Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 10502 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 10502 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 27/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME COGNOME nato il 16/02/1973 a Giarre avverso la sentenza del 06/06/2024 della Corte di cassazione.
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso; udito il Difensore del ricorrente, Avv. NOME COGNOME che, riportandosi ai motivi ricorso, ha insistito per l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
Il difensore di NOME COGNOME aveva presentato ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Catania del 26 aprile 2023, che aveva confermato la condanna dell’imputato per il reato di partecipazione all’associazione mafiosa storica
denominata “Cosa nostra” e, segnatamente, al “clan COGNOME“, facente capo alla famiglia mafiosa “Santapaola-Ercolano”.
Il ricorso per cassazione, proposto per i profili della violazione di legge e del viz motivazione in relazione alla mancata considerazione del certificato del DAP del ricorrente ai fini della contestualità dei suoi periodi di detenzione con quelli del collabor COGNOME le cui dichiarazioni erano state poste, unitamente agli esiti de intercettazioni, a base della condanna, e senza le quali, a detta della Difesa, la condot avrebbe dovuto essere qualificata come favoreggiamento, è stato dichiarato inammissibile dalla Seconda sezione della Corte di cassazione con sentenza n. 30554 del 6 giugno 2024. La Corte di legittimità rappresentava che il ricorrente aveva prodotto un certificato del DAP che non dava conto dei periodi di codetenzione e che quindi essa non risultava smentita, così come non era possibile affermare che essa non fosse riferibile all associazione in parola. Rappresentava inoltre che la Corte territoriale aveva confermato la condanna di COGNOME ritenendo che dagli atti emergeva che lo stesso era un partecipe, ancorché di basso livello, che interagiva sistematicamente con gli associati, anche al fin di depistare le indagini di polizia.
Avverso detta sentenza il difensore di COGNOME ha presentato ricorso straordinario per errore di fatto nella soluzione decisoria adottata. Per una mera svista, la Corte ritenuto che il ricorrente avesse prodotto un certificato del DAP che non dava conto dei periodi di codetenzione, ragione per cui non risultava smentita la codetenzione del ricorrente con il collaborante COGNOME. In realtà la codetenzione era da ritene pacificamente esclusa dallo status di “libero” di COGNOME. La contestazione per il reato associativo era di tipo “chiuso”, riguardando il periodo 2013-2014; COGNOME h affermato di avere incontrato COGNOME in carcere nel 2012 e, in ogni modo, quest’ultimo è stato ristretto soltanto a partire dall’anno 2016. Non poteva quindi pretendersi produzione di un certificato che attestasse eventuali periodi di codetenzione, giacché da 2006 al 2016 COGNOME era in stato di libertà, allorché invece COGNOME era detenuto Trattasi dunque di errore percettivo che ha viziato la scelta decisoria, come rilevab dalla ricerca storica del DAP allegata al ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
La verifica dell’errore di fatto segnalato esige la disamina degli atti processuali.
Il rimedio di cui all’art. 625-bis cod. proc. pen. può essere proposto solo nel ca di errore materiale o di fatto e non per errore di diritto (Sez. U, n. 1610 27/03/2002, COGNOME, Rv. 221280; Sez. 5, n. 21939 del 17/04/2018, COGNOME, Rv.
273062), ossia di un errore percettivo causato da una svista o da un equivoco Corte di cassazione sia incorsa nella lettura degli atti interni al giudizio stes dall’influenza esercitata sul processo formativo della volontà (Sez. 3 n. 16/09/2020, COGNOME, Rv. 280023).
Nel caso di specie, giova premettere che la Corte riteneva non smen codetenzione fra COGNOME e il collaboratore COGNOME, viceversa non emergent ricerca storica allegata dal ricorrente, da cui si evince invece che lo stesso COGNOME fa risalire l’incontro in carcere era libero (“Ho conosciuto un tizio nel 2012 quando sono stato tratto in arresto per stupefacenti, però l’ho conosciuto nel carcere INDIRIZZO, nei comuni, un certo COGNOME COGNOME se non vado errato, al passeggio me lo nominava sempre a Carmeluccio e mi ha detto che era un affiliato di COGNOME“), avendo fatto ingresso in istituto penitenziario solo nel 2016.
Nondimeno, il pur riscontrabile errore percettivo non può determinare la revoc pronuncia di legittimità di cui alla presente verifica, trattandosi di err necessario e assorbente carattere della decisività, secondo quanto richie rilevabilità dell’errore di fatto ex art. 625-bis cod. proc.pen. (Sez. 4, n. 6770 17/01/2008, Romano, Rv. 239037). In tema di ricorso straordinario per errore d l’errore che può essere rilevato ai sensi dell’art. 625-bis è, infatti, solo che abbia condotto ad una pronunzia diversa da quella che sarebbe stata ado esso non fosse occorso.
Nel caso di specie la pronuncia impugnata dà conto del percorso argoment seguito dalla Corte di appello che, a prescindere dalle dichiarazioni di Vinciguer giudizio di responsabilità nei confronti di COGNOME sulla base di plur significative conversazioni intercettate fra i compartecipi. Dalle medesime emer l’altro, che il ricorrente (conv. 18573 del 23 aprile 2014) si era adoperato pe il sistema di videosorveglianza e le microspie installate per controllare l’attivi all’interno della sede operativa dell’associazione (la stalla ove COGNOME mansioni di operaio), che, a dire dello stesso COGNOME (conv. 29797 del 9 giu era un uomo di fiducia, che tuttavia doveva essere “messo a tacere” allorché si trovava all’interno dell’autovettura perché raccontava troppo. I Giudici di appe rappresentato che COGNOME era caratterizzato da una bassa caratura criminale, non smentiva l’intraneità al gruppo, ma piuttosto ne palesava ruolo e posizione di un “impegno offerto in modo non occasionale e utilissimo alla consorteria per accreditarsi all’interno del territorio con la forza”.
Il ricorso va pertanto rigettato, con la conseguente condanna del rico pagamento delle spese del procedimento.
P. Q. M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 27/02/2025