Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 26909 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 26909 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 01/03/2024
SENTENZA
Sul ricorso straordinario proposto da
COGNOME NOME, nato a Reggio Calabria il DATA_NASCITA, avverso la sentenza emessa dalla Corte di cassazione, Prima Sezione Penale, in data 02/03/2023;
visti gli atti;
udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Generale NOME AVV_NOTAIO, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito l’AVV_NOTAIO, difensore della parte civile Città metropolitana di Reggio Calabria, che ha chiesto il rigetto del ricorso ed ha depositato conclusioni scritte e nota spese;
udito l’AVV_NOTAIO, difensore della parte civile Regione Calabria, che ha chiesto il rigetto del ricorso ed ha depositato conclusioni scritte e nota spese; udito l’AVV_NOTAIO, in sostituzione, per delega orale, dell’AVV_NOTAIO, difensore di fiducia di NOME COGNOME, c:he si è riportata ai motivi di ricorso e ne ha chiesto l’accoglimento.
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RITENUTO IN FATTO
1.Con la sentenza impugnata, per quanto di rilevanza, la Prima Sezione Penale di questa Corte rigettava il ricorso di NOME COGNOME avverso la sentenza della Corte di Appello di Reggio Calabria del 13/10/2022, con cui era stata impugnata la condanna del predetto per il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen., a lui contestato al capo 1-ter della rubrica.
2. NOME COGNOME ricorre, a mezzo del difensore di fiducia AVV_NOTAIO, deducendo l’errore percettivo, in quanto – benché la sentenza di legittimità abbia dato atto dell’assoluzione dell’imputato nel 1997 dal reato associativo, per mancata emersione dei riscontri esterni alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia NOME COGNOME, in realtà al COGNOME era stata contestata la fattispecie associativa dagli inizi degli anni ’80, con condotta perdurante, quindi fino al 2009, imputazione da cui era stato assolto con sentenza del 18/07/2008, irrevocabile in data 08/05/2009, e non con sentenza emessa nel 1997; tale errore è decisivo, in quanto il giudizio di estraneità alla consorteria, come detto, copre un arco temporale fino all’anno 2009, mentre le dichiarazioni dello COGNOME riguardavano fatti posti in essere in data anteriore al suo arresto, verificatosi nel gennaio 2000, per cui dei fatti successivi egli nulla poteva sapere, sicché appare del tutto erroneo ritenere rilevanti i riscontri alla chiamata di reità dello COGNOME; ci riguarda, in particolare, le dichiarazioni di NOME, che riferisce fatti della fin degli anni ’90, precedenti al procedimento conclusosi con l’assoluzione e, comunque, al difuori della perimetrazione temporale dei fatti valutati dalla sentenza impugnata; al contrario, la RAGIONE_SOCIALEzione non si è accorta che non vi è corrispondenza tra quanto indicato dai collaboratori e la contestazione; l’aver collocato l’assoluzione nel 1997, quindi, ha avuto una diretta incidenza sul contenuto del provvedimento conclusivo dei giudizio di legittimità, posto che si è ritenuto come le propalazioni del NOME costituissero indice della partecipazione associativa del COGNOME in epoca posteriore al 1997, laddove la sentenza di assoluzione è stata emessa nel 2009 e le dichiarazioni del citato collaboratore non riguardano periodi successivi al 2014, anno in cui è collocato l’inizio della contestazione associativa; tale errore sui tempi influisce anche sul valore del riscontro costituito dalle intercettazioni, che in realtà sono solo tre, dell’agosto 2014, e non possono riscontrare propalazioni di collaboratori che riferiscono vicende pregresse. Corte di RAGIONE_SOCIALEzione – copia non ufficiale
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso di NOME COGNOME è inammissibile.
Osserva il Collegio che la sentenza della Sezione Prima di questa Corte ha rilevato che il ricorrente era stato chiamato a rispondere del delitto associativo di cui all’art.
416-bis cod. pen., con il ruolo di promotore ed organizzatore, della locale di Orti, federata alla cosca RAGIONE_SOCIALE, alleata alla cosca NOME COGNOME, dal 2014 con condotta perdurante; la Corte di merito aveva ritenuto decisive le intercettazioni presso il casale in INDIRIZZO, essendosi innestato su tale quadro probatorio le dichiarazioni del collaboratore di giustizia NOME COGNOME.
La difesa del ricorrente aveva contestato la credibilità dei collaboratori di giustizia, NOME COGNOME e NOME COGNOME, e la decisività del contenuto intercettivo, anche in relazione al ruolo ascritto al COGNOME, il quale era stato assolto da un’imputazione associativa contestata con condotta perdurante sino al 2009.
Nella sentenza oggetto del presente ricorso, quindi, si dà atto espressamente, alla pag. 7, che la precedente assoluzione del ricorrente riguardava una condotta perdurante fino al 2009.
Nel rigettare il ricorso del COGNOME, quindi, la Prima Sezione di questa Corte ha valutato come la ricognizione del compendio intercettivo da parte della Corte di merito fosse stata attenta ed approfondita, dimostrando in maniera incontestabile il ruolo ascritto al COGNOME, e ritenendo che la contestazione del contenuto dei dialoghi captati, da parte della difesa, costituisse doglianza di mero fatto.
Passando, poi, all’analisi RAGIONE_SOCIALE dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, l sentenza della Sezione Prima ha ritenuto che la valutazione di credibilità ed attendibilità degli stessi, complessivamente considerati, operata dalla Corte di merito, fosse immune da censure, specificando che l’assoluzione del COGNOME dal reato associativo “decretata nel 1997, non fosse dovuta all’inattendibilità dei collaboratori medesimi (di NOME COGNOME, nello specifico), ma alla mancata emersione, in allora, dei riscontri esterni ora viceversa risultanti.”
Tali passaggi motivazionali, complessivamente considerati, rendono evidente come l’indicazione errata dell’epoca della sentenza di assoluzione – erroneamente fatta risalire al 1997 -, costituisca una mera svista, posto che, alla pag. 7 della sentenza è stato dato atto dell’assoluzione del COGNOME dalla condotta associativa a lui ascritta fino all’anno 2009.
Altrettanto inequivocabilmente, la motivazione della sentenza di legittimità rende evidente come già le intercettazioni fossero sufficienti a fondare il compendio probatorio in riferimento al ruolo ascritto a NOME COGNOME, circostanza con cui il ricorso straordinario non si confronta affatto. Ed infatti, alla pag. 13, la sentenza di legittimità afferma che il ruolo verticistico del COGNOME si ricava “… n implausibilmente, dalle intercettazioni e dalle accuse dei collaboratori di giustizia, così come impeccabilmente valutate, anche nella loro reciproca integrazione, dalla sentenza impugnata.; il che rende evidente come – nella misura in cui la motivazione si incentra su una “reciproca integrazione” – la Prima Sezione abbia
considerato l’autonoma valenza probatoria del compendio intercettivo, peraltro non seriamente contestato dalla difesa.
Né dalla motivazione della Sezione Prima emerge alcuna decisività RAGIONE_SOCIALE dichiarazioni del collaboratore di giustizia NOME COGNOME, tale da poter ritenere decisivo il prospettato errore; ciò in quanto ci si limita ad affermare che le dichiarazioni del COGNOME avrebbero ad oggetto vicende risalenti alla fine degli anni ’90, precedenti, quindi, rispetto all’epoca coperta dal giudicato assolutorio, così come le dichiarazioni di NOME COGNOME avrebbero ad oggetto fatti precedenti l’arresto del medesimo, collocato nel dicembre del 2000, senza dimostrare in alcun modo, però, la decisività di tali dichiarazioni rispetto al compendio intercettivo; in tal senso, infatti, basta rilevare come proprio con il ricorso per cassazione avverso la sentenza emessa dalla Corte di Appello di Reggio Calabria il 13/10/2021, la difesa avesse citato un passaggio motivazione della detta prenuncia di merito, in cui la Corte di merito aveva qualificato come “prova compiuta dell’appartenenza del COGNOME alla RAGIONE_SOCIALEndrangheta nel ruolo accreditato dei capo di imputazione….” le conversazioni intercettate nel casolare di contrada Scifà.
Posto che, come noto, “L’errore materiale e l’errore di fatto, indicati dall’art. 625bis cod. proc. pen. come motivi di possibile ricorso straordinario avverso provvedimenti della corte di cassazione, consistono, rispettivamente, il primo nella mancata rispondenza tra la volontà, correttamente formatasi, e la sua estrinsecazione grafica; il secondo in una svista o in un equi ,voco incidenti sugli atti interni al giudizio di legittimità, il cui contenuto viene percepito in mod difforme da quello effettivo, sicché rimangono del tutto estranei all’area dell’errore di fatto – e sono, quindi, inoppugnabili – gli errori di valutazione e di giudizio dovut ad una non corretta interpretazione degli atti del processo di cassazione, da assimilare agli errori di diritto conseguenti all’inesatta ricostruzione del significat RAGIONE_SOCIALE norme sostanziali e processuali” (Sez. 5, n. 29240 del 01/06/2018, Barbato, Rv. 273193) e che “L’errore di fatto verificatosi nel giudizio di legittimità e oggetto del rimedio previsto dall’art. 625-bis cod, proc. pen. consiste in un errore percettivo causato da una svista o da un equivoco in cui la Corte di cassazione sia incorsa nella lettura degli atti interni al giudizio stesso e connotato dall’influenza esercitata sul processo formativo della volontà, viziato dall’inesatta percezione RAGIONE_SOCIALE risultanze processuali che abbia condotto a una decisione diversa da quella che sarebbe stata adottata senza di esso.” (Sez. U, n. 16103 del 27/03/2002, Basile P. 221280), deve osservarsi che, nel caso in esame, non viene neanche illustrato, in ricorso, il contenuto RAGIONE_SOCIALE dichiarazioni del COGNOME e dello COGNOME, né, ancor prima, si dimostra in maniera decisiva la sussistenza, nel caso in esame, del denunciato errore, posto che, come visto, la sentenza della Prima Sezione Penale aveva correttamente perimetrato all’anno 2009 il giudicato assolutorio.
Peraltro, le argomentazioni poste a fondamento del ricorso tendono, all’evidenza, ad una rivisitazione del contenuto RAGIONE_SOCIALE propalazioni dei collaboratori di giustizia, contestando che le stesse possano essere riscontrate dalle intercettazioni, senza considerare come, al contrario, dalla sentenza di legittimità emerge non solo l’assenza di ogni errore percettivo, ma, ancor prima, la sufficienza autonoma, dal punto di vista probatorio, del compendio intercettivo.
Ne discende, pertanto, l’inammissibilità del ricorso e la conseguente condanna, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., del ricorrente, al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE va, inoltre, condannato alla rifusione RAGIONE_SOCIALE spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili, liquidate, per ciascuna di esse, in complessivi euro tremila, oltre accessori di legge.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE
Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione RAGIONE_SOCIALE spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili che liquida, per ciascuna di esse, in complessivi euro tremila, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 01/03/2024
Il AVV_NOTAIO estensore
Il Presidente