Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 46318 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 46318 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 31/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a MONTEFIASCONE il 24/12/1960
avverso la sentenza del 28/09/2023 della CORTE DI CASSAZIONE di ROMA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udite le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso;
udite le conclusioni dell’avv. NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso;
udite le conclusioni dell’avv. NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso, depositando conclusioni e nota spese;
udite le conclusioni dell’avv. NOME COGNOME che si è riportato ai motivi di ricorso ed ha insistito per l’accoglimento dello stesso, depositando memoria
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 08/02/2017, il Tribunale di Firenze ha ritenuto NOME COGNOME colpevole – in concorso con altri e nella veste di amministratore delegato della RAGIONE_SOCIALE nonché quale Presidente del consiglio di amministrazione della ISI – dei delitti di truffa aggravata finalizzata al conseguimento di erogazioni pubbliche (artt. 110, 640-bis, 61 n. 7 cod. pen.) e di bancarotta fraudolenta patrimoniale (artt. 110 cod. pen., 216, 219, 223 r.d. 16 marzo 1842, n. 267) e per l’effetto – unificate le violazioni sotto il vincolo della continuazione – lo condannato alla pena di anni otto di reclusione, nonché al pagamento delle spese processuali e al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civil applicandogli, altresì, le pene accessorie di cui all’art. 216, ultimo comma legge fall., l’interdizione perpetua dai pubblici uffici ex art. 29 cod. pen. e l’interdizi legale durante il tempo di espiazione della pena, ai sensi dell’art. 32 cod. pen.
1.1. La Corte di appello di Firenze, con sentenza del 12/11/2019, ha dichiarato estinto per intervenuta prescrizione il reato di truffa, confermando invece la penale responsabilità del Cevolo, quanto al delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale; per l’effetto, la Corte territoriale ha rideterminato trattamento sanzionatorio (fissato ad anni sette di reclusione) e, consequenzialmente, ha proceduto alla rimodulazione della pena accessoria ex art. 216 legge fati., stabilendola nella stessa misura della pena principale e, infine, ha diversamente determinato le già assunte statuizioni civili.
1.2. Con sentenza del 28/09/2023, la Quinta Sezione Penale di questa Corte ha rigettato il ricorso proposto da NOME COGNOME avverso la sopra detta sentenza della Corte di appello di Firenze.
Propone ricorso straordinario ex art. 625-bis cod. proc. pen. NOME COGNOME a mezzo dell’avv. NOME COGNOME deducendo vizio della pronuncia della Corte di cassazione del 28/09/2023, quanto alla ricostruzione del fatto storico e sotto il profilo delle norme applicate, nella parte in cui ha attribuito responsabilità penale a NOME COGNOME. Si deduce errore sul fatto, anche legato al travisamento della prova, tanto che l’attività di giudizio è stata idonea a rifletters su quest’ultima, intaccando la decisione finale; vi è errore di natura percettiva in ipotesi difensiva – a causa di una svista o un equivoco. Si segnalano, in particolare, i seguenti errori:
NOME COGNOME non ha svolto ruoli gestori in RAGIONE_SOCIALE (poi divenuta RAGIONE_SOCIALE), né di diritto, né di fatto (egli viene anche indicato come extraneus, ma l’errore di fondo persiste, nel senso che è stato sempre considerato quale amministratore di fatto e di diritto);
NOME COGNOME non ha mai fondato RAGIONE_SOCIALE
è errato affermare che NOME COGNOME sia stato il manipolatore dei fatti, relativamente al rapporto con ISI (è stata prodotta prova documentale, in realtà, circa l’esistenza di un contratto tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE);
è sbagliato ritenere che l’attività industriale non sia stata mai avviata (l’assunto è smentito, sotto il profilo oggettivo, dal fatto che l’azienda ha prodotto e venduto pannelli per decine di milioni di euro).
Quanto al capo A) della rubrica, RAGIONE_SOCIALE, di cui era amministratore unico NOME COGNOME sin dalla costituzione, nacque nell’aprile 2008, allo scopo di installare delle linee di produzione di pannelli, all’interno dello stabilimento d RAGIONE_SOCIALE a San Liberato, in provincia di Terni; l’idea di Scandicci è successiva, risalendo essa al giugno o luglio 2008. COGNOME ha gestito integralmente i rapporti con RAGIONE_SOCIALE e non risultano comunicazioni di alcun genere, con Cevolo, come più volte evidenziato nel corso dell’istruttoria dibattimentale. NOME COGNOME è intervenuto alla sottoscrizione del piano industriale concordato con tutti i soggetti coinvolti, nonché alla sottoscrizione del contratto tra RAGIONE_SOCIALE ed RAGIONE_SOCIALE, società fiorentina autorizzata dalla Regione a tenere i corsi di formazione; il corso è stato tenuto da docenti qualificati, all’interno dello stabilimento di Scandicci. NOME COGNOME non è mai intervenuto nella gestione dell’azienda, né ha mai ricevuto comunicazioni formali.
Risulta omessa ogni verifica in ordine alla sussistenza del nesso causale, tra i pretesi artifizi e raggiri e l’atto che avrebbe causato il danno ingiusto, con correlativo profitto illecito. La società nella quale operava RAGIONE_SOCIALE svolgeva la funzione di mero soggetto finanziatore dell’operazione, che sarebbe stata poi gestita dalla società fallita RAGIONE_SOCIALE; in quest’ultima, il ricorrente non aveva alcun ruolo decisionale. Secondo l’assunto accusatorio, il piano industriale proposto dalla società RAGIONE_SOCIALE e accettato dalla RAGIONE_SOCIALE, poi materialmente sottoscritto da RAGIONE_SOCIALE (a sua volta trasformata, in seguito, in ISI) sarebbe stato solo un artificio, volto a indurre in errore Regione Toscana, al fine di ottenere l’elargizione di finanziamenti pubblici. Ma RAGIONE_SOCIALE -e, per essa, COGNOME – doveva assumere solo il ruolo di garante; tutti gli obblighi da lui assunti sono stati onorati, tanto che RAGIONE_SOCIALE ha restituito le garanzie, per cui non è chiaro quale sia stato il contributo causalmente efficiente di Cevolo, rispetto alla integrazione delle truffe contestate.
In maniera erronea, poi, si è ritenuto di poter ricavare la inaffidabilità finanziaria, in via primaria, dalla presunta incapacità di RAGIONE_SOCIALE di sostenere il progetto. Trattasi di circostanza non provata, anzi smentita dai testi indotti dalla difesa, quali COGNOMEil quale ha spiegato come la società della sua famiglia avesse una lunga esperienza, nello specifico settore e credesse nel
progetto) e COGNOME Quest’ultimo ha svolto una valutazione critica del piano industriale presentato da ISI, oltre che una analisi del valore dell’azienda ed ha riferito di aver riscontrato una produzione in attivo, tanto che si progettava un aumento della linea di produzione, onde far fronte agli ordini, che erano al tempo superiori alle capacità produttive dell’impresa.
Inoltre, non solo RAGIONE_SOCIALE ha investito – per mezzo di RAGIONE_SOCIALE – milioni di euro nella fase genetica del progetto, ma nel luglio 2010, quando la società era già in uno stato di decozione, ha disposto il versamento di euro 400.000,00 nelle casse di ISI, in conto aumento capitale, al fine di consentire alla società di pagare le tasse che erano in scadenza. Quanto alla operazione “RAGIONE_SOCIALE“, essa era anzitutto realmente sviluppata da RAGIONE_SOCIALE; era inoltre nata parecchio tempo addietro, ossia ben prima che ISI venisse costituita. Sul punto, è fondamentale la testimonianza resa dal teste NOME COGNOME membro di una famiglia specializzata nel mondo dell’elettrotecnica e ideatrice del progetto RAGIONE_SOCIALE, nonché, all’epoca dei fatti, dipendente addetto al settore commerciale di RAGIONE_SOCIALE.
Con riferimento ai reati fallimentari, l’errore contenuto nella sentenza oggetto del presente ricorso straordinario si annida, evidentemente, nel non aver considerato come non sia stata prodotta alcuna prova – né documentale, né dichiarativa – atta a dimostrare il coinvolgimento di Cevolo, con riferimento ai versamenti effettuati da RAGIONE_SOCIALE a RAGIONE_SOCIALE Anche ad ammettere che distrazione di attivo vi sia stata, essa è addebitabile al solo amministratore unico della società, ossia a Fojanesi. Lo stesso NOME COGNOME all’epoca dei fatti responsabile dell’unità di crisi di RAGIONE_SOCIALE, per la ristrutturazione del settore del freddo in Italia, nonché soggetto che si è occupato direttamente della chiusura dello stabilimento di Scandicci e, quindi, della trattativa con ISI – ha dichiarato di aver gestito le trattative con COGNOME e di aver incontrato Cevolo solo due volte e in maniera marginale.
Sgombrato il campo dalla duplice suggestione (coincidente tanto con l’esistenza di un piano industriale destinato sin dal principio a fallire, quanto con la prestazione di una garanzia priva di alcun valore economico) ed evidenziato il contributo dato da COGNOME, occorre verificare se sia addebitabile al ricorrente una conoscenza e condivisione di intenti con COGNOME. La prova della buona fede di COGNOME, però, sta proprio nel fatto che egli – se fosse stato complice di COGNOME e ne avesse condiviso la volontà truffaldina – non avrebbe mai investito ulteriori 400.000,00 euro, a pochi mesi dalla dichiarazione di fallimento.
Nonostante gli elementi di prova acquisiti al processo, è stata attribuita al ricorrente la realizzazione del reato di truffa, in ragione del ruolo ricoperto in RAGIONE_SOCIALE e in RAGIONE_SOCIALE fino al 22/12/2008, nonché in forza delle
cariche ricoperte all’interno delle altre società coinvolte nell’operazione. Risulta omessa la valutazione delle deposizioni dei testi, incorrendo così in un errore di fatto riconoscibile e rimediabile nella presente sede processuale.
La difesa di NOME COGNOME ha depositato memoria, a mezzo della quale ha insistito nelle argomentazioni già proposte con l’atto di impugnazione. In particolare, è stato evidenziato che:
COGNOME non ha svolto ruoli gestori in RAGIONE_SOCIALE (poi divenuta RAGIONE_SOCIALE, né di diritto, né di fatto e non ha concorso nel reato, nella veste di extraneus; tale confusione, peraltro, ricorre anche in relazione alla società RAGIONE_SOCIALE
quanto al rapporto tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE esiste un contratto tra la prima e RAGIONE_SOCIALE a mezzo del quale – a fronte di garanzie finanziarie “a prima richiesta” – la prima si impegnava a pagare all’altra la somma di euro 2.2 milioni più Iva;
COGNOME non è membro del Consiglio di amministrazione di RAGIONE_SOCIALE e nemmeno ne é proprietario;
è smentito dai fatti che l’attività non sia stata mai avviata;
quanto ai rapporti tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE Cevolo era il rappresentante italiano dì RAGIONE_SOCIALE (inglese) e di RAGIONE_SOCIALE (inglese), società molto attive in Italia sin dal 2003.
In definitiva:
il contratto tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE aveva una legittima ragione d’essere, sotto l’aspetto sia formale, sia sostanziale.
era legittimo che RAGIONE_SOCIALE desse istruzioni di pagare altri soggetti per suo conto, tra questi includendo RAGIONE_SOCIALE;
COGNOME non era amministratore di diritto, né di fatto, né poteva essere accusato in solido con COGNOME
Il Procuratore generale ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
Come già sintetizzato in parte narrativa, COGNOME è stato condannato quale amministratore delegato della RAGIONE_SOCIALE e Presidente del Consiglio di amministrazione della ISI – per una complessa bancarotta fraudolenta patrimoniale.
Il fatto storico e oggettivo risulta testualmente così ricostruito, nella sentenza ora oggetto di ricorso straordinario: “La complessa vicenda all’interno della quale devono essere inseriti i fatti oggetto di questo giudizio attiene alla dismissione, da parte della società RAGIONE_SOCIALE, dell’unità produttiva sita in Scandicci, al piano industriale proposto dalla società RAGIONE_SOCIALE, accettato dalla RAGIONE_SOCIALE e poi materialmente sottoscritto dalla subentrata RAGIONE_SOCIALE (successivamente trasformata in RAGIONE_SOCIALE e al complesso fallimento di quest’ultima. Sono originati due capi di imputazione, qualificati, il primo (capo A, dichiarato prescritto in appello) in termini di truffa aggravata per i conseguimento di erogazioni pubbliche (artt. 110, 640-bis, 61 n. 7 cod. pen.) e, il secondo, in termini di bancarotta fraudolenta patrimoniale (artt. 110 cod. pen., 216, 219, 223 I. fall.). Secondo la prospettazione accusatoria, l’intera operazione di acquisizione del sito di Scandicci proposta dalla Mercatech sarebbe stata, in realtà, soltanto una speculazione finanziaria volta a far apparire l’offerente quale soggetto qualificato e dotato della liquidità richiesta per garantire l’effettiv riconversione del sito. E così indurre in errore la Regione Toscana al fine di ottenere l’erogazione di aiuti di Stato a favore dell’occupazione nonché per un’attività di ricerca nell’ambito delle ‘Centrali fotovoltaiche ad alto rendimento garantito’: l’attività produttiva non sarebbe mai stata realmente avviata e nessuna risorsa finanziaria sarebbe stata messa a disposizione dal gruppo, che non disponeva neppure delle qualità tecniche per avviare il piano di riconversione del sito produttivo. In questo contesto, sarebbero state realizzate le plurime operazioni distrattive del patrimonio societario contestate nel capo B) dell’imputazione che avrebbero depauperato la RAGIONE_SOCIALEpoi RAGIONE_SOCIALE a beneficio delle società controllanti e dei singoli imputati, così sottraendo le uniche risorse disponibili, rappresentate dal saldo attivo tra quanto percepito a titolo di compenso e quanto corrisposto per la compravendita dello stabilimento di Scandicci, nonché dalle erogazioni pubbliche di cui la società aveva beneficiato”. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
La difesa propone ora ricorso straordinario per errore materiale o di fatto, ai sensi dell’art. 625-bis cod. proc. pen.
Va premesso – sotto il profilo dogmatico e metodologico – che il rimedio previsto dall’art. 625-bis cod. proc. pen. non rappresenta uno strumento da adoperare per ottenere mere rivalutazioni, rispetto a quanto deciso dalla Corte di legittimità. Come è stato più volte evidenziato, lo strumento in questione è teso al contrario – a porre riparo alla particolare patologia estrinseca dello «sviamento» del giudizio, solo allorquando la decisione oggetto del rimedio sia fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è inconfutabilmente esclusa, oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità sia positivamente stabilita e ciò
possa desumersi ictu ocu/i. O ancora, nel caso in cui, a causa di una vera e propria svista materiale (sarebbe a dire, di una disattenzione di ordine meramente percettivo) sia stato omesso l’esame di uno specifico motivo di ricorso, dotato del requisito della decisività.
Su tale ultimo aspetto, va ricordato che le Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U. n. 16103 del 27/03/2002, Basile, Rv. 221283) hanno ulteriormente precisato come l’omesso esame di un motivo di ricorso per cassazione non dia ipso facto luogo ad errore di fatto, rilevante a norma dell’art. 625-bis cod. proc. pen., né determini immediatamente la incompletezza della motivazione della sentenza allorché – pur in mancanza di una espressa disamina – il motivo proposto debba considerarsi implicitamente disatteso, in quanto incompatibile con la struttura e con l’impianto della motivazione, nonché con le premesse essenziali, logiche e giuridiche che compendiano la ratio decidendi della sentenza medesima, ovvero quando l’omissione sia soltanto apparente, risultando le censure formulate con il relativo motivo assorbite dall’esame di altro motivo preso in considerazione, giacché, in tal caso, esse sono state comunque valutate, pur essendosene ritenuta superflua la trattazione, per effetto della disamina del motivo ritenuto assorbente. Deve essere poi ricondotta alla figura dell’errore di fatto, tale situazione, allorquando essa sia dipesa da una vera e propria svista materiale, ossia da una disattenzione di ordine puramente percettivo, che abbia causato l’erronea supposizione dell’inesistenza della censura, la cui presenza sia immediatamente e oggettivamente rilevabile, in base al semplice controllo del contenuto del ricorso.
Da quanto sin qui esposto deriva, da un lato, che la verifica del complessivo contenuto motivazionale della sentenza impugnata può dar luogo, effettivamente, alla constatazione dell’omesso esame della censura, ma solo ove siano da escludersi le ipotesi della «trattazione implicita» o dell’assorbimento; d’altro canto, non possono trovare ingresso le censure di tipo valutativo (nel senso che il soggetto che propone il rimedio ex art. 625-bis cod. proc. pen., magari, dissenta dalla opinione espressa da questa Corte in sede di decisione, ovvero la ritenga non conferente, rispetto alla sua prospettazione), pur in presenza di interpretazioni delle norme o dei contenuti delle decisioni di merito che si prestino a critiche (come è del tutto evidente che possa essere, data la natura del giudizio, che è operazione intellettuale di ricostruzione del fatto e della norma applicabile al medesimo).
Tale assetto sistematico, peraltro, risulta funzionale alla necessità di tutelare – entro i limiti che sono propri della ragionevolezza – lo stesso valore del “giudicato”, quale fonte di certezza e stabilità delle decisioni giurisdizionali, nonché di garantire la vigenza del principio di tassatività delle impugnazioni (anche straordinarie), attraverso una corretta ricostruzione logica del significato delle parole utilizzate dal legislatore nel testo della disposizione, ove si indica come
rilevante «l’errore materiale o di fatto», così escludendosi il rilievo di profi semplicemente valutativi o di altre circostanze influenti sul giudizio, che potrebbero, se del caso, dare luogo a diversa impugnazione straordinaria (quale la revisione, regolamentata ai sensi dell’art. 630 cod. proc. pen.).
In conclusione, vale il principio in forza del quale l’errore di fatto verificatosi nel giudizio di legittimità, che può essere fatto valere attraverso il rimedio straordinario previsto dall’art. 625-bis cod. proc. pen., è solo l’errore percettivo causato da una svista, oppure da un equivoco in cui la Corte di cassazione sia incorsa, nella lettura degli atti interni al giudizio stesso e che sia connotato dall’influenza esercitata sul processo formativo della volontà, che deve risultare viziato dall’inesatta percezione delle risultanze processuali e che, consequenzialmente, abbia condotto ad una decisione diversa rispetto a quella che sarebbe stata adottata senza di esso. Qualora la causa dell’errore non sia identificabile esclusivamente in una fuorviata rappresentazione percettiva e, comunque, la decisione presenti un contenuto valutativo, non è configurabile un errore di fatto, bensì di giudizio, come tale non deducibile con il rimedio straordinario. Tali principi valgono, ovviamente, anche quando la questione proposta con il ricorso riguardi la prescrizione del reato, onde il rimedio è ammissibile solo quando la mancata applicazione della causa estintiva derivi da un errore di fatto o da una svista; non, invece, nel caso in cui si tratti di una valutazione giuridica, che può integrare in ipotesi un errore di diritto, ma non un errore di fatto rimediabile ex art. 625-bis c.p.p.
Per una panoramica completa delle regole ermeneutiche elaborate dalla giurisprudenza di legittimità, si veda anzitutto Sez. 1, n. 391 del 09/11/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 285553, a mente della quale: «In tema di ricorso straordinario per errore di fatto, non è deducibile la mancata disamina di doglianze non decisive o che devono essere considerate implicitamente disattese perché incompatibili con la struttura e con l’impianto della motivazione, nonché con le premesse essenziali, logiche e giuridiche che compendiano la “ratio decidendi” della sentenza, sicché è onere del ricorrente dimostrare che i motivi non esaminati fossero, invece, decisivi, e che il loro omesso scrutinio sia dipeso da un errore di percezione»; si veda poi Sez. 3, n. 27622 del 26/04/2023, COGNOME Rv. 284804, in tema di conseguenze derivanti dall’omesso esame di un motivo aggiunto al ricorso per cassazione (rilevanti sono anche Sez. 6, n. 28424 del 23/06/2022, COGNOME, Rv. 283667; Sez. 5, n. 46806 del 03/11/2021, COGNOME, Rv. 282384; Sez. 2, n. 53657 del 17/11/2016, COGNOME, Rv. 268982; Sez. U, n. 18651 del 26/03/2015, COGNOME, Rv. 263686, secondo cui: «In tema di ricorso straordinario, qualora la causa dell’errore non sia identificabile esclusivamente in una fuorviata rappresentazione percettiva e la decisione abbia comunque
contenuto valutativo, non è configurabile un errore di fatto, bensì di giudizio, come tale escluso dall’orizzonte del rimedio previsto dall’art. 625-bis cod. proc. pen.»; Sez. 6, n. 16287 del 10/02/2015, COGNOME, Rv. 263113; Sez. 6, n. 37243 del 11/07/2014, Diana, Rv. 260817; Sez. 6, n. 35239 del 21/05/2013, COGNOME, Rv. 256441; Sez. 1, n. 17362 del 15/04/2009, COGNOME, Rv. 244067; Sez. 5, n. 4442 del 05/12/2006, dep. 2007, COGNOME, Rv. 235970; Sez. 1, n. 46044 del 03/11/2004, COGNOME, Rv. 230584; Sez. 1, n. 29383 del 17/04/2003, COGNOME, Rv. 226147; Sez. 6, n. 20093 del 24/10/2002, dep. 2003, COGNOME, Rv. 225246).
Il ricorso ora sottoposto al vaglio di questo Collegio accantona completamente tali principi di diritto, proponendo questioni addirittura attinenti al merito della vicenda e invocando niente altro, se non una mirata rilettura degli elementi di valutazione e conoscenza versati nell’incarto processuale. Come tale, esso risulta radicalmente inammissibile, proponendo censure aspecifiche e non consentite.
4.1. Giova precisare come il ricorso propriamente detto sia sussunto nelle pagine che vanno dalla numero venticinque alla numero cinquanta; tale parte si colloca dopo un incipit che si compendia, in primo luogo, nel riepilogo dei dispositivi assunti in primo e in secondo grado e, successivamente, nella quasi integrale riproduzione grafica della sentenza oggetto dì ricorso straordinario, oltre che nella sintesi dei principi di diritto che reggono l’istituto.
4.2. La difesa, in realtà, deduce niente altro che (pretesi) errori di tipo valutativo, la cui enunciazione si risolve nella mera confutazione delle conclusioni alle quali sono pervenuti i giudici del merito e la Cassazione; l’intero atto, in sostanza, si muove sul filo dell’auspicio del compimento di un nuovo giudizio. Quanto ai pretesi “errori” evidenziati nel ricorso, degli stessi non viene mai minimamente viene chiarita la decisività, emergendo – più esattamente – la prospettazione di valutazioni alternative, ad opera della difesa.
4.3. Tale connotato presentano, indistintamente, tutte le censure proposte nel ricorso straordinario; tra esse possono essere evidenziate:
l’assunto secondo il quale COGNOME non abbia mai fondato RAGIONE_SOCIALE per aver egli ricoperto esclusivamente la carica di Presidente del Consiglio di amministrazione della stessa, fino all’anno 2008;
la tesi secondo cui COGNOME non sarebbe stato “il manipolatore dei fatti e relativa al rapporto tra ISI e COGNOME con riferimento ai soldi” (frase leggibile a pag. 26 del ricorso e che – come è agevole rilevare – si presenta davvero di oscura significazione);
la tesi secondo la quale sarebbe errato ritenere che sia restata integrata una truffa, per non esser stata mai avviata l’attività industriale (una affermazione che,
non evidenziando errori materiali, equivale all’invito a compiere addirittura valutazioni alternative, quanto al merito della vicenda storica oggetto del processo);
la tesi che COGNOME trascorresse gran parte del suo tempo in America, senza mai intervenire in prima persona nelle questioni aziendali e senza mai ricevere comunicazioni formali (una deduzione che trasla la valutazione richiesta a questa Corte direttamente nel campo del merito, oltrepassando addirittura il già compiuto vaglio di legittimità);
ancora frutto di una valutazione alternativa, in ordine agli elementi di valutazione e conoscenza emersi, è la deduzione inerente all’omessa verifica in punto di sussistenza del nesso causale, tra gli artifici e raggiri e l’atto che avrebbe causato il danno ingiusto;
nelle pagine che vanno dalla numero 33 alla numero 35 del ricorso, poi, vengono analizzate nel dettaglio le operazioni compiute da RAGIONE_SOCIALE, nell’ambito della già descritta operazione finanziaria, così nuovamente proponendosi un (preteso) errore di tipo valutativo;
vengono poi ricapitolate tutte le contestazioni mosse al condannato, avversandosi anche – sempre con evidente irruzione nel campo del merito – il ritenuto contributo ascritto al Cevolo, senza però mai riuscire a evidenziare specificamente la sussistenza di un errore di fatto, ovvero di una svista, o anche l’omesso esame di precise censure e, infine, ignorando sistematicamente il fondamentale tema della decisìvità (si veda quanto riportato alle pagine da 35 a 41 del ricorso straordinario);
alla pagina numero 42 la difesa, al fine di sostenere che COGNOME abbia investito denaro nell’operazione incriminata, indulge nel vaglio meramente contestativo delle conclusioni espresse da un consulente tecnico di ufficio, “nell’ambito del processo civile parallelo”, così debordando vistosamente dal perimetro valutativo demandato a questa Corte, in sede di ricorso straordinario ex art. 625-bis cod. proc. pen.
non mancano né l’analisi della deposizione di un teste, né la prospettazione di una lettura alternativa della stessa (pag. 43 del ricorso);
-la difesa passa poi all’esame dei reati fallimentari, per sostenere come sia incorsa in errore la Corte, nel ritenere inesistenti prove documentali a discolpa (si manca di indicare, però, l’esistenza di un elemento dirimente che – in ipotesi difensiva – sarebbe stato ignorato, arrestandosi alla contestazione della sussistenza degli elementi a carico e quindi, in pratica, rivalutando l’intero compendio probatorio versato in atti);
viene contestata la ritenuta sussistenza della contestata distrazione, con argomenti nuovamente di tipo meramente valutativo (pagg. 44-46 del ricorso);
vengono direttamente esaminate, infine, nell’intento di proporre una diversa ricostruzione in fatto e in diritto, le dichiarazioni rese da alcuni testi, quali COGNOME, COGNOME e COGNOME (si veda quanto scritto nel ricorso, da pag. 46 a pag. 49).
4.4. In epitome, può dirsi che si tratta di un ricorso ex art. 625-bis cod. proc. pen. che si arresta, impropriamente, allo stadio della mera critica avversativa e che auspica – in via esclusiva – il compimento di una pura e semplice rivisitazione, rispetto a quanto deciso dalla Corte di legittimità (e che anzi propone, addirittura, delle ancor più incongrue incursioni nel merito del giudizio).
Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile; segue ex lege la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, oltre che di una somma – che si stima equo fissare in euro tremila – in favore della Cassa delle ammende (non ravvisandosi elementi per ritenere il ricorrente esente da colpe, nella determinazione della causa di inammissibilità, conformemente a quanto indicato da Corte cost., sentenza n. 186 del 2000).
L’imputato, infine, dovrà rifondere le spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle costituite parti civili; tali spese vengono liquidate – per ciascuna di esse – nella somma di euro quattromila, oltre accessori di legge.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Condanna, inoltre, il ricorrente alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili che liquida in complessivi euro 4.000,00 per ciascuna, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, 31 ottobre 2024.