Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 22824 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 22824 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: TRIPICCIONE DEBORA
Data Udienza: 16/04/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME nato a Tortorici DATA_NASCITA avverso l’ordinanza emessa il 7 novembre 2023 dalla Corte di cassazione visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso; lette le richieste del difensore, AVV_NOTAIO, che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME COGNOME propone ricorso straordinario per cassazione avverso l’ordinanza emessa dalla Settima sezione il 7 novembre 2023 con la quale è stata dichiarata l’inammissibilità del ricorso per cassazione proposto avverso la sentenza della Corte di appello di Messina di conferma della condanna del ricorrente per il reato di pascolo abusivo alla pena di mesi due di reclusione ed euro 400 di multa.
Deduce il ricorrente che la Corte è incorsa in errore di fatto là dove ha ritenuto manifestamente infondato il motivo con cui lamentava l’illegalità della pena, trattandosi di reato di competenza del giudice di pace, sulla base del presupposto, insussistente, che la condanna si riferisse alla fattispecie aggravata di competenza del tribunale. Infatti, il procedimento si riferisce al reato di cui all’art. 636, commi 2 e 3 cod. pen. di competenza esclusiva del giudice di pace e punibile solo con la multa, la permanenza domiciliare o il lavoro di pubblica utilità ai sensi dell’art. 52 d.lgs, 274/2000.
Sulla base di tali considerazioni, il ricorrente chiede anche la sospensione dell’esecutività dell’ordinanza impugnata a seguito della quale il Pubblico ministero ha emesso ordine di esecuzione e decreto di sospensione e il ricorrente ha chiesto l’affidamento in prova al servizio sociale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza del motivo dedotto.
Secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite, l’errore di fatto verificatosi nel giudizio di legittimità e oggetto del rimedio previsto dall’art. 625-bis cod. proc. pen. consiste in un errore percettivo causato da una svista o da un equivoco in cui il giudice di legittimità sia incorso nella lettura degli atti interni al giudizio stesso e connota dall’influenza esercitata sul processo formativo della volontà, viziato dalla inesatta percezione delle risultanze processuali che abbia condotto a una decisione diversa da quella che sarebbe stata adottata senza di esso (Sez. U., n. 16103 del 27/3/2002, Basile, Rv. 221280). Ed in tal senso si è, altresì, precisato che, qualora la causa dell’errore non sia identificabile esclusivamente in una fuorviata rappresentazione percettiva e la decisione abbia comunque contenuto valutativo, non è configurabile un errore di fatto, bensì di giudizio, come tale escluso dall’orizzonte del rimedio previsto dall’art. 625-bis cod. proc. pen, (Sez. U., n. 18651 del 26/03/2015, COGNOME,
Rv. 263686; Sez. U., n. 37505 del 14/07/2011, COGNOME, Rv. 250527). La giurisprudenza di legittimità ha ulteriormente perimetrato la nozione di “errore di fatto”, ritenendo a questa estranei gli errori di valutazione e di giudizio dovuti ad una non corretta interpretazione degli atti del processo di cassazione, da assimilare agli errori di diritto conseguenti all’inesatta ricostruzione del significato delle norme sostanziali e processuali (Sez. 5, n. 29240 del 1/6/2018, COGNOME, Rv. 273193; Sez. 4, n. 3367 del 04/10/2016, dep. 2017, Troise, Rv. 268953) nonché l’errore di natura valutativa che si innesti su un sostrato fattuale correttamente percepito (Sez. 6 , n. 28424 del 23/06/2022, COGNOME, Rv. 283667).
1.1 Applicando tali coordinate ermeneutiche al ricorso in esame, rileva il Collegio che le doglianze formulate dal ricorrente non prospettano alcun errore di fatto in cui sarebbe incorsa la Corte di cassazione, nell’accezione sopra specificata, bensì una erronea valutazione giuridica che, a prescindere dalla sua correttezza o meno, non è censurabile con il rimedio attivato.
All’inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Va, invece, esclusa la condanna al pagamento della somma in favore della Cassa delle ammende, non potendosi ritenere che lo stesso abbia proposto il ricorso versando in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost. n. 186 del 2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 16 aprile 2024