Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 15771 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 15771 Anno 2025 Presidente: COGNOME NOME
comma 2bis , cod. proc. pen. osservando testualmente che «La deduzione incentrata sull’erronea qualificazione del fatto, agli effetti dell’art. 448, comma 2bis , cod. proc. proc. pen., può dirsi ammissibile solo alla condizione che la violazione emerga con evidenza sulla base della stessa contestazione, in rapporto al fatto rappresentato. SicchØ deve ritenersi preclusa l’impugnazione che denunci una violazione di legge non immediatamente evincibile dal tenore dei capi di imputazione e dalla motivazione della sentenza. … Nella specie, tale violazione non emerge in modo manifesto nØ dalla imputazione nØ dalla motivazione della sentenza impugnata». Relatore: NOME Data Udienza: 15/04/2025
Ricorre per cassazione, ai sensi dell’art. 625bis cod. proc. pen., il difensore dell’imputato, deducendo con un unico motivo che l’ordinanza impugnata sarebbe caratterizzata da un errore di fatto consistente nella circostanza che alla luce del contenuto dell’imputazione come sopra riportata difettava in capo al COGNOME la qualifica pubblica che costituisce il presupposto per la configurabilità del contestato reato di cui all’art. 314 cod. pen. dato che l’Organismo Congressuale Forense Ł un ente privo di alcuna evidenza pubblica e, di conseguenza, il COGNOME che ne era tesoriere, non avrebbe potuto essere ritenuto un pubblico ufficiale.
Precisa, al riguardo, parte ricorrente che la natura di detto Organismo Ł meramente privatistica dato che la legge professionale riconosce come unici soggetti giuridici dotati di rappresentanza istituzionale dell’Ordine Forense esclusivamente i Consigli dell’Ordine ed il Consiglio Nazionale Forense (l. n. 47/2012, titolo III, art. 24 e seguenti).
Aggiunge, infine, la difesa del ricorrente che nell’ordinanza impugnata sarebbe presente un altro errore di fatto nel punto in cui si afferma che la violazione denunciata «non emerge in modo manifesto … dalla motivazione della sentenza impugnata», mentre, come si Ł detto, l’errore sarebbe evidente alla luce della normativa richiamata.
La decisione impugnata sarebbe, pertanto, caratterizzata da un errore percettivo che avrebbe avuto influenza decisiva sull’esito del giudizio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso Ł manifestamente infondato.
Deve, infatti, osservarsi che parte ricorrente tenta inammissibilmente di sottoporre nuovamente a questa Corte di legittimità una questione ‘di diritto’ (non certo ‘di fatto’) già sottoposta non solo con l’originario ricorso ma, all’evidenza, anche al G.i.p. che vi aveva dato risposta nella motivazione della sentenza di applicazione della pena richiamando un assunto giurisprudenziale sul punto.
Non Ł di certo questa la sede per verificare nuovamente la correttezza della qualificazione giuridica della condotta dell’imputato atteso che nell’ordinanza qui impugnata la Corte risulta avere preso in considerazione la qualifica rivestita dall’imputato ed avere dato risposta alla doglianza difensiva anche alla luce dei limiti imposti dall’art. 448, comma 2bis , cod. proc. pen. in presenza di una sentenza di applicazione della pena.
E’ appena il caso di ricordare che il rimedio di cui all’art. 625bis cod. proc. pen., può essere proposto solo nel caso di errore materiale o di fatto e non per un lamentato errore di diritto.
Questa Corte di legittimità nel suo massimo consesso ha, infatti, chiarito che «L’errore di fatto verificatosi nel giudizio di legittimità e oggetto del rimedio previsto dall’art. 625bis cod. proc. pen. consiste in un errore percettivo causato da una svista o da un equivoco in cui la Corte di cassazione sia incorsa nella lettura degli atti interni al giudizio stesso e connotato dall’influenza esercitata sul processo formativo della volontà, viziato dall’inesatta percezione delle risultanze processuali che abbia condotto a una decisione diversa da quella che sarebbe stata adottata senza di esso. (La Corte ha precisato in motivazione che: 1)- qualora la causa dell’errore non sia identificabile esclusivamente in una fuorviata rappresentazione percettiva e la decisione abbia comunque contenuto valutativo, non Ł configurabile un errore di fatto, bensì di giudizio; 2)- sono estranei all’ambito di applicazione dell’istituto gli errori di interpretazione di norme giuridiche, sostanziali o processuali, ovvero la supposta esistenza delle norme stesse o l’attribuzione ad esse di una inesatta portata, anche se dovuti ad ignoranza di indirizzi giurisprudenziali consolidati, nonchØ gli errori percettivi in cui sia incorso il giudice di merito, dovendosi questi ultimi far valere – anche se risoltisi in travisamento del fatto – soltanto nelle forme e nei limiti delle impugnazioni ordinarie; 3)l’operatività del ricorso straordinario non può essere limitata alle decisioni relative all’accertamento dei fatti processuali, non risultando giustificata una simile restrizione dall’effettiva portata della norma in quanto l’errore percettivo può cadere su qualsiasi dato fattuale) (Sez. U, n. 16103 del 27/03/2002, COGNOME, Rv. 221280; Conf. Sez. U, 27 marzo 2002 n. 16104, COGNOME, non massimata).
Detti principi hanno trovato conforto anche in decisioni successive nelle quali si Ł ricordato che «L’errore materiale e l’errore di fatto, indicati dall’art.625bis cod. proc. pen. come motivi di possibile ricorso straordinario avverso provvedimenti della corte di cassazione, consistono, rispettivamente, il primo nella mancata rispondenza tra la volontà, correttamente formatasi, e la sua estrinsecazione grafica; il secondo in una svista o in un equivoco incidenti sugli atti interni al giudizio di legittimità, il cui contenuto viene percepito in modo difforme da quello effettivo; ne deriva che rimangono del tutto estranei all’area dell’errore di fatto – restando quindi fermo, con riguardo ad essi, il principio di inoppugnabilità dei provvedimenti della Corte di cassazione – gli errori di valutazione e di giudizio dovuti ad una non corretta interpretazione degli atti del processo di cassazione, da assimilare agli errori di diritto conseguenti all’inesatta ricostruzione del significato delle norme sostanziali e processuali» ( ex multis , Sez. 5, n. 29240 del 01/06/2018, COGNOME, Rv. 273193; Sez. 4, n. 3367 del 04/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268953).
Per le considerazioni or ora esposte, dunque, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonchØ, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186) al versamento della somma ritenuta equa di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 15/04/2025.
Il Consigliere estensore