COGNOME, affermando, tuttavia, al contempo, esso stesso, che la Corte di appello l’avrebbe tratto dalla trascrizione riassuntiva dell’interrogatorio (che a rigore ben avrebbe potuto adoperare tale termine “assoldato” per descrivere, nella sostanza, i fatti riferiti dal AVV_NOTAIO dì giustizia COGNOME – che, tra l’altro, non ha verosimilmente reso solo quell’interrogatorio). Sicché il motivo articolato in ricorso, in parte qua, è anche aspecifico non chiarendo neppure se, di là del termine adoperato, COGNOME avesse proprio del tutto escluso che fossero stati assoldati deì sicari o avesse semplicemente non parlato specificamente degli esecutori dell’omicidio.
Per altro verso, si deve, quindi, anche rilevare che il ricorso in esame non ha, in definitiva, neppure dimostrato l’esistenza di un errore revocatorio decisivo, una svista percettiva in assenza della quale l’esito decisorio sarebbe stato diverso, mostrando piuttosto di dolersi di soluzioni non condivise, ma che risultano pur fondate su emergenze processuali oggetto di valutazione, nell’ambito della complessiva motivazione resa nella sentenza impugnata, che, più che pretermettere gli argomenti difensivi, li supera attraverso la propria impostazione (che dà anche conto, a differenza di quanto si assume in ricorso, nell’ambito delle inferenze ricostruttive affrontate non solo con riferimento alla posizione del COGNOME, delle ragioni che avevano indotto i giudici di merito a ritenere la presenza sul luogo del delitto sia di COGNOME che del suo autista che era evidentemente persona distinta dagli esecutori materiali del delitto, e a ravvisare il collegamento di COGNOME con quelli di COGNOME, e in particolare con COGNOME alla stregua di ben otto contatti censiti tra i due, oltre che tra COGNOME, definito uomo di COGNOME, e COGNOME).
Il ricorso, ivi comprese le integrazioni dei motivi intervenute con atto del 5.2.2024, non considera che attraverso gli errori dedotti ha colpito solo una parte delle emergenze processuali sulle quali si fonda la sentenza di appello richiamata e confermata dalla pronuncia impugnata nella presente sede; di ben altri tasselli si compone infatti la ricostruzione recepita dai giudici dì merito, ch si fonda anche sulla prova logica – la cui valenza è stata ben evidenziata nella pronuncia impugnata; e con tale ricostruzione, sia pure in maniera sintetica, si è confrontata la sentenza della cassazione, qui, oggetto di critica (cfr. sia la parte espressamente dedicata alla posizione di COGNOME che quella del COGNOME ritenute strettamente correlate, oltre che la complessiva ricostruzione riguardante anche le altre posizioni riportate in concatenazione tra loro anche nella sentenza impugnata).
Dalle ragioni sin qui esposte deriva la declaratoria di inammissibilità del ricorso, cui consegue, per legge, ex art. 616 cod, proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di procedimento, nonché, trattandosi di causa di inammissibilità determinata da profili di colpa emergenti dal medesimo atto impugNOMErio, al versamento, in favore della cassa delle ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 3.000,00 in relazione alla entità delle questioni trattate.
P.Q.M.
Riunito il procedimento R.g. n.40533/2023 al R.g. n. 40480/2023, dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Così deciso il 29/2/2024.