Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 20065 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 20065 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 03/04/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME, nato il DATA_NASCITA a Bova Marina
avverso la sentenza del 16/06/2023 della Corte di cassazione, Seconda Sezione visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; udite le conclusioni del Pubblico ministero in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso; udito il difensore, AVV_NOTAIO in sost. dell’AVV_NOTAIO, che si è riportato al ricorso, chiedendone l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
1. NOME COGNOME ha proposto ricorso ai sensi dell’art. 625-bis cod. proc. pen. avverso la sentenza n. 32569 del 16/06/2023, depositata il 26/07/2023, con cui la Corte di cassazione, Seconda Sezione, ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato nell’interesse di COGNOME, con atti distinti a firma dell’AVV_NOTAIO e dell’AVV_NOTAIO, avverso la sentenza in data 16/06/2022
della Corte di appello di Reggio Calabria, con cui era stata parzialmente ridotta la pena irrogata a COGNOME per il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen.
In questa sede si assume che la Corte di cassazione sarebbe incorsa in errori percettivi, tali da legittimare il proposto ricorso e la revoca della sentenza impugnata.
1.1. In particolare si segnala che nell’atto a firma dell’AVV_NOTAIO con il terzo motivo era stata prospettata violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio, in quanto la Corte territoriale, confermando il riconoscimento della continuazione esterna con l’analogo reato di partecipazione ad associazione di ‘ndrangheta, per il quale era intervenuta condanna irrevocabile, aveva rideterminato la pena in anni ventidue di reclusione (anni 12+ 8 per la recidiva + 2 per la continuazione esterna), errando nel ritenere più grave il fatto oggetto del presente procedimento, a fronte della particolare gravità del ruolo accertato nel procedimento definito con sentenza irrevocabile.
Si richiamano gli argomenti sviluppati nell’atto di appello al fine di rimarcare l’elevato ruolo che era stato riconosciuto a COGNOME nel separato procedimento nel quadro dell’associazione denominata RAGIONE_SOCIALE, a contatto con un personaggio di elevato rango come lo zio NOME COGNOME.
Si prospetta la necessità di riconoscere l’intangibilità del giudicato nel caso in cui sia più grave il reato separatamente giudicato e si segnala dunque l’erroneità del percorso seguito dalla Corte di appello, risultando frutto di errore percettivo i rilievi formulati sul punto dalla Corte di cassazione che aveva posto l’accento sulla diffusa motivazione a sostegno dell’applicata recidiva, tale da giustificare anche l’aumento per la continuazione, e sul fatto che la determinazione del reato più grave in quello oggetto del presente procedimento trovava giustificazione nella maggiore gravità delle pene edittali a seguito delle modifiche intervenute.
Si sottolinea che questa affermazione non era in linea con il rigetto del ricorso del AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO in ordine alla mancata applicazione delle pene edittali rivenienti dalle modifiche operate nel 2015.
1.2. Si segnala inoltre che nell’atto a firma dell’AVV_NOTAIO con il terzo motivo era stata contestata la mancata concessione delle attenuanti generiche, a fronte di una motivazione incentrata su una valutazione totalizzante e non riferita soggettivamente a ciascun imputato: in questo caso la Corte di cassazione aveva omesso la valutazione del motivo.
Erano dunque ravvisabili errori percettivi in relazione ai quali era legittimo il ricorso ex art. 625-bis cod. pen.
Prima dell’udienza il difensore del ricorrente ha inviato le sentenze menzionate nel ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Deve premettersi che «l’errore di fatto verificatosi nel giudizio di legittimità e oggetto del rimedio previsto dall’art. 625-bis cod. proc. pen. consiste in un errore percettivo causato da una svista o da un equivoco in cui la Corte di cassazione sia incorsa nella lettura degli atti interni al giudizio stesso e connotato dall’influenz esercitata sul processo formativo della volontà, viziato dall’inesatta percezione delle risultanze processuali che abbia condotto a una decisione diversa da quella che sarebbe stata adottata senza di esso» (Sez. U, n. 16103 del 27/03/2002, Basile, Rv. 221280).
D’altro canto, è stato rilevato che «in tema di ricorso straordinario, qualora la causa dell’errore non sia identificabile esclusivamente in una fuorviata rappresentazione percettiva e la decisione abbia comunque contenuto valutativo, non è configurabile un errore di fatto, bensì di giudizio, come tale escluso dall’orizzonte del rimedio previsto dall’art. 625-bis cod. proc. pen.» (Sez. U, n. 18651 del 26/03/2015, COGNOME, Rv. 263686; Sez. U, n. 37505 del 14/07/2011, COGNOME, Rv. 250527).
Ed ancora è stato più volte sottolineato che «in tema di ricorso straordinario per errore di fatto, l’errore che può essere rilevato ai sensi dell’art. 625-bis cod. proc. pen. è solo quello decisivo, che abbia condotto ad una pronunzia diversa da quella che sarebbe stata adottata se esso non si fosse verificato» (Sez. 6, n. 14296 del 20/03/2014, Apicella, Rv. 259503).
Ciò, posto deve rilevarsi che la deduzione avente ad oggetto il tema dell’individuazione del reato più grave non è riferibile in realtà ad una percezione di fatto, bensì, semmai, ad una valutazione e risulta comunque manifestamente infondata.
3.1. A fronte dell’assunto difensivo incentrato sul rilievo della maggiore gravità del reato separatamente giudicato, riferito alla partecipazione con ruolo di gran lunga più incisivo ad associazione di ‘ndrangheta in un periodo non eccedente il 2001/2002, rispetto al reato di partecipazione ad associazione di ‘ndrangheta, riferito -in sostanziale continuità temporale- al periodo successivo, almeno fino al 2010/2011, la Corte di cassazione ha rilevato come la Corte territoriale avesse ampiamente motivato in ordine al riconoscimento della recidiva, in ragione della particolare pericolosità manifestata dalla reiterazione del delitto associativo dopo la precedente condanna, così dando conto anche dell’aumento della continuazione,
fermo restando che la determinazione del fatto più grave in quello «oggetto del presente procedimento» era legata alla maggiore gravità delle pene edittali previste a seguito delle modifiche normative intervenute dopo la condanna definitiva del 2003.
Si tratta di giudizio che non sottende alcun errore percettivo, ma implica l’utilizzo di uno specifico canone di determinazione della pena, in caso di riconoscimento della continuazione tra reati giudicandi e reati già separatamente giudicati.
3.2. E’ stato invero rilevato che «in tema di reato continuato, il giudice della cognizione, chiamato a pronunciarsi sulla continuazione tra reati sottoposti al suo giudizio ed altri già giudicati con sentenza irrevocabile, al fine di determinare il reato più grave, può fare riferimento al criterio della pena, rispettivamente da irrogarsi e già irrogata, previsto dagli artt. 671 cod. proc. pen. e 187 disp. att. cod. proc. pen. per il giudice dell’esecuzione, onde apprezzarne e compararne la gravità» (Sez. 6, n. 29404 del 06/06/2018, Assinnata, Rv. 273447; Sez. 2, n. 935 del 23/09/2015, Vella, Rv. 265733).
Si è peraltro segnalato che «in tema di reato continuato, qualora il reato già giudicato e quello da giudicare, legati dall’identità del disegno criminoso, non presentino alcuna differenza nel trattamento edittale, il giudice è comunque tenuto a determinare, mediante una valutazione in concreto, quale sia il reato più grave, posto che la continuazione costituisce una “fictio juris” che non fa perdere a ciascuno dei reati sussunti nell’ambito della stessa la propria individualità giuridica, cui è connessa la conoscibilità in sede esecutiva della parte di pena riferibile ai singoli reati» (Sez. 4, n. 19561 del 28/01/2021, COGNOME).
3.3. Sta di fatto che non poteva aver in nessun caso rilievo l’incidenza in concreto del ruolo svolto dal ricorrente nel periodo oggetto del separato procedimento, a fronte dei ben diversi limiti edittali della pena irrogabile nel giudizio in corso, correlati da un lato alla concreta applicazione della recidiva e dall’altro alle modifiche intervenute in ordine ai limiti edittali previsti dall’art. bis cod. pen., fra l’altro per effetto del d.l. 23 maggio 2008, n. 92, convertito con modificazioni dalla legge 24 luglio 2008, n. 125, ciò prima ancora dell’ulteriore aumento della pena disposto dalla legge 27 maggio 2015, n. 69, peraltro ritenuto in concreto non applicabile nel caso in esame, in quanto successivo all’ambito temporale della condotta, che formava oggetto del giudizio.
In definitiva veniva in rilievo un reato connotato da limiti edittali più rigorosi implicanti una pena più elevata, così da precludere la formulazione di un giudizio comparativo in concreto, volto a far risaltare la maggiore gravità del reato separatamente giudicato.
Quanto al tema della mancata valutazione del motivo avente ad oggetto le attenuanti generiche, l’assunto del ricorrente risulta manifestamente infondato, dovendosi escludere la configurabilità di un errore percettivo decisivo.
Va infatti rimarcato che la Corte di cassazione, a fronte di una deduzione incentrata sull’asserita inidoneità della valutazione della Corte territoriale, non specificamente differenziata in relazione ai singoli imputati, ha dato conto, secondo quanto già rilevato in precedenza, dell’ampia motivazione contenuta nella sentenza impugnata in ordine alla concreta applicabilità della recidiva, correlata alla particolare pericolosità palesata dal ricorrente: si tratta, all’evidenza, d valutazione personalizzata, idonea di per sé a sorreggere il diniego delle attenuanti generiche e tale da assumere dunque rilievo assorbente ai fini della reiezione del motivo volto a contestare quel diniego.
All’inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in ragione dei profili di colpa sottesi alla causa dell’inammissibilità, a quello della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 03/04/2024