Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 58 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 58 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 26/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME COGNOME nato a MILANO il 20/11/1970
avverso l’ordinanza del 08/11/2023 della CORTE DI CASSAZIONE di ROMA
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udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO
Con l’ordinanza in epigrafe, la Settima Sezione penale della Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato nell’interesse dell’imputato avverso la sentenza della Corte d’Appello di Milano, che, in data 1.3.2023, aveva confermato la condanna di COGNOME NOME per il reato di bancarotta fraudolenta.
Avverso la predetta ordinanza, il difensore dell’imputato ha proposto ricorso straordinario ex art. 625-bis cod. proc. pen. per errore di fatto.
Il difensore individua l’errore di fatto nella circostanza che la declaratoria di inammissibilità del precedente ricorso contro la sentenza di condanna si fondasse sulla considerazione che il ricorso stesso esprimeva mere doglianze di fatto senza confrontarsi con le argomentazioni della sentenza impugnata. Ma poiché – secondo il ricorrente – quella sentenza di condanna era errata nella ricostruzione della condotta dell’imputato, è conseguentemente viziata da errore di fatto anche la sentenza della Settima Sezione che ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso.
In data 16.9.2024, il difensore del ricorrente, NOMECOGNOMEe ha presentato “motivi nuovi”.
Deve rilevarsi preliminarmente che i motivi nuovi, di cui s’è detto da ultimo, sono stati trasmessi in cancelleria senza il rispetto dei termini di quindici giorni previsto dall’art. 611 cod. proc. pen. relativamente al procedimento in camera di consiglio, che sono applicabili, in virtù dell’espresso richiamo contenuto nell’art. 610 comma 1 cod. proc. pen., anche ai procedimenti in camera di consiglio fissati dopo che sia stata rilevata una causa di inammissibilità.
La conseguenza è che nel giudizio camerale di legittimità le memorie e le produzioni difensive depositate in violazione del rispetto dei termini di quin “liberi” prima dell’udienza, previsti dall’art. 611 cod. proc. pen., sono tardive e, pertanto, non possono essere prese in considerazione (Sez. 4, n. 49392 del 23/10/2018, Rv. 274040 – 01).
Ciò detto, qui deve solo osservarsi che la richiesta formulata all’inizio della memoria intempestiva – ovvero, quella di trasmissione del ricorso ad altra sezione, in quanto la sentenza avverso la quale è stato proposto ricorso ex art. 625-bis c.p.p. è stata pronunciata dalla stessa Settima Sezione di questa Corte – non attiene a questioni rilevabili di ufficio in ogni stato e grado del processo, ciò che legittimerebbe, ex art. 609 comma 2 cod. proc. pen., la decisione della Corte anche in caso di motivi nuovi tardivi.
Infatti, la regola dell’assegnazione dei ricorsi ad una sezione non attiene alla capacità del giudice per espressa previsione dell’art. 33, comma 2, cod. proc. pen., e, dunque, anche se fosse ipotizzabile la sua inosservanza non si sarebbe determinata alcuna nullità.
Ma, in ogni caso, nessuna inosservanza delle disposizioni sull’assegnazione dei processi si è verificata nel caso di specie, nel quale, al contrario, l’assegnazione del ricorso alla Settima Sezione è avvenuta esattamente secondo la previsione dell’art. 610, comma 1, cod. proc. pen., il quale stabilisce che il presidente della corte di cassazione (o un suo delegato), ove rilevi una causa di inammissibilità dei ricorsi, “li assegna ad apposita sezione”: e la sezione in questione è la settima, istituita dal Presidente della Corte di cassazione, con decreto del 2 aprile 2001, appunto per la trattazione dei ricorsi per i quali sia stata rilevata una causa di inammissibilità.
Il difensore sostiene, testualmente, nella memoria che “il ricorso in parola ex art. lo 625 bis cpp, prevede per legge che sia tratta(to) da altra sezione, ed in caso contrario si appalesa una grave violazione dei diritti dell’imputato, più volte censurato anche dalla giurisprudenza della CEDU”.
Ma, per vero, nel testo dell’art. 625-bis cod. proc. pen. (e nemmeno in altre disposizioni di legge, che comunque non sono state indicate nella memoria) nessuna traccia si rinviene di quanto affermato dal difensore (il quale, nondimeno, neppure indica specificamente quali arresti della Corte Europea dei diritti dell’uomo avrebbero stabilito che casi come quello di specie comportino una grave violazione dei diritti dell’imputato).
Peraltro, l’eccezione difensiva trascura di considerare che i componenti dei singoli collegi della settima sezione sono individuati sulla base di un assetto organizzativo che prevede la tendenziale co-assegnazione di tutti i magistrati di ciascuna sezione (punto 64.1 delle vigenti Tabelle di organizzazione della Corte di Cassazione), sicché, a rigore, non sarebbe individuabile alcuna sezione della Corte che possa considerarsi completamente altra dalla settima.
Se, poi, si volesse annettere alla richiesta di cui ai motivi nuovi – oltre il suo stesso scarno dato letterale – il significato di prevenire eventuali situazioni di incompatibilità dei componenti del collegio, dovrebbe in ogni caso tenersi a mente che l’incompatibilità non riguarda la capacità, e quindi la costituzione, del giudice, bensì la sua posizione di fronte allo specifico processo.
L’incompatibilità del giudice, cioè, deriva dall’avere in precedenza compiuto atti nel medesimo processo, ipotesi alla quale si riferisce in generale l’art. 34 cod. proc. pen., la inosservanza del quale è causa, non di nullità, ma di eventuale astensione o ricusazione.
Se è così, basti qui dire che nel caso di specie il collegio odierno è composto da giudici diversi da quelli che hanno pronunciato la sentenza di inammissibilità contro cui COGNOME propone ricorso straordinario.
Venendo al merito dell’impugnazione, è da ritenersi che il ricorso non si confronti affatto con la motivazione del provvedimento impugnato, il quale ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto avverso la sentenza di condanna della Ccorte d’Appello di Milano “perché costituito da mere doglianze in punto di fatto, che peraltro non si confrontano con l’ampia e corretta argomentazione che la Corte distrettuale ha dedicato al tema”.
La contestazione di tale affermazione da parte del difensore del ricorrente si basa sul rilievo che, giacché la motivazione della sentenza impugnata si fondava su alcune considerazioni prive di aggancio con la realtà fattuale, la declaratoria di inammissibilità è a sua volta affetta da errore di fatto; sicché il ricorso procede inopinatamente a una lunga censura nel merito della sentenza della Corte d’Appello di Milano.
In questo modo, però, il ricorso mostra di confondere l’errore di fatto, che legittima la presentazione del ricorso straordinario ex art. 625-bis cod. proc. pen., con l’errore di natura valutativa in cui – sostiene il difensore – sarebbe incorso, la Corte di Cassazione.
All’area dell’errore di fatto rimangono del tutto estranei gli errori di valutazione e di giudizio dovuti ad una non corretta interpretazione degli atti del processo di cassazione, da assimilare agli errori di diritto conseguenti all’inesatta ricostruzione del significato delle norme sostanziali e processuali (Sez. 4, n. 3367 del 4/10/2016, dep. 2017, Rv. 268953 – 01). Ne deriva, quindi, che, con riguardo a tali supposti errori, resta fermo il principio di inoppugnabilità dei provvedimenti della Corte di cassazione (Sez. 4, n. 3367 del 4/10/2016, dep. 2017, Rv. 268953 – 01).
Come affermato anche dalle Sezioni Unite, in tema di ricorso straordinario, qualora la causa dell’errore non sia identificabile esclusivamente in una fuorviata rappresentazione percettiva e la decisione abbia comunque contenuto valutativo, non è configurabile un errore di fatto, bensì di giudizio, come tale escluso dall’orizzonte del rimedio previsto dall’art. 625-bis cod. proc. pen. (Sez. U, n. 18651 del 26/3/2015, Rv. 263686 – 01).
Ne consegue, pertanto, che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile ai sensi dell’art. 606 comma 3 cod. proc. pen., perché proposto per motivi non consentiti dalla legge, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
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Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 26.9.2024