Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 28519 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 28519 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 16/06/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: NOME COGNOME nato a CIRO’ il 21/04/1961 COGNOME NOME nato a CIRO’ MARINA il 15/12/1962
avverso la sentenza del 13/06/2024 della CORTE DI CASSAZIONE di Roma
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il pubblico ministero in persona del Procuratore Generale NOME COGNOME che si riporta alla requisitoria ed ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi; udito il difensore di COGNOME, avv. NOME COGNOME che deposita memoria contenente motivi aggiunti, e che ha concluso insistendo nel ricorso; udito il difensore COGNOME, avv. COGNOME in sostituzione degli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME si riporta al ricorso e ne chiede l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe, questa Corte ha rigettato i ricorsi proposti avverso la sentenza della Corte di assise di appello di Milano del 01.06.2023, che, in parziale riforma della sentenza della Corte di assise di Busto Arsizio del 23/11/2021, ha condannato NOME COGNOME ed i coimputati COGNOME
NOME e COGNOME NOME alle pene ritenute di giustizia, per il delitto di omicidio commesso in danno di NOME COGNOME il 26/09/2008, in Legnano, confermando nel resto la condanna nei confronti di COGNOME NOME.
Gli imputati, ritualmente assistiti dai loro difensori di fiducia, ricorrono per cassazione avverso la sentenza di questa Corte.
Il contenuto dei ricorsi può essere riassunto nei seguenti termini, ex art.173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
L’imputato NOME COGNOME ricorre tramite un unico atto, affidato ad un unico motivo, con il quale lamenta vizio di omessa valutazione di uno specifico motivo di ricorso ed errore di fatto, in relazione alla ritenuta colpevolezza del ricorrente, quale mandante dell’omicidio di NOME COGNOME Si deduce che la Corte di cassazione, in sede di esame del ricorso avverso la sentenza di condanna della Corte d’Assise d’Appello , sia incorsa in un errore di fatto, laddove ha ritenuto che detta sentenza abbia correttamente valorizzato elementi colpevolmente trascurati dal giudice di primo grado (dichiarazioni dei collaboratori NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME, conversazioni registrate dal Maggior COGNOME il 10/05/2008), per rafforzare l’impronta genetica dell’omicidio, come riferibile ad una decisione dei reggenti della cosca COGNOME COGNOME, in quel momento in libertà (NOME COGNOME e NOME COGNOME), quando, invece, essa esclude che tali elementi abbiano portata di reale accrescimento del quadro probatorio, saldamente ancorato alle molteplici fonti autonome, e che siano sufficienti per l’affermazione della responsabilità dei mandanti.
Si deduce il mancato esame di uno specifico motivo di appello, che lamentava vizio di mancanza assoluta e di illogicità della motivazione, in relazione alle dichiarazioni rese da ll’imputato nel corso dell’esame , reso il 28/03/2023, sugli specifici temi di prova, indicati nella ordinanza del 26/10/2022, ed ai riscontri circa la presenza del ricorrente in Sila, nascosto in covi, nell’agosto 2008 , nonché in relazione alle dichiarazioni di NOME COGNOME e a quelle di NOME COGNOME, contrastanti tra loro sulla circostanza che COGNOME NOME, unitamente a COGNOME NOME ( di NOME) e a COGNOME NOME, si siano recati in Sila per far visita ai latitanti, ed ivi giunti NOME COGNOME abbia pronunciato le fatidiche frasi contro NOME COGNOME.
Con i motivi aggiunti, depositati il 10/06/2025, il difensore reitera le deduzioni contenute nel ricorso, e deduce errore percettivo in cui sarebbe incorso il giudice di legittimità in forza dell’equivoco scaturito dalla lettura delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia (Vrenna e Acri), così come emergente dalla combinata lettura delle pagine 46 (sentenza della Corte di cassazione) e 33-45 (sentenza
della Corte di assise d’a ppello), confermando la sentenza di condanna pronunciata dal Giudice di appello ed individuando nelle dichiarazioni di COGNOME ed Acri l’elemento probatorio dirimente, che, poiché non valutato dal Giudice di primo grado, legittima la reformatio in peius in sede di appello, sebbene ritenute dal Giudice di secondo grado del tutto generiche in quanto costituenti generica accusa nei confronti dei ‘ COGNOME‘ , aventi interesse ad eliminare un determinato soggetto.
Si deduce che l’ errore percettivo, decisivo, in cui è incorsa la Corte di cassazione, causato da un equivoco nella lettura degli atti interni al giudizio e nella lettura della stessa sentenza di secondo grado, avrebbe inciso direttamente sul processo formativo della volontà, in quanto il giudice di appello riformava la sentenza di primo grado previamente esaminando, ai sensi dell’art.603 cod. p roc. pen., altro collaboratore di giustizia (Oliverio) ritenuto inattendibile in primo grado, mentre la Corte di cassazione, avrebbe, erroneamente, individuato nelle dichiarazioni di COGNOME ed COGNOME (che il giudice di appello ritiene non sufficienti) un riscontro validante la credibilità di due chiamanti de relato (COGNOME e COGNOME), che il giudice di primo grado aveva ritenuto, inadeguate a legittimare un giudizio di colpevolezza. Nella memoria sono riportati alcuni brani tratti dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia che avrebbero ricondotto la causale dell’omicidio a motivi familiari (NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME.
L’imputato NOME COGNOME ricorre tramite un unico atto, affidato a quattro motivi di ricorso.
4.1 Il primo motivo di ricorso lamenta errore di fatto, commesso dalla Corte di assise di Appello e reiterato da questa Corte, laddove è stato ritenuto credibile il collaboratore NOME COGNOME ovvero inammissibile sottoporre a vaglio di legittimità le censure in ordine alla attendibilità dei dichiaranti, su elementi di prova essenziali, quali, in primo luogo, la valutazione del calibro (38 special) del l’arma impiegata per l’omicidio di NOME COGNOME . Si deduce che il motivo di ricorso riguardava elementi materiali e non di natura valutativa, che smentivano i racconti dei collaboratori, in particolare di NOME COGNOME (che riferisce di una pistola calibro 357, corta, cromata), non riscontrato, sul punto, dai dati di generica (accertamenti balistici), e che la circostanza sarebbe decisiva in quanto avrebbe influito sulle modalità di esecuzione dell’omicidio ( esecuzione all’interno dell’autovettura, distanza dello sparatore dalla vittima, segni di affumicatura e di bruciatura sull’arma) .
4.2 Il secondo motivo di ricorso lamenta errore di fatto relativo alla tempistica della ricerca dell’arma del delitto da parte del collaboratore COGNOME (subito dopo il rientro da Palermo), non riscontrata dai tabulati telefonici, rilevante ai fini della decisione in relazione alla ritenuta veridicità delle dichiarazioni del collaborante.
4.3 Il terzo motivo di ricorso lamenta errore di fatto, in relazione alla mancata corrispondenza dell’autovettura utilizzata per l’esecuzione dell’omicidio (Fiat Punto) con quella indicata dal collaboratore COGNOME (una BMW). Si duole che la Corte di cassazione avrebbe valorizzato dati non riscontrati a fronte di dati provenienti da una relazione empirica basata sulle traiettorie di sparo.
4.4 Il quarto motivo di ricorso lamenta errore di fatto percettivo, in relazione alla mancata corrispondenza delle impronte digitali prelevate dagli inquirenti sugli oggetti depositati sul cadavere con quelle degli imputati, esecutori materiali.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono inammissibili in quanto manifestamente infondati non essendo proposti ai fini della correzione di errori materiali o di fatto, contenuti nella sentenza, e collocandosi, dunque, al di fuori dei limiti previsti dall’art. 625bis cod. proc. pen.
È noto che l’errore di fatto verificatosi nel giudizio di legittimità, oggetto del rimedio previsto dall’articolo 625 bis cod. proc. pen., consiste in un errore percettivo causato da una svista o da un equivoco, in cui la Corte di cassazione sia incorsa nella lettura degli atti interni al giudizio stesso e connotato dall’influenza esercitata sul processo formativo della volontà, viziato dall’inesatta percezione delle risultanze processuali che abbia condotto a una decisione diversa da quella che sarebbe stata adottata senza di esso. Occorre che lo sviamento della volontà del giudice sia non solo decisivo, ma anche di oggettiva immediata rilevabilità, nel senso che il controllo degli atti processuali deve far trasparire, in modo diretto ed evidente, che la decisione è stata condizionata dall’inesatta percezione e non dall’errata valutazione o dal non corretto apprezzamento di quegli atti, nel qual caso la qualificazione appropriata è quella corrispondente all’errore di giudizio.
Ciò è stato più volte affermato da questa Corte, in particolare con la sentenza a Sezioni Unite n. 16103 del 27/03/2002 (Rv. 221280, ric. Basile), nella quale è stato precisato in motivazione che: 1) qualora la causa dell’errore non sia
identificabile esclusivamente in una fuorviata rappresentazione percettiva e la decisione abbia comunque contenuto valutativo, non è configurabile un errore di fatto, bensì di giudizio; 2) sono estranei all’ambito di applicazione dell’istituto gli errori di interpretazione di norme giuridiche, sostanziali o processuali, ovvero la supposta esistenza delle norme stesse o l’attribuzione ad esse di una inesatta portata, anche se dovuti ad ignoranza di indirizzi giurisprudenziali consolidati, nonché gli errori percettivi in cui sia incorso il giudice di merito, dovendosi questi ultimi far valere – anche se risoltisi in travisamento del fatto – soltanto nelle forme e nei limiti delle impugnazioni ordinarie; 3) l’operatività del ricorso straordinario non può essere limitata alle decisioni relative all’accertamento dei fatti processuali, non risultando giustificata una simile restrizione dall’effettiva portata della norma in quanto l’errore percettivo può cadere su qualsiasi dato fattuale; 4) l’errore di fatto, censurabile secondo il dettato dell’art. 625 bis cod. proc. pen., deve consistere in una inesatta percezione di risultanze direttamente ricavabili da atti relativi al giudizio di cassazione; 5) l’errore di fatto deve rivestire “inderogabile carattere decisivo”; 6) l’errore di fatto può consistere anche nell’omissione dell’esame di uno o più motivi del ricorso per cassazione, sempre che risulti dipeso “da una vera e propria svista materiale, ossia da una disattenzione di ordine meramente percettivo, che abbia causato l’erronea supposizione dell’inesistenza della censura”, ovverossia che l’omesso esplicito esame lasci presupporre la mancata lettura del motivo di ricorso e da tale mancata lettura discenda, secondo “un rapporto di derivazione causale necessaria”, una decisione che può ritenersi incontrovertibilmente diversa da quella che sarebbe stata adottata a seguito della considerazione del motivo; 7) il disposto dell’art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1, secondo cui “nella sentenza della Corte di cassazione i motivi di ricorso sono enunziati nei limiti strettamente indispensabili per la motivazione”, non consente di presupporre che ogni argomento prospettato a sostegno delle censure e non analiticamente riprodotto in sentenza sia stato non letto, anziché implicitamente ritenuto non rilevante (Sez. Un., 27 marzo 2002 n. 16104, COGNOME, rv. 220292; Sez. Un. 27/03/2002 n. 16103, COGNOME, Rv. 221283; Sez. 4, Sentenza n. 34156 del 21/06/2004, Rv. 229099 -01; Sez. 2, Sentenza n. 44327 del 11/10/2005, Rv. 232780 -01; Sez. Un., n. 37505 del 14/7/2011, COGNOME, Rv. 250527; Sez. Un., n. 18651 del 26/3/2015, COGNOME, Rv.265248; nello stesso senso, fra le tante, Sez. 4, n. 17178 del 8/4/2015, COGNOME, Rv. 263443; Sez. 3, n. 47316 del 01/06/2017, Rv. 271145; Sez. 3, Sentenza n. 11172 del 15/12/2023, dep. 2024, Rv. 286048 – 01).
Il principio appena richiamato trova applicazione in relazione al motivo di doglianza proposto da NOME COGNOME.
3.1 Nella specie, non si verte in una ipotesi di errore materiale percettivo, in fatto, immediatamente ed oggettivamente rilevabile in base al semplice controllo del contenuto del ricorso e, dunque, non si tratta di una svista o di un equivoco, derivante dalla lettura degli atti interni, ma, al più, di un errore valutativo, cioè di un errore sulla esatta portata dei presupposti giuridici in ragione dei quali si è confermata la condanna dell’imputato quale mandante dell’omicidio .
Il ricorrente invoca, in questa sede, una rivalutazione degli elementi probatori, nella specie le dichiarazioni dei collaboratori COGNOME, Acri e COGNOME, già diffusamente esaminati e delibati in appello, nonché apprezzati in sede di legittimità, quindi un riesame del fatto, del tutto inammissibile in sede di ricorso straordinario, come non era ammissibile in sede di ricorso ordinario.
In ogni caso, le affermazioni della sentenza sono oggetto di contestazione da parte del ricorrente essenzialmente nel loro aspetto valutativo, pur non essendo in ogni caso censurabili, ai sensi dell’art. 625-bis cod. proc. pen., né il travisamento del fatto né il travisamento della prova (ex plurimis, Sez. 2, n. 29450 del 08/05/2018, dep. 27/06/2018, Rv. 273060; Sez. 3, n. 26635 del 26/04/2013. Rv. 256293). Diversamente opinando, si finirebbe per fuoriuscire dai confini dell’istituto, che è stato introdotto nel sistema per eliminare i vizi di percezione e non anche quelli di ragionamento.
Riguardo alla valutazione delle dichiarazioni dei collaboratori COGNOME e Acri, recuperati in appello, e non valutati nei loro contenuti dichiarativi dai giudici di primo grado, la Corte di cassazione, in coerenza con la valutazione compiuta dalla Corte di assise di appello, senza dunque incorrere in un errore percettivo, nella lettura degli atti interni al giudizio e nella lettura della sentenza di secondo grado, ha ritenuto che il loro contributo dichiarativo sia stato ritenuto, utile alla complessiva ricostruzione del fatto e rafforzativo dell’acc usa, sia per confermare l’intraneità della genesi dell’omicidio ad un problema ‘interno’ della famiglia (di sangue e mafiosa) COGNOME–COGNOME (parimenti ai collaboratori COGNOME COGNOME, COGNOME, v. pag.122 e 143 sentenza di appello) ed escludere c.d. piste alternative, sia per la individuazione dei mandanti nei reggenti della cosca, nel periodo in questione, NOME COGNOME e NOME COGNOME.
La Corte di cassazione ha ritenuto che il rafforzamento del percorso valutativo sia stato compiuto dai giudici di appello attraverso ‘ la considerazione della particolare rilevanza di dati trascurati dai giudici di primo grado, in quanto, oltre alle fonti dichiarative Vrenna e Acri, la Corte di primo grado menziona, ma non valuta, ulteriori elementi probatori, quali i contenuti delle conversazioni registrate dal Ten. te COGNOME il 10/05/2008, che esprimono in modo chiaro, per come logicamente interpretati dalla Corte di secondo grado, come la fonte dei timori per
la propria vita – espressi da NOME COGNOME -fossero proprio le improbabili determinazioni aggressive dei reggenti COGNOME Silvio e NOME COGNOME .
La diversa valutazione del contributo del collaboratore NOME COGNOME costituisce unico punto di contrasto tra le decisioni, in quanto ritenuto dai giudici di appello riscontro reale e individualizzante riguardo alla posizione di COGNOME e di COGNOME NOME (pag. 262 e ss.), oltre agli apporti testimoniali significativi, assorbenti, dirimenti e risolutivi dei collaboratori COGNOME e COGNOME mentre la Corte di cassazione, a fronte di profili di non cristallina attendibilità soggettiva, ha ritenuto di escluderne il reale peso dimostrativo, in termini di accrescimento del quadro probatorio. La divergente valutazione dei giudici di merito e di legittimità, sulla rilevanza attribuita al contributo dichiarativo dell’Oliverio , che non configura un errore percettivo bensì di valutazione, come correttamente ritenuto nella motivazione della sentenza impugnata, non ha inciso sulla economia complessiva della decisione perché il quadro dimostrativo della responsabilità del ricorrente è saldamente ancorato alle molteplici fonti autonome, univoche e logiche, indicate alle pag.12, 13 e 14 della sentenza di questa Corte.
Quanto ai contenuti delle conversazioni registrate dal Maggior COGNOME nel colloquio avuto con la vittima il 10/05/2008, la valutazione compiuta in appello, di formidabile riscontro alla genesi dell’omicidio , perché individuano la fonte dei timori per la propria vita di NOME COGNOME nelle determinazioni aggressive dei reggenti COGNOME Silvio e NOME COGNOME è stata ritenuta logica dalla Corte di cassazione, nonché dato di particolare rilevanza, rafforzativo della motivazione della sentenza di secondo grado.
Le deduzioni contenute nella memoria difensiva sono inammissibili in quanto reiterative di doglianze proposte in sede di appello e oggetto di diffusa valutazione da parte della Corte di merito, ritenuta corretta e logica dalla sentenza impugnata, che, al riguardo, non è incorsa in errore percettivo in quanto il giudizio attiene alla valutazione di elementi di natura valutativa e, se sorretto da congrua e non manifestamente illogica motivazione, è insindacabile in sede di legittimità.
La doglianza relativa alla coincidenza di alcuni punti specifici delle dichiarazioni dei collaboratori COGNOME e COGNOME, circa la presenza dei latitanti (NOME COGNOME e NOME COGNOME) , nell’agosto 2008, in Sila, dove i predetti si sarebbero recati, è reiterativa di motivo già valutato dalla Corte di legittimità (v. pag.43), in termini di correttezza e di non manifesta illogicità delle argomentazioni della sentenza d’appello . Tale parziale non coincidenza è stata spiegata con la diversa ‘valenza’ che , per NOME COGNOME (soggetto contiguo ma non aduso ad occuparsi di vicende di questo rilievo), il cui ricordo è nitido e più preciso, ma circoscritto al ferale contenuto del colloquio e alle persone partecipi, aveva l’incontro con i latitanti , rispetto alle abitudini del COGNOME, per nulla
emotivamente coinvolto nel caso NOMECOGNOME e che ha riferito di più visite e incontri con i latitanti, e con il particolare del momento dello sfogo verbale (che colpì il COGNOME ma di cui il COGNOME non ha conservato memoria). Sul punto la Corte di cassazione rimanda alle pag.192 e ss. della sentenza di appello, che ricostruisce la data dell’incontro ex post, mediante il riscontro oggettivo del controllo di PG (30/08/2008) e che individua plurimi riscontri esterni alle dichiarazioni del COGNOME, anche nelle dichiarazioni di COGNOME, e che ha sottolineato che nessuna dissonanza, nessuna inconciliabile antinomia, nessuna smentita vi sia su un punto cruciale (l’incontro con i latitanti) delle dichiarazioni testimoniali.
Quanto alle dichiarazioni rese dall’imputato, nel corso dell’esame, reso il 28/03/2023, che si è limitato a negare la circostanza della presenza in Sila, nell’agosto 2008, l a Corte di appello valuta tale affermazione, ritenendola non vera, nell’ambito delle strategie difensive dell’imputato , evidenziando il mancato esercizio del diritto alla controprova, che ha rinunciato ad allegare una tesi difensiva volta a prospettare una ricostruzione dei fatti alternativa e diversa da quella risultante dalle emergenze probatorie (Sez. 3, sentenza 15/07/2011, n. 30251), (pag.117 e ss. della sentenza di secondo grado).
I motivi di ricorso proposti da NOME COGNOME sono inammissibili in quanto manifestamente infondati.
Il ricorso si traduce, all’evidenza, in una richiesta di nuova valutazione ed apprezzamento di elementi di prova, e non trattasi di ipotesi di errore di fatto.
Con la sentenza impugnata, questa Corte ha sottolineato « la pretesa di una rivalutazione, in sede di legittimità, dei profili di attendibilità di un dichiarante (COGNOME NOME) in quanto si risolve in una riproposizione di argomenti in fatto estrapolati da una complessa istruttoria , salva l’ipotesi dell’avvenuta emersione di un possibile ‘spunto di disarticolazione ‘ del ragionamento, espresso dal giudice di merito all’interno del percorso motivazionale , che non è dato di rinvenire atteso che la Corte di merito ha fornito su ogni spunto critico alla doglianze, relative alle pretese ragioni di inattendibilità dei collaboratori COGNOME e COGNOME Francesco, delle risposte non manifestamente illogiche e, dunque, non rivalutabili in sede di legittimità».
Questa Corte ha sottolineato « che l’incrocio narrativo tra i soli COGNOME NOME e COGNOME NOME, in presenza di verificata autonomia genetica e attendibilità intrinseca dei dichiaranti è ampiamente sufficiente alla affermazione di responsabilità (tanto del COGNOME che dei mandanti)», richiamando i principi delle Sez. U. Aquilina.
La Corte di cassazione ha richiamato la pronuncia di secondo grado che ha spiegato che le discrasie tra le due principali narrazioni (COGNOME e COGNOME
NOME con conoscenza diretta) dipendono esclusivamente dalla natura indiretta delle conoscenze di entrambi sulla fase esecutiva e non intaccano il complessivo giudizio di attendibilità dei collaboratori che univocamente indicano il COGNOME come co-esecutore materiale dell’omicidio , convergenti con quelle di NOME COGNOMEche avrebbe appreso della avvenuta esecuzione proprio dal ricorrente, in un contesto di confessione stragiudiziale).
La sentenza impugnata ha, inoltre, richiamato, quali ulteriori elementi di valutazione, utilizzati dai giudici di secondo grando, come riscontro esterno alla narrazione del COGNOME, alcuni dati tecnici (contatti telefonici ‘notturni’ tra i soggetti indicati dallo stesso COGNOME come fiancheggiatori del Rispoli nella specifica vicenda omicidiaria).
Sui tempi e modalità di rinvenimento dell’arma utilizzata dal COGNOME e gettata in un campo, che sono stati oggetto di valutazione, la sentenza impugnata ha ritenuto che la Corte di secondo grado ‘rileva in modo corretto che non vi sono effettivi punti di smentita, restando la narrazione del COGNOME in un contesto di opinabilità ma non certo di falsificazione’. Si rimanda alle pagg. 207 e ss. della sentenza di secondo grado, che ha offerto congrua e diffusa motivazione al riguardo, quanto alla valutazione delle dichiarazioni del COGNOME ed ai riscontri, oggettivi e individualizzanti, attraverso il controllo incrociato dei tabulati e gli esiti delle intercettazioni.
Quanto alla valutazione del calibro (38 special) del l’arma impiegata per l’omicidio di NOME COGNOME , il motivo di ricorso riguardava elementi di natura valutativa e non già materiali, in quanto la Corte d’assise d’appello, sul punto richiamata dalla sentenza impugnata, ha ritenuto che la conclusione peritale si è risolta in una stima, di carattere tecnico-specialistico, poggiata -secondo criteri di compatibilità -sugli esiti autoptici, in assenza di elementi di analisi (bossoli, proiettili) nonché di accertamento dell ‘ impossibilità tecnica di caricare una 357 magnum con proiettili 38 special, per evidenziare il contrasto tra l’arma indicata dal collaboratore e le emergenze necroscopiche, e la smentita del collaboratore da un dato della scienza balistica.
Il terzo motivo di ricorso è inammissibile in quanto rivalutativo.
Quanto alla autovettura utilizzata per l’esecuzione dell’omicidio, s i deduce che la Corte di cassazione avrebbe valorizzato dati non riscontrati (dichiarazioni del collaboratore COGNOME) a fronte di dati provenienti da una relazione empirica basata sulle traiettorie di sparo. Il motivo si traduce in una richiesta di nuova valutazione ed apprezzamento di elementi di prova. Sul punto, la sentenza impugnata ha valorizzato dati che hanno costituito oggetto di valutazione e di riscontro come indicato alle pag. 75, 78, 80 della sentenza di secondo grado, che richiama gli accertamenti svolti dalla P.G. (denuncia di furto della BMW, verifica
empirica con la ricostruzione della traiettoria dello sparo, a bordo di due vetture, una Fiat Punto e una Hunday Lantra), dichiarazioni teste di PG, intercettazioni telefoniche, risposta fornita ai rilievi critici della difesa anche nella sentenza di primo grado.
4.4 Il quarto motivo di ricorso è inammissibile in quanto manifestamente infondato.
Quanto alla valutazione compiuta, in termini di irrilevanza ai fini della decisione, del dato della mancata corrispondenza delle impronte digitali di soggetti rimasti ignoti sugli effetti personali della vittima e sugli oggetti ritrovati nelle vicinanze del cadavere, lo stesso rientra nell’ambito dell’apprezzamento della prova e non si tratta di errore percettivo.
Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 16/06/2025.