Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 23241 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 23241 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 05/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME nato il 07/01/1970
avverso la sentenza del 19/09/2024 della CORTE DI CASSAZIONE
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME sentite le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso;
sentito il difensore del ricorrente, Avv. NOME COGNOME il quale ha insistito nei motivi di ricorso, chiedendone l’accoglimento .
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza n. 39218 del 19 settembre 2024, la Sesta sezione di questa Corte rigettava il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME avverso la sentenza della Corte di appello di Trento del 5 dicembre 2023, che aveva confermato la condanna di COGNOME in ordine al ruolo di promotore e organizzatore di una “locale” di ‘ndrangheta operante nella provincia di Trento; avverso la sentenza della Sesta Sezione di questa Corte propone ricorso per cassazione il difensore di COGNOME eccependo:
1.1. Violazione dell’art. 416 -bis cod. pen. in combinato disposto con gli artt. 125 cod. proc. pen. e 546 lett. e) cod. proc. pen. in relazione alla contestazione partecipativa di COGNOME all’articolazione romana ed in riferimento al capo di
imputazione, con conseguente errore di fatto sul punto: l’errore consisteva nell’avere ritenuto che COGNOME rispondesse di due diverse contestazioni associative, laddove nella contestazione vi era una condotta sostanzialmente identificatasi nella disponibilità del sodalizio romano in un contesto imputativo unico; il riferimento che la Corte di cassazione faceva alla sentenza che riguardava l’imputato COGNOME non si riferiva ad una diversità di sodalizi, che non era mai stata evidenziata nel procedimento a carico del ricorrente; il dato di fondo in cui risiedeva l’errore era quello di voler ritenere che COGNOME in qualche modo facesse parte dell ‘ attività di estrazione del porfido o di altre attività imprenditoriali richiamate genericamente nei fogli 8 e 9 della sentenza, quando nulla di tutto ciò si poteva verificare nella visione sia del capo di imputazione sia della condotta specificatamente ascritta a COGNOME, che rispondeva solo della gestione del presunto sodalizio romano; pertanto, ritenere che potesse coesistere l’inesistenza del sodalizio romano, conclamata ai fogli 10 e 11 della sentenza impugnata, e comunque permanere una condotta associativa da parte di COGNOME, significava negare anche i contenuti della sentenza n. 4801 del 9 dicembre 2021 di questa Corte (Seconda sezione penale), che, a sua volta, richiamava la sentenza n. 21025 del 14 aprile 2021, riguardanti la posizione di COGNOME; il ragionamento della sentenza impugnata era sconfessato dalla stessa sentenza n. 4801, laddove si affermavano come di decisiva importanza i caratteri ‘del tutto oscuri’ dell’articolazione trentina, con particolare riferimento alle caratteristiche dell’associazione, all’ambito di riferimento della stessa, alle capacità di delocalizzazione e alla definizipone dei contributi causali degli associati e dei concorrenti esterni; la sentenza n. 4801 aveva anche analizzato la insussistenza dei reati fine e delle estrinsecazioni di condotte antigiuridiche non solo di COGNOME, ma anche di COGNOME, che quindi si riverberavano sull’intera contestazione associativa a carico di COGNOME;
1.2. violazione dell’art. 416 -bis cod. pen. in combinato disposto con gli artt. 125 cod. proc. pen. e 546 lett. e) cod. proc. pen. in relazione alla condotta specifica di promotore ed organizzatore, così come contestato nel capo di imputazione, e relativo errore di fatto sul punto: l’insus sistenza di collegamenti di COGNOME con l’attività del ‘porfido’, l’insussistenza di settori imprenditoriali che fossero diversi dal settore romano e la successiva presa d’atto della insussistenza della compagine romana facevano venir meno qualunque tipo di condotta associativa di grado apicale riconducibile a COGNOME; inoltre, la citata sentenza n. 4801 riconosceva la qualifica di capo promotore ed organizzatore in capo a COGNOME relativamente al sodalizio romano;
1.3. violazione dell’art. 62 -bis cod. pen., in combinato disposto con gli artt. 125 cod. proc. pen. e 546 lett. e) cod. proc. pen. e relativo errore di fatto in
relazione alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche: la Corte di appello non aveva valorizzato alcuni parametri indicati dalla difesa, non considerati dalla Corte di cassazione, con contestuale omissione della valutazione. Con separata memoria ex art. 611 cod. proc. pen. ritualmente depositata erano stati richiamati la sentenza n. 4801, i verbali di interrogatorio cui si era sottoposto COGNOME e un articolo di giornale che riguardava una condotta di estorsione che vedeva COGNOME quale persona offesa, tutti elementi trascurati sia dalla Corte di appello che da questa Corte.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
1.1. Preliminarmente, si deve ribadire il principio espresso dalle Sezioni Unite di questa Corte (Sent. n. 18651 del 26/03/2015, COGNOME Rv. 263686 -01), secondo cui ‘i n tema di ricorso straordinario, qualora la causa dell’errore non sia identificabile esclusivamente in una fuorviata rappresentazione percettiva e la decisione abbia comunque contenuto valutativo, non è configurabile un errore di fatto, bensì di giudizio, come tale escluso dall’orizzonte del rimedio previsto dall’art. 625bis cod. proc. pen. ‘.
Ciò premesso, per valutare se vi siano stati o meno errori di fatto nella sentenza impugnata, si deve partire dall’analisi di questa (e solo di questa, non essendo rilevanti le considerazioni delle sentenze emesse nei precedenti casi di giudizio); ora, par tendo dall’ incipit della sentenza impugnata, appare subito evidente che l’errore denunciato con il primo motivo di ricorso, e cioè che COGNOME rispondesse di due contestazioni associative, non sussiste.
La sentenza impugnata inizia infatti con l’affermare che era stata confermata ‘ la responsabilità di NOME COGNOME in ordine al ruolo di promotore e organizzatore di una “locale” di ‘ndrangheta operante nella provincia di Trento ‘ e precisa che ‘ si contesta di appartenere alla locale di ‘ndrangheta – promanazione delle cosche calabresi riferite alle famiglie COGNOME, COGNOME e COGNOME – dotata di autonomia decisionale e stanziatasi in provincia di Trento ‘; come si vede, pertanto, a COGNOME non viene contestato di far parte anche di altra associazione avente sede a Roma, tema che viene inserito dall’originario ricorso per cassazione proposto.
Neppure sussiste alcun contrasto con la più volte richiamata sentenza di questa Corte n. 4801 del 9 dicembre 2021: oltre alla considerazione che la sentenza aveva ad oggetto un ricorso in materia cautelare personale, la sentenza non afferma l’inesistenza di una locale ‘trentina’, ma soltanto che il Tribunale non aveva chiarito in base a quali elementi si potesse affermare l’esistenza della
stessa. Non solo: la sentenza oggi impugnata analizza (pagg. 10 e 11) anche il presunto contrasto con la sentenza n. 4801, per cui si potrebbe al più parlare di un errore di valutazione, ma mai di un errore materiale o di fatto; infine, viene richi amata anche altra sentenza di questa Corte ‘ , nella quale è stata ampiamente riconosciuta la “locale” di ‘ndrangheta operante nella Provincia di Trento e capeggiata da COGNOME e COGNOME (Sez. 6, n. 17511 del 06/03/2024, COGNOME, non mass.).
1.2. Dalle considerazioni che precedono deriva anche la manifesta infondatezza del secondo motivo di ricorso, che pone soltanto un problema di errata valutazione dei dati processuali, non denunciabili con il ricorso straordinario per errore di fato.
1.3. Infine, quanto alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche per non aver considerato alcuni elementi portati dalla difesa, si deve rilevare che la sussistenza di circostanze attenuanti rilevanti ai sensi dell’art. 62bis cod. pen. è oggetto di un giudizio di fatto, e può essere esclusa dal giudice con motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria decisione, di talché la stessa motivazione, purché congrua e non contraddittoria, non può essere sindacata in cassazione neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell’interesse dell’imputato; e, del tutto irrilevante, ai fini del riconoscimento di un errore di fatto, è la circostanza che alcuni elementi non siano stati considerati.
Per le considerazioni esposte, dunque, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Ai sensi dell’art. 616 c od. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento a favore della cassa delle ammende della somma di € 3.000,00, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 05/06/2025