Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 9443 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 9443 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 08/01/2025
SENTENZA
sui ricorsi ex art. 625-bis cod. proc. pen. proposti nell’interesse di:
COGNOME NOME nato a Bari il 1/04/1973
COGNOME NOME nato a Bari il 26/07/1970
avverso la sentenza n. 27732/2024 del 7/05/2024 della Seconda Sezione della Corte di cassazione visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME
sentite le conclusioni del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso;
letta la nota depositata dalla difesa il 5/01/2025, nella quale si segnala che la Corte EDU ha ritenuto “interessanti” le questioni giuridiche sollevate dai ricorrenti alla medesima sentenza di legittimità impugnata comunicando in data 09/11/2024 che «il ricorso sarà portato all’esame della Corte»;
udito l’avvocato NOME COGNOME che ha insistito nei motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.Con atto di impugnazione presentato dall’avv. NOME COGNOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME propongono ricorso straordinario ex art. 625-bis cod. proc. pen. avverso la sentenza n. 27732/2024 emessa il 7 maggio 2024 dalla Corte di cassazione, Seconda Sezione penale.
Con la pronuncia di legittimità censurata erano rigettati i ricorsi degli imputati avverso la sentenza della Corte di Assise di appello di Bari del 15 marzo 2021, che aveva condannato i predetti per avere, in concorso tra loro, con la finalità di recuperare il corrispettivo di una truffa subita ad opera dei “torinesi” NOME e NOME, privato della libertà personale, per un congruo lasso di tempo, NOME NOME, intermediatrice della operazione di scambio di denaro “in nero” (euro verso dollari, poi rivelatisi falsi), per un valore complessivo d euro 250.000,00, operazione non andata a buon fine, ottenendo dal fratello della donna, a parziale reintegra della somma oggetto della truffa subita, e condizione per la liberazione dell’ostaggio, euro 18.000,00.
Avverso la sentenza della Seconda Sezione di questa Corte ricorrono per cassazione COGNOME NOME e COGNOME NOME, deducendo plurimi errori percettivi, anche di tipo omissivo, con riguardo al secondo motivo di impugnazione.
Nello stesso si premette che la COGNOME doveva essere sentita ex art. 210 cod. proc. pen. e, comunque, la reale qualità di persona offesa concorrente in un delitto connesso o collegato avrebbe imposto una diversa valutazione delle dichiarazioni rese dalla donna da parte della A.G., non quale persona offesa “pura”, ma ex art. 192, comma 3, cod. proc. pen., necessitante dei riscontri.
La difesa ritiene sussistenti quattro errori decisivi e rilevanti:
2.1. La Suprema Corte non si è avveduta del fatto che, come si ricaverebbe dalla sentenza di primo grado, dalla testimonianza di COGNOME non emergerebbe affatto la estraneità della Valia alla truffa perpetrata ai danni dei Fornelli, chiamati “i baresi”.
2.2. La Suprema Corte non si è accorta che:
-nel capo di imputazione la persona offesa del sequestro di persona, e cioè NOME è indicata quale concorrente del delitto di truffa ai danni dei condannati;
la sentenza di primo grado considera come un’unica operazione lo scambio illecito di valuta e la truffa concretamente organizzata ai danni dei “baresi” definendola “scambio imbroglio”. La sentenza che si chiede di revocare, separando i due momenti e riconoscendo il co i nvolgimento della vittima solo in quella dello
scambio, si rivela iniqua perché contrasta con il primo e più favorevole giudizio. La sentenza di primo grado, inoltre, ritiene che NOME e NOME fossero i” primi terminali del gruppo di truffatori”.
-nella conversazione del 24 aprile 2009, n. 5244, nt. 606/09 la Valia, nell’ambito di un colloquio tra COGNOME NOME e COGNOME NOME, che le chiedeva conto di quanto accaduto a Torino, rispondeva: «è successo che mi ha cambiato i soldi, li ha passati da una valigetta all’altra». L’uso della prima persona singolare dimostra che la donna era presente al momento della sostituzione del denaro e che fu proprio lei a gestire fisicamente il passaggio del contenitore in cui a COGNOME NOME vennero rifilati dollari falsi.
l’atteggiamento della COGNOME in dibattimento era stigmatizzato a pagina 10 del ricorso.
-nei motivi aggiunti del 4 maggio 2023, si sottolineava che non si comprendeva la ragione per la quale “NOME” avrebbe dovuto interessarsi e preoccuparsi della sorte di NOME, tanto da impegnarsi nelle trattative per il rilascio di costei sino a sacrificare, a tale fine, quanto meno una parte del profitto del reato.
-nell’atto di appello, la difesa aveva evidenziato le ragioni per le quali non si considerava convincente la motivazione contenuta a pag. 51 della sentenza di primo grado (circa il fatto che non esistevano elementi dai quali desumere che la donna fosse d’accordo con i truffatori).
2.3. Il terzo errore di fatto che inficia la decisione di legittimità consiste nel fatto che la Corte di Cassazione non si è accorta della doglianza contenuta nell’ultima parte del secondo motivo di ricorso circa la reiterata richiesta di applicare l’art. 47, secondo comma, cod. pen.; era necessario prendere in considerazione, in via gradata, un possibile errore di fatto, nel senso che gli imputati, nella concreta situazione data, potevano plausibilmente ritenere, in buona fede- ancorché erroneamente – che la Valia fosse compartecipe della truffa ordita in loro danno, e quindi, ai sensi del citato articolo, gli stessi non erano punibili per il reato di sequestro di persona a scopo di estorsione, ma per quello voluto, e cioè quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni.
2.4. Il quarto errore di percezione consiste nel fatto che la Corte di cassazione non si è avveduta che, dalle decisioni di merito, si ricavava la mancanza di un requisito fondamentale per la sussistenza dei delitto di cui all’art. 630 cod. pen., e cioè la necessaria sinallagmaticità tra il pagamento del prezzo e la liberazione della persona.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.1 ricorsi sono inammissibili.
2. Per consolidata giurisprudenza, l’errore di fatto verificatosi nel giudizio di legittimità consiste in un errore percettivo causato da una svista o da un equivoco in cui la Corte di cassazione sia incorsa nella lettura degli atti interni al giudizio stesso e connotato dall’influenza esercitata sul processo formativo della volontà, viziato dall’inesatta percezione delle risultanze processuali, che abbia condotto a una decisione diversa da quella che sarebbe stata adottata senza di esso (Sez. U, n. 16103 del 27/03/2002, COGNOME, Rv. 221280). GLYPH Ne consegue che il rimedio straordinario disciplinato dall’art.625-bis cod. proc. pen. è esperibile esclusivamente per far valere l’errore materiale e l’errore di fatto che consistono, rispettivamente, il primo nella mancata rispondenza tra la volontà, correttamente formatasi, e la sua estrinsecazione grafica; il secondo in una svista o in un equivoco incidenti sugli atti interni al giudizio di legittimità, il cui contenuto viene percepito in modo difforme da quello effettivo (Sez.5, n. 29240 del 01/06/2018, COGNOME, Rv. 273193).
Qualora la causa dell’errore non sia identificabile esclusivamente in una fuorviata rappresentazione percettiva e la decisione abbia comunque contenuto valutativo, non è configurabile un errore di fatto, bensì di giudizio, come tale escluso dall’orizzonte del rimedio previsto dall’art. 625-bis cod. proc. pen. (Sez. U, n. 18651 del 26/03/2015, COGNOME, Rv. 263686).
Applicando tali principi al caso di specie, emerge l’inammissibilità dei ricorsi essendo questi diretto non già a valorizzare un mero errore percettivo e sollecitando, invece, una diversa valutazione del giudizio cui è giunta la Seconda sezione.
Le discrasie evidenziate dai ricorrenti, infatti, non si traducono in errori di fatto dal cui riconoscimento consegue necessariamente un errore di giudizio, bensì si prospetta una diversa valutazione dei fatti che, in concreto, è stata già ritenuta infondata nella sentenza impugnata.
I COGNOME contestano segnatamente il fondamento giuridico e la legittimità della precedente decisione, pretendendo, nella sostanza, di azionare un ulteriore grado di giudizio in cui vengano completamente riesaminate le loro precedenti deduzioni, già disattese (compresa l’eccezione di legittimità costituzionale) con sentenza definitiva.
La Seconda Sezione di questa Corte (si vedano i punti 2.2. del “Ritenuto in Fatto” e 3-3.4 del “Considerato in Diritto”) ha, infatti, puntualmente evidenziato che:
-la eccezione circa la inutilizzabilità delle dichiarazioni della COGNOME, la quale avrebbe dovuto, sin dall’inizio, essere sentita ex art. 210 cod. proc. pen. era indeducibile perché proposta, per la prima volta, in sede di legittimità;
-la Corte di Assise di appello aveva escluso che la donna potesse avere concorso con i torinesi “NOME e NOME” nella realizzazione della truffa e aveva motivato sulla sua qualità di persona offesa, soggetto alle cui dichiarazioni non si applicano le regole dettate dall’art. 192, comma 3, cod. proc. pen.;
-non era fondato il rilievo difensivo secondo il quale la Corte di Assise di appello avrebbe invertito la qualità soggettiva della Valia – da coimputata a persona offesa – posto che, alla stregua della corretta e non illogica argomentazione riportata a pag. 22, nella quale si richiamano le argomentazioni del primo giudice, non risultavano elementi dai quali desumere che la donna fosse d’accordo con i truffatori. La Corte di cassazione ha, inoltre, sottolineato che la Corte d’ Assise di appello aveva richiamato le dichiarazioni del teste COGNOME il quale non aveva confermato la partecipazione della donna alla truffa come preteso dai ricorrenti, ma solo l’iniziativa intrapresa per lo scambio di valuta;
-la Corte di Assise d’appello aveva approfondito la questione escludendo la partecipazione della Valia alla truffa, valorizzando la peculiare circostanza che la donna decise di tornare da Torino con l’auto dei INDIRIZZO, esponendosi così, nel caso fosse stata d’accordo, al gravissimo rischio di essere presente al momento della scoperta della truffa;
-la Corte di Assise di appello aveva motivato analiticamente circa il fatto che, pur avendo la donna affermato il falso escludendo di essere stata intermediaria, ciò nonostante, doveva essere ritenuta credibile nel resto delle sue dichiarazioni;
-in ordine alla sussistenza dei presupposti per riconoscere, un possibile errore di fatto, bene aveva fatto, la Corte di Assise di appello a richiamare il principio di irripetibilità della prestazione turpe, in virtù del quale, a prescindere dall’applicazione più o meno ampia da attribuire allo stesso, la pretesa restitutoria dei ricorrenti non avrebbe mai potuto essere fatta valere davanti all’autorità giudiziaria per ottenere l’adempimento coattivo della prestazione, così da poter ritenere configurabile il delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni;
con riferimento alla assenza di sinallagma costituisce principio di diritto consolidato quello secondo il quale la condotta criminosa consistente nella privazione della libertà di una persona finalizzata a conseguire come prezzo della liberazione una prestazione patrimoniale, pretesa in esecuzione di un precedente rapporto illecito, integra il reato di sequestro di persona a scopo di estorsione di
cui all’art. 630 cod. pen. e non il concorso del delitto di sequestro di persona con quello di estorsione, consumata o tentata (Sez. U, n. 962 del 17/12/2003 -dep. 20/01/2004- Huang, Rv. 226489 – 01).
5.Alla inammissibilità dei ricorsi consegue la condanna al pagamento delle spese processuali. In ragione delle statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che si ravvisano ragioni di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, deve, altresì, disporsi che i ricorrenti versino la somma, determinata in via equitativa, di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila a favore della Cassa delle ammende.
Così deciso l’8 gennaio 2025
e estensore Il Con