Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 8930 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 8930 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 30/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME nato a Mazzarino il 24/08/1982
avverso la sentenza del 19/09/2024 della Corte di cassazione visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME sentite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso; uditi i difensori, avvocati NOME Giacomo COGNOME e NOME COGNOME in difesa di COGNOME COGNOME che hanno chiesto raccoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza emessa del 19 settembre 2024, la Corte di cassazione ha dichiarato inammissibili i ricorsi presentati da COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME Giuseppe avverso la decisione della Corte di appello di Caltanissetta che, per quel che in questa sede rileva, aveva confermato la condanna del Tribunale in ordine al delitto di estorsione aggravata (artt. 629, primo e terzo comma, cod. pen., in
relazione all’art. 628, terzo comma, n. 3, e 416-bis.1 cod. pen.) posta in essere in concorso tra loro, in danno di NOME COGNOME
NOME COGNOME per mezzo del difensore munito di procura speciale, con ricorso straordinario ex art. 625-bis cod. proc. pen., deduce errore di fatto della decisione che lo ha interessato, rappresentando come la Corte di cassazione ha omesso di fornire risposta alla relative alla ritenuta aggravante di cui all’art. 416 bis.1 cod. pen. sull’erroneo presupposto che la questione non fosse stata dedotta in sede di gravame; la sentenza di legittimità, dopo aver ribadito il giudizio di inammissibilità, ha puntualizzato che “la censura riguardante la sussistenza dell’aggravante mafiosa nella forma soggettiva dell’agevolazione mafiosa non risulta sollevata in grado di appello”.
Tale rilievo non trova corrispondenza nel contenuto del motivo di gravame nel quale si rivolgevano critiche, sia alla declinazione oggettiva dell’avvalirnento del metodo mafioso ex art. 416-bis.1 cod. pen., sia a quella propriamente soggettiva del perseguimento della finalità mafiosa della condotta delittuosa di estorsione aggravata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è manifestamente infondato.
Devono richiamarsi gli ormai consolidati principi di diritto espressi da questa Corte in ipotesi di ricorso straordinario, con particolare riferimento alla mancata disamina di censure formulate nel giudizio di legittimità.
2.1. In tal senso depongono tutte le decisioni che statuiscono l’insussistenza di un errore di fatto rilevante a norma dell’art. 625-bis cod. proc. pen., allorché motivo proposto debba considerarsi implicitamente disatteso, ovvero qualora il motivo risulti assorbito dall’esame di altro motivo preso in considerazione, o, ancora, quando l’omesso esame del motivo non risulti decisivo, in quanto da esso non discenda, secondo un rapporto di derivazione causale necessaria, una decisione incontrovertibilmente diversa da quella che sarebbe stata adottata se il motivo fosse stato considerato, incombendo sul ricorrente la dimostrazione che la doglianza non confutata si rivelasse decisiva (Sez. 2, n. 53657 del 17/11/2016, COGNOME, Rv. 268982; Sez. 1, n. 15422 del 10/02/2010, COGNOME, Rv. 247236).
Pertinente si rivela il principio di diritto secondo cui non sussiste errore rilevante a norma dell’art. 625-bis cod. proc. pen., quando viene omesso l’apprezzamento di specifiche deduzioni contenute in un motivo di ricorso per cassazione, ma le stesse sono state implicitamente valutate nella disamina del
ricorso proposto nell’interesse di altro coimputato che aveva proposto analoga doglianza (Sez. 5, n. 26271 del 26/05/2023, COGNOME, Rv. 284697).
2.2. Condizione necessaria, pertanto, affinché la mancata risposta al motivo costituisca errore sindacabile ex art. 625-bis cod. proc. pen. è che lo stesso sia sufficientemente specifico e di tale portata da non potersi ritenere, da un lato, implicitamente superato da altre parti della decisione, magari afferenti ad altri imputati, dall’altro, che la questione dedotta sia sufficientemente articolata da necessitare una presa di posizione da parte della Corte, dovendosi ribadire il principio secondo cui, il ricorso è inammissibile per genericità dei motivi allorché gli stessi non contengono la precisa prospettazione delle ragioni in fatto o in diritto da sottoporre a verifica (tra le numerose sentenze, cfr. Sez. 3, n. 16851 del 02/03/2010, Cecco, Rv. 246980); ovvio pertanto, che l’omessa risposta ad un motivo può integrare un errore di fatto, a condizione che quello formulato possegga l’adeguata specificità ed articolazione per poter essere definito tale.
2.3. Definito in detti termini l’ambito della rilevanza dell’omessa risposta al motivo, il Collegio osserva che la censura proposta in appello attraverso il secondo motivo si esprimeva: «In relazione alla circostanza aggravante del cd. metodo mafioso il Tribunale avrebbe dovuto dimostrare, dalla deposizione resa in udienza della parte offesa dell’utilizzo, in capo all’appellante, di avere ricorso, al di l ogni ragionevole dubbio, alla forza intimidatrice del vincolo associativo e alla condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva. Nella specie, occorreva motivare adeguatamente in merito all’essersi avvalso del metodo mafioso, senza alcuna evocazione della contiguità ad una associazione mafiosa e senza la rappresentazione oggettiva di elementi tali da distinguere le istanze prevaricatrici provenienti da un gruppo criminale mafioso, piuttosto che da singoli soggetti criminali/mafiosi. Con riferimento alla ritenuta sussistenza della circostanza aggravante in esame, desunta dai legami di COGNOME NOME (cfr. pag. 36 sentenza) con l’associazione mafiosa denominata “cosa nostra”, si deve rilevare come risulti erroneo il riferimento alla appartenenza del predetto ritenuto sodale all’associazione mafiosa per desumere la finalità da parte dei predetti soggetti di assecondare e perseguire gli scopi della predetta associazione, senza una prova tra l’associazione dedita il delitto di estorsione in esame e quella mafiosa (cfr. di recente Cass. Sez. 6, 8.2.2022 n. 28802, COGNOME più altri). Infatti, dagli atti, non emerge alcun elemento atto a provare la sussistenza (soggettiva ed oggettiva) della finalizzazione della condotta in esame a favore di una consorteria mafiosa di cui l’odierno appellante non faceva parte e va evidenziato che detta circostanza ha natura soggettiva inerendo ai motivi a delinquere e si comunica al concorrente nel reato che, pur non animato da tale scopo, sia cosa sarebbe consistita consapevole della finalità agevolatrice perseguita dal compartecipe (cfr. Sez. Un.
8545 del 19.12.2019, COGNOME). Per cui occorreva necessario verificare se il compartecipe, non appartenente, avesse agito con l’intento di favorire l’associazione e, in secondo luogo, che ne fosse a conoscenza».
2.4. In disparte la presenza di plurimi refusi e la non agevole comprensione dell’oggetto della censura anche sotto il profilo meramente lessicale, specie là dove (ma non solo) si fa riferimento alla “necessità di verificare la finalità agevolatric perseguita dal compartecipe non appartenente”, il motivo risulta teso a negare la partecipazione al sodalizio mafioso del ricorrente (non oggetto di contestazione nel processo) e la metodica mafiosa utilizzata. Non può certo affermarsi, come sostenuto dal ricorso, che la citazione di due decisioni di questa Corte in uno all’apodittica affermazione secondo cui sarebbe stato necessario che la sentenza indicasse gli elementi su cui aveva fondato la sussistenza dell’aggravante dell’agevolazione mafiosa (a fronte di una contestazione effettuata in via alterativa che prevedeva o l’una o l’altra declinazione, oggettiva e soggettiva, dell’aggravante ex art. 416-bis.1 cod. pen. che non ha formato oggetto di contestazione in alcuna sede di merito), possegga i requisiti minimi per integrare una censura rivolta alla ritenuta declinazione soggettiva della aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen. e, di conseguenza, necessitare di una risposta sul punto.
2.5. Per le considerazioni sopra espresse, pertanto, corretta risulta l’affermazione contenuta in sentenza impugnata che ha escluso che la questione fosse stata mai posta con riferimento alla declinazione soggettiva dell’aggravante nelle forme dell’agevolazione mafiosa.
Il motivo di ricorso si rivela, altresì, generico, là dove la critica si incent sul dato meramente formale riconducibile all’omessa risposta al motivo formulato in sede di gravame, senza però dimostrare che le ragioni non esaminate fossero, invece, decisive (Sez. 1, n. 391 del 09/11/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 285553), dato quanto mai rilevante se solo si osserva che l’aggravante speciale, nella duplice forma dell’avvalimento del metodo mafioso e dell’agevolazione mafioso, risulta contestata in forma alternativa (testualmente: “Con l’aggravante, per tutti, di aver commesso il fatto avvalendosi delle condizioni di cui all’art. 416 bis c.p. ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste dallo stesso articolo”) con conseguente evidente irrilevanza dell’insussistenza di una delle due ipotesi previste dalla citata aggravante.
Deve, inoltre, osservarsi come la decisione poggi su solidi riferimenti alla indeducibilità di tutti i motivi di ricorso in quanto riproduttivi di cens adeguatamente confutate dalla Corte di appello (in tal senso pag. 5, punto 1 del
“considerato in diritto”, allorché si rileva che le stesse questioni, meramente riproduttive, fossero state disattese dalla Corte di merito, pag. 11, inizio punto 5. allorché si ribadiscono i limiti di tutti i motivi di ricorso); né il ricorre confutato l’assunto, visto che proprio il “criptico” secondo motivo di gravame formulato in tema di aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen. risulta praticamente sovrapponibile anche nella parte in cui non si comprende – come sopra enunciato – l’oggetto della censura formulata in sede di legittimità che avrebbe riguardato l’aggravante in questione; l’altro ricorso, che con il terzo motivo censurava la citata aggravante sotto entrambi i profili e, quanto a declinazione soggettiva della agevolazione della associazione mafiosa negava che il denaro richiesto fosse destinato al mantenimento dei detenuti sull’assunto che la somma di denaro avesse quale genetica origine un debito pregresso (ultimo periodo pag. 43 ricorso del ricorso a firma dell’avvocato NOME Taormina), aspetto che attingeva al merito del giudizio reso sul punto dalla Corte di appello che è ben distante dall’ipotizzato significato del motivo di appello in precedenza riprodotto testualmente.
5. Il Collegio nondimeno rileva, conformemente alla giurisprudenza di legittimità sopra richiamata, come la decisione ricorsa, onde confutare analoga questione sottoposta al vaglio di legittimità prospettata dai ricorrenti NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME (pag. 10 sentenza della Seconda Sezione), ha richiamato proprio la parte di sentenza della Corte di appello che aveva fondato la sussistenza della declinazione soggettiva dell’aggravante speciale ex art. 416-bis.1 cod. pen. le argomentazioni rese in ordine alla posizione del COGNOME. La Seconda Sezione ha infatti rilevato: «Con riferimento al motivo n. 5 concernente l’aggravante del metodo mafioso e dell’agevolazione mafiosa, la Corte di appello a pag. 64, nel rinviare a quanto esplicitato a proposito della posizione di altro emissario (COGNOME Orazio pag. 26), ha sottolineato (…). Quanto all’agevolazione mafiosa la sentenza ha richiamato intercettazioni telefoniche dalle quali emergeva chiaramente che le somme estorte erano destinate al sostentamento dei carcerati e delle loro famiglie (cfr. pagg. 64 e 26 della sentenza di appello)».
Emerge palese, pertanto, come la Corte di appello, affrontando la posizione di altri coimputati che avevano rivolto critiche alla parte della decisione afferente alla sussistenza della citata aggravante speciale riconosciuta nelle declinazioni oggettive e soggettive, abbia in concreto fornito risposta allorché, da un lato, ha ritenuto come le ragioni fossero da ricercare nella sentenza della Corte di appello impugnata (che a sua volta richiamava quella del Tribunale) in merito al ruolo di intermediario assegnato al COGNOME, dall’altro, come le intercettazioni dessero
conto delle finalità in favore della compagine mafiosa della riscossione della somma di denaro, quantificata in euro tremila (analisi conforme al principio di diritto statuito da Sez. 3, n. 16851 del 02/03/2010, Cecco, cit.)
Da quanto sopra evidenziato consegue la declaratoria di inammissibilità del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende che si reputa equo determinare nella misura di euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 30/01/2025.