Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 43757 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 43757 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 17/10/2024
ORDINANZA
Sul ricorso straordinario proposto da:
NOME COGNOME (CUI CODICE_FISCALE), nato in Albania il 24/07/1984
avverso la sentenza n. 3398 emessa in data 14/12/2023 (dep. 2024) dalla Quarta Sezione della Corte di Cassazione
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 24/10/2022, la Corte d’Appello di Bari, in parziale riforma della decisione di primo grado, condannava – per quanto qui rileva – COGNOME alla pena di giustizia in relazione al reato associativo di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990, nonché ad alcuni reati-fine contestati ai capi 6), 13), 14), 16) e 18) della rubrica.
Il ricorso per cassazione proposto dall’COGNOME avverso tale decisione, è stato rigettato dalla Quarta Sezione di questa Suprema Corte, con la già richiamata sentenza n. 3398 del 2024.
Avverso tale pronuncia, propone ricorso straordinario l’COGNOME, deducendo la sussistenza di un errore percettivo che aveva impedito una corretta
decisione della Quarta Sezione, con particolare riferimento alla censura relativa alla mancata riqualificazione dei reati-fine ai sensi del comma 5 dell’art, 73 d.P.R. n. 309 del 1990. Al riguardo, il difensore evidenzia che non era stato possibile effettuare, in mancanza del sequestro dello stupefacente, alcuna analisi in ordine alla tipologia, qualità, principio attivo e quantificazione della droga, con conseguente indeterminatezza dell’accusa e carenza probatoria in ordine ai fatti contestati. Si lamenta, nella motivazione della Corte, una sostanziale inversione dell’onere della prova circa le connotazioni degli episodi per cui è causa, posto che “i dati di fatto principalmente valorizzati dalla Corte territoriale non erano tali d collocare l’imputato ad un livello più o meno intermedio della filiera della distribuzione degli stupefacenti su quel territorio, e quindi tali da essere utilizzat per escludere con indiscutibile evidenza la minima entità offensiva della sua condotta” (pag. 4 del ricorso). In considerazione di tale travisamento e omessa valutazione, si insiste per l’adozione dei provvedimenti necessari.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Risulta invero manifestamente infondata la prospettazione difensiva, secondo la quale il mancato riconoscimento al condannato dell’ipotesi di lieve entità, di cui al comma 5 dell’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990, sarebbe riconducibile ad un errore di fatto denunciabile con il ricorso straordinario di cui all’art. 625-bis cod. proc. pen.
È noto che, secondo un indirizzo interpretativo assolutamente consolidato nella giurisprudenza di questa Suprema Corte, «l’errore di fatto verificatosi nel giudizio di legittimità e oggetto del rimedio previsto dall’art. 625-bis cod. proc. pen. consiste in un errore percettivo causato da una svista o da un equivoco in cui la Corte di cassazione sia incorsa nella lettura degli atti interni al giudizio stesso e connotato dall’influenza esercitata sul processo formativo della volontà, che abbia condotto a una decisione diversa da quella che sarebbe stata adottata senza di esso» (così ad es. Sez. 2, n. 41782 del 30/09/2015, Cofano, Rv. 265248 – 01). D’altra parte, l’assoluta centralità che deve assumere l’errore percettivo, nella valutazione dell’ammissibilità di un ricorso straordinario, è stata ripetutamente ribadita anche dalle Sezioni Unite di questa Corte: cfr. Sez. U, n. 18651 del 26/03/2015, COGNOME, Rv. 263686 – 01, secondo la quale «qualora la causa dell’errore non sia identificabile esclusivamente in una fuorviata rappresentazione percettiva e la decisione abbia comunque contenuto valutativo, non è configurabile un errore di fatto, bensì di giudizio, come tale escluso dall’orizzonte del rimedio previsto dall’art. 625-bis cod. proc. pen.» (Nello stesso senso, cfr. ad es. Sez. U, n. 37505 del 14/07/2011, COGNOME, Rv. 250527 – 01).
In tale prospettiva ermeneutica, che si condivide e qui si intende ribadire, risulta del tutto evidente la manifesta infondatezza delle censure proposte nell’interesse dell’COGNOME.
3.1. La sentenza impugnata ha invero motivato l’esclusione dell’ipotesi attenuata valorizzando, da un lato, il compendio motivazionale emergente dalle conformi decisioni dei giudici di merito, i quali avevano ritenuto ostative, alla richiesta derubricazione, “la serialità degli episodi di illecito acquisto o cessione per cui vi era stata condanna, la pluralità delle sostanze compravendute e l’esistenza di un’organizzazione che presiedeva ai traffici di tipo non rudimentale” (cfr. pag. 25 della sentenza impugnata).
D’altro lato, la Quarta Sezione ha posto in evidenza che tale valutazione risultava in linea con l’indirizzo interpretativo secondo cui «in materia di sostanze stupefacenti, è legittimo il mancato riconoscimento della fattispecie di lieve entità, di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, qualora l’attività di spaccio sia svolta in un contesto organizzato le cui caratteristiche, quali il controllo di un’apprezzabile zona del territorio, l’impiego di mezzi funzionali a tale scopo, l’accertata reiterazione delle condotte di spaccio e la disponibilità di tipologie differenziate di sostanze stupefacenti, pur se in quantitativi non rilevanti, siano sintomatiche della capacità dell’autore del reato di diffondere in modo sistematico sostanza stupefacente» (Sez. 6, n. 3363 del 20/12/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 272140 – 01).
3.2. Rispetto a tale percorso argomentativo, risulta per un verso del tutto eccentrico il rilievo difensivo imperniato sulla mancanza di sequestri di sostanze stupefacenti, per la decisiva ragione che il diniego dell’attenuante non si è in alcun modo fondato sull’erronea percezione di dati ponderali ricavati da operazioni di tal genere, o di esiti di consulenze espletate su campioni di droga sequestrata (ben diversa, ovviamente, sarebbe stata la situazione laddove la mancata applicazione del comma 5 dell’art. 73 fosse stata motivata con richiami a sequestri di droga, o ad esiti di consulenze, rivelatisi poi inesistenti).
Per altro verso, appare di immediata evidenza il fatto che le ulteriori considerazioni critiche svolte nel ricorso straordinario, in precedenza richiamate, attengono non già a sviste od equivoci nella lettura degli atti, bensì al merito delle valutazioni operate dalla Quarta Sezione sulla base del compendio argomentativo offerto dalla “doppia conforme”: si tratta di un profilo del tutto estraneo al novero di doglianze deducibili con il ricorso straordinario, con cui la difesa finisce, in buona sostanza, per sollecitare inammissibilmente un nuovo e più favorevole apprezzamento delle risultanze acquisite.
Le considerazioni fin qui svolte impongono una declaratoria di inammissibilità del ricorso, e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.