Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 34164 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3   Num. 34164  Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/09/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME, nato a COGNOME il DATA_NASCITA avverso la sentenza del 06/03/2025 della Corte di cassazione visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO  NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso per il rigetto del ricorso; udito,  per  il  ricorrente, l’ AVV_NOTAIO,  che  ha chiesto  l’accoglimento  del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza n. 15221 del 6 marzo 2025, depositata il 17 aprile 2025, la Corte  di  cassazione,  Sezione  Quarta  penale,  per  quanto  di  interesse  in  questa sede, ha rigettato il ricorso di NOME COGNOME avverso la sentenza emessa
dalla  Corte  d’appello  di  Catanzaro  in  data  5  aprile  2024,  la  quale,  in  parziale riforma della decisione di primo grado, aveva confermato la dichiarazione di penale responsabilità del medesimo imputato con riferimento ai diversi episodi di cessione di sostanze stupefacenti del tipo cocaina al medesimo ascritti, e qualificati a norma dell’art. 73, comma 1, d.P.R. n. 309 del 1990, assolvendo inoltre lo stesso dal reato di partecipazione ad associazione finalizzata al narcotraffico.
In  particolare,  i  motivi  di  ricorso  di  NOME  COGNOME,  esaminati  dalla sentenza impugnata, erano tre e contestavano: il primo, l’affermazione di penale responsabilità  per  i  reati  di  cessione  di  sostanze  stupefacenti;  il  secondo,  la qualificazione dei fatti a norma dell’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990; il terzo, il diniego delle circostanze attenuanti generiche.
 Ha  presentato  ricorso  p er  cassazione  avverso  l’ordinanza  indicata  in epigrafe  NOME  COGNOME ,  con  atto  sottoscritto  dall’AVV_NOTAIO, articolando  un  unico  motivo,  con  il  quale  si  denuncia  errore  di  fatto,  a  norma dell’art.  6 25bis cod.  proc.  pen.,  avuto  riguardo  al  rigetto  della  richiesta  di riqualificazione dei fatti a norma dell’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990 .
Si deduce che la sentenza della Corte di cassazione, nel rigettare il motivo concernente la qualificazione giuridica dei fatti, è incorsa in un evidente errore di fatto laddove ha valorizzato «la gravità delle condotte, in ragione dei rilevantissimi quantitativi di sostanza movimentati dall’imputato e dal ruolo rivestito sul mercato degli stupefacenti di COGNOME», in quanto si tratta di circostanze la cui sussistenza è incontrovertibilmente esclusa dalla semplice lettura degli atti.
Si rappresenta, innanzitutto, con riguardo al profilo quantitativo, che, secondo quanto emerge dal testo delle conversazioni intercettate, le cessioni avevano ad oggetto modiche quantità di sostanze stupefacenti, pari a 0,3 grammi circa, ed erano effettuate per guadagni modesti, pari a 40/50 euro, e che questo dato è desumibile, ad esempio, dal dialogo di cui al n. 132 del 26 giugno 2016 (da questa conversazione si evince una cessione avente ad oggetto 0,5 grammi di cocaina al prezzo di 45,00 euro). Si aggiunge che l’errore di fatto è confermato: a) dal ristretto arco temporale della condotta, compreso tra il 23 giugno e il 12 luglio 2016, quale indicato nel capo di imputazione allegato al ricorso; b) dalla mancata predisposizione di mezzi o strumenti a supporto della condotta illecita; c) dalle assoluzioni pronunciate in appello tanto con riguardo ai reati fine, quanto in ordine al reato associativo.
Si rileva, in secondo luogo, che proprio l’assoluzione dal reato associativo, rimarca  l’errore percettivo  della  sentenza  impugnata  in  ordine  al  ruolo  svolto dall’attuale ricorrente nel mercato degli stupefacenti.
Si osserva, ancora, che l’errore percettivo della sentenza impugnata trova un puntuale riscontro a pag. 44 della stessa, laddove si richiama, a sostegno della capacità dell’attuale ricorrente di fornire cospicui quantitativi di sostanza stupefacente, una conversazione, intercorsa il 26 giugno 2016, e contraddistinta dal progr. n. 131, nella quale, come testualmente trascritto, l’acquirente la droga diceva a COGNOME: «30 euro me li dà …».
 Con  memoria  depositata  il  25  giugno  2025  nell’interesse  dell’attuale ricorrente,  l’AVV_NOTAIO  ribadisce  che  l’errore  percettivo  è  documentato dalla lettura tanto del capo di imputazione, il quale contesta cessioni di quantitativi imprecisati di sostanza stupefacente del tipo cocaina, quanto delle conversazioni intercettate  del  26  giugno  2016,  progr.  n.  131  e  n.  132,  entrambe  relative  a cessioni per quantitativi pari a 0,5 grammi e per guadagni non superiori a 50 euro.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile per le ragioni di seguito precisate.
Le censure formulate nel ricorso denunciano che la sentenza impugnata sarebbe incorsa in errore di fatto, laddove ha escluso la riqualificazione dei reati ascritti all’attuale ricorrente a norma dell’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990, perché ha posto a base di tale conclusione «la gravità delle condotte, in ragione dei rilevantissimi quantitativi di sostanza movimentati dall’imputato e dal ruolo rivestito sul mercato degli stupefacenti di COGNOME», sebbene le conversazioni intercettate attestino proprio la modestissima entità ponderale della droga ceduta, e dagli atti emergano sia la brevità del periodo in cui sono avvenuti i fatti, sia l’assenza di mezzi a supporto delle attività illecite, e della partecipazione del medesimo a associazioni criminali.
2.1. Ai fini dell’esame delle censure, appare utile premettere un’indicazione dei principi pertinenti affermati dalla giurisprudenza di legittimità.
Anzitutto, costituiscono principi affermati sin dall’introduzione dell’istituto di cui all’art. 625bis cod. proc. pen. quelli secondo cui: a) qualora la causa dell’errore non sia identificabile esclusivamente in una fuorviata rappresentazione percettiva e la decisione abbia comunque contenuto valutativo, non è configurabile un errore di fatto, bensì di giudizio; b) sono estranei all’ambito di applicazione dell’istituto gli errori percettivi in cui sia incorso il giudice di merito, dovendosi questi ultimi far valere – anche se risoltisi in travisamento del fatto – soltanto nelle forme e nei
limiti  delle  impugnazioni  ordinarie  (cfr.,  per  tutte,  Sez.  U,  n.  16103  del 27/03/2002, Basile, Rv. 221280 -01).
E, di conseguenza, è costante l’ indirizzo in forza del quale, in tema di ricorso straordinario, qualora la causa dell’errore non sia identificabile esclusivamente in una fuorviata rappresentazione percettiva e la decisione abbia comunque contenuto valutativo, non è configurabile un errore di fatto, bensì di giudizio, come tale escluso dall’orizzonte del rimedio previsto dall’art. 625bis cod. proc. pen. (cfr. tra le tantissime, Sez. U, n. 18651 del 26/03/2015, Moroni, Rv. 263686 -01, e Sez. U, n. 37505 del 14/07/2011, Corsini, Rv. 250527 -01).
In questa prospettiva, più volte si è anche precisato che il ricorso straordinario per errore materiale o di fatto avverso i provvedimenti della Corte di cassazione non può avere ad oggetto il travisamento del fatto o della prova, poiché l’istituto è funzionale a rimuovere i vizi di percezione delle pronunce di legittimità, e non anche quelli del ragionamento (vds., tra le altre, Sez. 3, n. 11172 del 15/12/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 286048 -01, e Sez. 2, n. 29450 del 08/05/2018, COGNOME, Rv. 273060 -01).
2.2. La sentenza impugnata nega la riqualificazione dei fatti addebitati al ricorrente, NOME COGNOME, ai sensi dell’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990, sottolineando che la Corte d’appello «ha posto in rilievo la gravità delle condotte, in ragione dei rilevantissimi quantitativi di sostanza movimentati dall’imputato e del ruolo rivestito sul mercato degli stupefacenti di COGNOME, circostanza comprovata dal fatto che egli era punto di riferimento costante di COGNOME NOME e COGNOME NOME per i loro rifornimenti».
A base di questa affermazione la sentenza impugnata fornisce più analitiche indicazioni laddove illustra le ragioni per le quali respinge sia il ricorso di COGNOME nella parte relativa alla affermazione della sua responsabilità per il reato di cessione continuata di cocaina (§ 13.1, pagg. 43-45), sia il ricorso del AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO presso la Corte d’appello di Catanzaro avverso l’assoluzione di COGNOME dal reato di partecipazione ad associazione finalizzata al narcotraffico (§ 114, pagg. 46-47).
La Corte di cassazione, infatti, innanzitutto evidenzia che NOME COGNOME è stato ritenuto penalmente responsabile in ordine a «numerosissimi episodi di cessione». Rappresenta poi che il medesimo ricorrente era «tra gli stabili fornitori di COGNOME», il quale «compulsa una serie di fornitori, con l’unico intento di ottenere quantitativi di cocaina da smerciare». Segnala inoltre che COGNOME «era in grado di assicurare costantemente la sostanza stupefacente richiesta dall’acquirente », e richiama, a titolo esemplificativo, le cessioni del 16 giugno 2016, quella del 26 giugno 2016 e quella del 3 luglio 2016. Precisa: a) con riguardo alla cessione del 26 giugno, che, secondo quanto si evince dalla
conversazione intercettata progr. n. 131, «COGNOME NOME, alla ricerca frenetica di stupefacente, avesse fatto visita a tutti i fornitori della zona (COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME), fino ad approdare nuovamente a casa di COGNOME, raggiunto il quale, esordiva dicendo “…30 euro me li dà”»; b) con riguardo alla cessione del 3 luglio, che il predetto NOME COGNOME, recandosi presso l’esercizio commerciale di Tom maselli, aveva ottenuto «cocaina di ottima qualità (circostanza desumibile dai successivi commenti registrati nella vettura, in cui COGNOME NOME afferma: “buona… è buona!”)».
La sentenza impugnata, quindi, afferma in modo esplicito la correttezza dell ‘accertamento di responsabilità di NOME COGNOME per le ulteriori cessioni di cocaina in ordine alle quali è stata pronunciata condanna dai Giudici di merito. Questo, infatti, risulta univoca mente dal periodo tra la fine di pag. 44 e l’inizio di pag. 45: «Le ulteriori doglianze collegate alla interpretazione delle numerose conversazioni richiamate nel ricorso – paragrafi di cui alle lettere da d) a t) del primo motivo -sollecitano una non consentita rilettura delle emergenze probatorie: le singole cessioni hanno formato oggetto di puntuale analisi da parte dei giudici di merito, che hanno acclarato, attraverso i pur brevi colloqui, la consumazione delle singole fattispecie». Si può aggiungere che i paragrafi di cui alle lettere da d) a t) del primo motivo del ricorso ordinario per cassazione proposto da COGNOME, ed allegato al presente ricorso straordinario, fanno riferimento a conversazioni relative ad ulteriori cessioni, conversazioni effettuate il 16 giugno 2016, il 22 giugno 2016, il 23 giugno 2016, il 25 giugno 2016, il 27 giugno 2016, il 28 giugno 2016, il 29 e 30 giugno 2016, il 2 luglio 2016, il 4 luglio 2016, il 5 luglio 2016, il 7 luglio 2016, l’8 luglio 2016, il 25 luglio 2016 , il 5 agosto 2016, l’8 agosto 2016 e l’11 agosto 2016 .
La decisione della Corte di cassazione, ancora, nel rigettare il ricorso del AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO presso la Corte d’appello di Catanzaro avverso l’assoluzione di COGNOME dal reato di partecipazione ad associazione finalizzata al narcotraffico, osserva che la sentenza del Giudice di secondo grado ha correttamente spiegato perché detto imputato, pur responsabile di «plurime cessioni di sostanza stupefacente in favore di COGNOME NOME e COGNOME NOME», debba ritenersi aver svolto un «ruolo di fornitore teso esclusivamente ad alimentare il traffico gestito da NOME NOME e dai suoi complici nel loro esclusivo interesse».
2.3. In considerazione dei principi giuridici applicabili e dei dati processuali a disposizione del Collegio, deve escludersi che la sentenza impugnata sia incorsa in errore di fatto laddove  individua gli  elementi  su cui fonda  il diniego di riqualificazione, nella fattispecie di cui all’ art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990, dei reati ritenuti accertati.
In primo luogo, il ricorso straordinario richiama solo fatti datati al 26 giugno 2016 (le conversazioni n. 131 e n. 132 sono entrambe del 26 giugno 2016), sebbene la sentenza impugnata fondi la propria decisione su «numerosissimi episodi di cessione» avvenuti in un arco di tempo di circa due mesi, e richiami analiticamente anche altre conversazioni. In secondo luogo, la conversazione n. 132 del 26 giugno 2016 non è in alcun modo richiamata nella sentenza impugnata, mentre la conversazione n. 131 del 26 giugno 2016 evoca sì la somma di «30 euro», ma con riguardo ad una fornitura di droga effettuata a NOME COGNOME da persona diversa dall’attuale ricorrente. In terzo luogo, la deduzione difensiva, secondo cui le cessioni effettuate dall’attuale ricorrente sa rebbero avvenute solo tra il 23 giugno e il 12 luglio 2016, non è in alcun modo documentata: l’imputazione allegata al ricorso straordinario ha ad oggetto ben diciannove cessioni realizzate dal 22 giugno all’11 agosto 2016, né è stato prodotto alcun elemento da cui inferi re l’assoluzione da uno o più di questi episodi (anzi, il ricorso per cassazione avverso la sentenza di appello, come si è rilevato nel § 2.2, contesta specificamente il significato attribuito dalla Corte distrettuale anche a conversazioni effettuate il 16 giugno 2016, il 22 giugno 2016, 25 luglio 2016, il 5 agosto 2016, l’8 agosto 2016 e l’11 agosto 2016). In quarto luogo, l’assoluzione dal reato associativo non risulta disposta dalla Corte d’appello per la modestia del ruolo svolto dall’at tuale ricorrente nel mercato degli stupefacenti, bensì perché questi, pur responsabile di «plurime cessioni di sostanza stupefacente in favore di COGNOME NOME NOME COGNOME NOME», avrebbe svolto un «ruolo di fornitore teso esclusivamente ad alimentare il traffico gestito da COGNOME NOME NOME dai suoi complici nel loro esclusivo interesse».
In sintesi, quindi, il ricorso straordinario in esame non denuncia un errore di fatto, ma, un errore di valutazione della Corte di cassazione, per di più sulla base di  un  apprezzamento  delle  risultanze  istruttorie  parziale  e  diverso  da  quello effettuato dai Giudici di merito; quindi, propone una censura esclusa dall’orizzonte del rimedio previsto dall’art. 625bis cod. proc. pen.
 Alla  dichiarazione  di  inammissibilità  del  ricorso  segue  la  condanna  del ricorrente  al  pagamento  delle  spese  processuali,  al  versamento  a  favore  della cassa  delle  ammende,  ravvisandosi  profili  di  colpa  nella  determinazione  della causa di inammissibilità, della somma di euro tremila, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese  processuali  e  della  somma  di  euro  tremila  in  favore  della  cassa  delle ammende.
Così deciso il 10/09/2025.
Il Consigliere estensore                            Il Presidente NOME COGNOME                                   NOME COGNOME