Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 10222 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 10222 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 13/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di NOME, nata a Napoli il DATA_NASCITA, contro la sentenza n. 25291/23 emessa in data 4.4.2023 dalla VI Sezione di questa Corte;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La Corte d’appello di Napoli aveva confermato la sentenza con cui il Tribunale del capoluogo partenopeo aveva riconosciuto NOME responsabile dei reati a lei ascritti e, ritenuta la continuazione tra questi e quelli già giudicati c sentenza del medesimo ufficio in data 28.12.2017, irrevocabile 1’1.4.2021, l’aveva condannata alla pena complessiva di anni 21 di reclusione con le conseguenti pene accessorie;
contro
tale sentenza la NOME aveva proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi denunziando, con il primo motivo, violazione di legge vizio di motivazione quanto alla selezione degli elementi di prova valorizzati dalla Corte territoriale, travisamento della prova sulla conversazione oggetto di intercettazione ambientale del 31.8.2014, travisamento RAGIONE_SOCIALE dichiarazioni del collaboratore NOME COGNOME e violazione di legge con riguardo all’art. 416-bis cod. pen.; con il secondo motivo violazione d1 legge e difetto di motivazione con riguardo all’aumento di pena applicato a titolo di continuazione;
con sentenza emessa in data 4.4.2023 la VI Sezione di questa Corte ha giudicato infondate tutte le censure articolate nell’interesse della NOME rigettando perciò il ricorso e condannandola al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali;
contro la sentenza della VI propone ricorso straordinario NOME COGNOME deducendo l’errore di fatto in cui sarebbe incorsa la Corte nella valutazione RAGIONE_SOCIALE dichiarazioni del collaboratore NOME COGNOME erroneamente considerato come “chiamante in correità” e non, come sarebbe stato corretto, c:hiannante “in reità”, con diretta ricaduta sul regime di valutazione della prova; tanto premesso, segnala che, dalla lettura RAGIONE_SOCIALE due sentenze di merito, emerge che il COGNOME, pur consuocero della ricorrente, non aveva mai avuto modo di partecipare alle attività di costei essendo egli al vertice del proprio clan ma senza alcuna forma di partecipazione al clan COGNOME; richiama il contenuto dell’interrogatorio reso dal COGNOME al PM acquisito al dibattimento a séguito di rituale contestazione ribadendo perciò l’errore valutativo in cui sono incorsi i giudici di legittimità nel definir predetto COGNOME chiamante in correità; rileva, ancora, che le dichiarazioni del COGNOME non contengono alcun riferimento a specifici fatti di reato e risultano non databili o collocabili in periodi coerenti con il tempus commissi delicti limitandosi a riferire, in termini generici, che la NOME svolgeva attività usuraria nei periodi d detenzione del marito.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché articolato su censure manifestamente infondate ovvero estranee al perimetro RAGIONE_SOCIALE questioni deduc bili con lo strumento di cui all’art. 625-bis cod. proc. pen..
E’ pacifico che l’errore di fatto suscettibile di essere dedotto con il ricorso straordinario consiste in un errore di percezione che incide direttamente sul processo formativo della volontà del giudice, determinandola in una direzione diversa ed è configurabile quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita; il rimedio del ricors straordinario (assimilabile a quello revocatorio già previsto, in materia civile, dall’art. 391bis cod. proc. civ.), consente perciò di porre rimedio ad una svista o ad un equivoco incidenti sugli atti interni al giudizio di legittimità, rimanendo del tutto estranei all’area dell’errore di fatto – restando quindi fermo ed indiscusso, con riguardo ad essi, il principio di inoppugnabilità dei provvedimenti della Corte di cassazione – gli errori di valutazione e di giudizio dovuti ad una non corretta interpretazione degli atti del processo di cassazione, da assimilare agli errori di diritto conseguenti all’inesatta ricostruzione del significato de le norme sostanziali e processuali (cfr., in tal senso, tra le tante Sez. 1, Sentenza n. 45731 del 13/11/2001, COGNOME, Rv. 220373 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 6493 del 13/12/2001, COGNOME, Rv. 220994 – 01; Sez. 4, Sentenza n. 3367 del 04/10/2016, Troise, Rv. 268953 – 01; Sez. 5, Sentenza n. 29240 del 01/06/2018, COGNOME, Rv. 273193 01).
E’ certo, quindi, che qualora la causa dell’errore non sia identificabile esclusivamente in una fuorviata rappresentazione percettiva e quando la decisione abbia comunque contenuto valutativo, non è configurabile un errore di fatto, bensì di giudizio, come tale escluso dall’orizzonte del rimedio previsto dall’art. 625bis cod. proc. pen. (cfr., Sez. U, Sentenza n. 18651 del 26/03/2015, COGNOME, Rv. 263686 – 01; Sez. 2, Sentenza n. 53657 del 17/11/2016, COGNOME, Rv. 268981 – 01, secondo cui il ricorso straordinario per errore di fatto è inammissibile quando il preteso errore in cui sarebbe incorsa la Corte di cassazione derivi da una valutazione giuridica relativa però a circostanze di fatto che siano state correttamente percepite).
Nel caso di specie, la ricorrente deduce l’errore in cui sarebbe incorsa la Corte di RAGIONE_SOCIALEzione nel definire il COGNOME chiamante in “correità” laddove, ad avviso della COGNOME, il predetto sarebbe stato un chiamante in “reità”.
A prescindere, tuttavia, da ogni considerazione sulla riconducibilità del dedotto errore di qualificazione del dichiarante nel novero di quelli deducibili con il richiamato strumento processuale, è tuttavia sufficiente rilevare che si tratterebbe, comunque, laddove effettivamente tale, di un errore del tutto irrilevante sulla economia della decisione.
Per un verso, infatti, è pacifico che lo “statuto” valutativo RAGIONE_SOCIALE dichiarazioni del chiamante in correità (indagato o imputato del medesimo reato) e del chiamante in reità (indagato o imputato di un reato connesso o collegato) è il medesimo (cfr., per tutte, Sez. U, n. 20804 del 29/11/2012 Ud. dep. 14/05/2013, COGNOME, Rv. 255143 01 ma, ancor prima, Sez. U, n. 36267 del 30/05/2006 , Spennato, Rv. 234598 01).
Per altro verso, poi, lo stesso ricorrente non è stato in grado di individuare sotto quali specifici profili l’errore in cui sarebbe incorsa la VI Sezione avrebbe comportato una decisione diversa da quella adottata ed oggetto della attuale impugnazione.
In realtà, le considerazioni sviluppate in questa sede a proposito dell’apporto dichiarativo del COGNOME attengono a profili già dedotti con il ricorso originario e compiutamente esaminati dalla Corte di RAGIONE_SOCIALEzione nella sentenza impugnata che ha giudicato “… immune da vizi e coerente con il metodo trifasico costantemente indicato dalla giurisprudenza di questa Corte ai fini della valutazione della chiamata in correità (cfr. Sez. U, n. 1653 del 21/10/1992, dep. 1993, Marino, Rv. 192465) … la valutazione RAGIONE_SOCIALE dichiarazioni del collaboratore COGNOME, consuocero della ricorrente e capo dell’omonimo clan sin dagli anni ’80, il quale ha riferito che la NOME si occupava RAGIONE_SOCIALE attività e RAGIONE_SOCIALE casse del clan facendo le veci del marito, NOME COGNOME, quando questo era detenuto. Risulta, infatti, dalla sentenza impugnata che il COGNOME ha riferito che: durante tali periodi la NOME aveva il comando; l’imputata era intervenuta nei confronti di esponenti di rilievo del clan a difesa del figlio NOME (genero del COGNOME); la RAGIONE_SOCIALE era un punto di riferimento al quale altri associati potevano 4 rivolgersi per questioni attinenti le attività criminali (cfr. pagina 16 della sentenza); la RAGIONE_SOCIALE si occupava anche RAGIONE_SOCIALE spedizioni punitive nei confronti di chi non pagava”; la VI Sezione ha spiegato che “… contrariamente a quanto dedotto dalla ricorrente, la sentenza impugnata, oltre a valutare puntualmente la credibilità ed attendibilità intrinseca del dichiarante in ragione del livello apicale ricoperto nel contesto camorristico, della sua conoscenza diretta RAGIONE_SOCIALE dinamiche dei clan COGNOME e COGNOME, dell’assenza di ragioni di astio verso la ricorrente, nonché della precisione del racconto – ha
valutato l’attendibilità estrinseca di tali dichiarazioni individuando, quale riscontro individualizzante, proprio il contenuto della conversazione intercettata il 31 agosto 2014″.
Né è possibile utilizzare lo strumento del ricorso straordinario per sollecitare una nuova ed ulteriore valutazione RAGIONE_SOCIALE dichiarazioni acquisite dai giudici di merito rimettendo nuovamente in discussione – sulla scorta dei medesimi criteri legali la correttezza con cui erano state vagliate e che mai può risolversi in un errore deducibile ai sensi dell’art. 625-bis cod. proc. pen..
L’inammissibilità del ricorso comporta la condanna della ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., della somma – che si stima equa – di euro 3.000 in favore della RAGIONE_SOCIALE, non ravvisandosi ragione alcuna d’esonero.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE.
NOME–tié – ciso in Roma, il 13.2.2024