Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 3756 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 3756 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 19/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME, nato a Gioia Tauro il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 22/11/2022 della Corte di cassazione visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore Generale NOME COGNOME, la quale ha concluso chiedendo che il ricorso sia rigettato;
udito l’AVV_NOTAIO, in difesa di COGNOME NOME, il quale, dopo la discussione, si è riportato ai motivi di ricorso;
udito l’AVV_NOTAIO, in difesa di COGNOME NOME, il quale, dopo la discussione, ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza n. 12323 del 22/11/2022, depositata il 23/03/2023, la Sesta sezione penale della Corte di cassazione, per quanto qui interessa: a) annullava senza rinvio la sentenza del 19/07/2021 della Corte d’appello di Reggio Calabria nei confronti di NOME COGNOME limitatamente al reato di cui all’art. 74 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, di cui al capo A) dell’imputazione; b) rigettava, nel resto, il ricorso del COGNOME con riguardo al reato di traffico illecito di sostan stupefacenti di cui al capo U) dell’imputazione, rinviando ad altra Sezione della
Corte d’appello di Reggio Calabria per la rideterminazione della pena nei confronti dello stesso imputato.
Avverso l’indicata sentenza n. 12323 del 22/11/2022 della Sesta sezione penale della Corte di cassazione, NOME COGNOME ha proposto ricorso straordinario, ai sensi dell’art. 625-bis cod. proc. pen., deducendo l’errore materiale o di fatto nel quale sarebbe incorsa la stessa Sesta sezione penale per non avere neppure implicitamente considerato i propri motivi di ricorso e motivi nuovi, della cui proposizione aveva pure atto.
Il ricorrente lamenta anzitutto che la sentenza impugnata non avrebbe considerato i propri motivi di ricorso con i quali aveva dedotto l’inesistenza del proprio incontro del 15/12/2015 con NOME COGNOME per la ragione che lo svolgimento dello stesso incontro non si poteva ritenere confermato dalla successiva conversazione tra l’COGNOME e NOME COGNOME nella quale il primo rassicurava il secondo in ordine al fatto che il COGNOME non era stato sottoposto a misura cautelare ma gli era applicata la misura di prevenzione dell’obbligo di soggiorno. Ciò in quanto il COGNOME era stato sottoposto a tale misura di prevenzione già il 31/10/2014, con la conseguenza che, considerati i rapporti pregressi e la conoscenza tra i correi (dei quali le sentenze di merito avevano dato atto) – «donde la conoscenza discendente tra i correi che il COGNOME era già da tempo sottoposto alla misura» di prevenzione – «il soggetto con cui si sarebbe visto l’COGNOME non era certamente esso ricorrente, ma altro soggetto che in quella data di incontro, 15/12/2015, si era visto comminare la misura di p.s.».
Il COGNOME lamenta in secondo luogo che la sentenza impugnata non avrebbe considerato i propri motivi di ricorso con i quali aveva contestato l’attribuzione a sé dei nomignoli “mongolo”, “handicappato” e “cugino”, i quali erano stati riferiti al soggetto che si sarebbe dovuto recare a Livorno, per la ragione che egli «non avrebbe potuto esprimere la volontà di recarsi in Livorno per partecipare all’affare illecito a causa dell’evidente fatto storico che era un sottoposto a restrizioni con obbligo di soggiorno nel comune di Gioia Tauro».
La Sesta sezione penale della Corte di cassazione avrebbe insomma trascurato di considerare l’elemento – doppiamente decisivo, nei termini sopra indicati, e devoluto al suo vaglio – del fatto che egli «fosse stato sottoposto alla misura da almeno 10 mesi rispetto al presunto incontro con COGNOME»; decisività che conseguirebbe anche dagli elementi della «totale assenza del ricorrente nelle conversazioni captate e nei servizi di osservazione» e dell’annullamento senza rinvio della sentenza della Corte d’appello di Reggio Calabria con riguardo al reato associativo di cui al capo A) dell’imputazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è manifestamente infondato.
1.1. Le sezioni Unite della Corte di cassazione hanno chiarito che l’omesso esame di un motivo di ricorso per cassazione non dà luogo a errore di fatto rilevante a norma dell’art. 625-bis cod. proc. pen., né determina incompletezza della motivazione della sentenza allorché, pur in mancanza di espressa disamina, il motivo proposto debba considerarsi implicitamente disatteso perché incompatibile con la struttura e con l’impianto della motivazione, nonché con le premesse essenziali, logiche e giuridiche che compendiano la reti() decidendi della sentenza medesima, ovvero quando l’omissione sia soltanto apparente, risultando le censure formulate con il relativo motivo assorbite dall’esame di altro motivo preso in considerazione, giacché, in tal caso, esse sono state comunque valutate, pur essendosene ritenuta superflua la trattazione per effetto della disamina del motivo ritenuto assorbente; mentre deve essere ricondotto alla figura dell’errore di fatto quando sia dipeso da una vera e propria svista materiale, cioè da una disattenzione di ordine meramente percettivo che abbia causato l’erronea supposizione dell’inesistenza della censura, la cui presenza sia immediatamente e oggettivamente rilevabile in base al semplice controllo del contenuto del ricorso (Sez. U, 16103 del 27/03/2002, Basile, Rv. 221283-01, la quale, in motivazione, ha precisato che la mera qualificazione della svista in questione come errore di fatto non può tuttavia giustificare, di per sé, l’accoglimento del ricors straordinario proposto a norma dell’art. 625-bis cod. proc. pen., possibile solo ove si accerti che la decisione del giudice di legittimità sarebbe stata diversa se fosse stato vagliato il motivo di censura dedotto).
1.2. Nel caso in esame, si deve anzitutto rilevare come la Sesta sezione penale abbia dato atto delle doglianze del COGNOME relative al fatto che la Corte d’appello di Reggio Calabria avrebbe «trascurato che al ricorrente era stata ripristinata la sottoposizione alla misura di prevenzione personale con restrizioni della circolazione fuori dal Comune di Gioia Tauro più di un anno prima , senza che vi siano servizi di osservazione pedinamento controllo che mostrino un suo allontanamento dall’area di residenza» e che non vi sarebbe stato «nessun riscontro a quanto affermato nella sentenza circa un incontro di COGNOME con COGNOME NOME e COGNOME e circa la attribuibilità al ricorrente degli appellativi us nelle conversazioni intercettate “mongolo”..”, “handicappato”».
Posta, pertanto, la piena consapevolezza, in capo alla Sesta sezione penale, delle menzionate doglianze del ricorrente, il Collegio ritiene che, alla luce dell’impianto della motivazione della sentenza impugnata, le stesse censure si debbano reputare essere state legittimamente implicitamente disattese dalla stessa Sesta sezione.
Quanto al primo profilo del motivo del ricorso straordinario, la Sesta sezione penale – dopo avere premesso che, nella sentenza della Corte d’appello di Reggio Calabria, si evidenziava che, nella conversazione del 15/12/2015 tra NOME COGNOME e NOME COGNOME, il primo invitava il secondo a incontrare il COGNOME presso la pescheria della moglie di quest’ultimo a Gioia Tauro e che la polizia giudiziaria aveva osservato NOME COGNOME e suo figlio NOME COGNOME recarsi quello stesso giorno 15/12/2015 davanti alla suddetta pescheria – ha motivato: «che l’incontro sia avvenuto si desume dal fatto che COGNOME rassicura COGNOME che COGNOME non è stato sottoposto a custodia cautelare come invece temuto (ma gli era applicata misura di prevenzione dell’obbligo di soggiorno)».
Quanto al secondo profilo del motivo del ricorso straordinario, attinente alla contestazione dell’attribuzione al ricorrente dei nomignoli “mongolo”, “handicappato” e “cugino”, la Sesta sezione penale, evidentemente, ha implicitamente logicamente ritenuto che la sottoposizione del COGNOME alla misura di prevenzione dell’obbligo di soggiorno non fosse tale da escludere che l’imputato potesse avere espresso la volontà di recarsi a Livorno, violando detta misura, come di fatto è certamente possibile che accada.
Tale motivazione appare idonea a confermare che il 15/12/2015 NOME COGNOME incontrò effettivamente – conformemente, del resto, all’invito che aveva ricevuto in tal senso da parte di NOME COGNOME – il COGNOME, atteso che in tale senso militavano gli elementi, che risultavano dalla successiva conversazione tra l’COGNOME e il COGNOME, della rassicurazione circa la mancata sottoposizione del soggetto incontrato dall’COGNOME a custodia cautelare, come i coimputati avevano temuto fosse accaduto al COGNOME, e della sottoposizione, invece, dello stesso soggetto, come il COGNOME, alla misura di prevenzione dell’obbligo di soggiorno. In assenza dell’evidenziazione di elementi che potessero fare ritenere che il soggetto incontrato dall’COGNOME fosse stato sottoposto proprio quel giorno dell’incontro (15/12/2015) alla suddetta misura di prevenzione – come sembra sostenere il ricorrente, senza tuttavia indicare da dove tale circostanza emergerebbe – la Sesta sezione penale, evidentemente, ha implicitamente logicamente ritenuto non rilevante che il COGNOME fosse già da tempo (dal 31/10/2014) sottoposto all’obbligo di soggiorno e che di ciò potessero eventualmente essere consapevoli i coimputati. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento, nonché, essendo ravvisabili profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 19/12/2023.