Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 18435 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 18435 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 03/04/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME NOME NAPOLI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 04/07/2023 della CORTE DI CASSAZIONE di ROMA udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
sentite le conclusioni del AVV_NOTAIO NOME COGNOME, che, riportandosi alla requisitoria scritta, ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità d ricorso;
udito il difensore, AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, in sostituzione dell’AVV_NOTAIO. NOME AVV_NOTAIO e dell’AVV_NOTAIO NOME COGNOME, che, dopo breve discussione, ha concluso per l’accoglimento del ricorso;
il AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO, invitato dal Presidente del Collegio, deposita memoria di udienza già notificata ai difensori.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza n. 34303 del 4/7/2023, depositata il 3/8/2023, la Sesta Sezione di questa Corte, dichiarava inammissibile il ricorso presentato da NOME COGNOME.
L’imputato, a mezzo del difensore, ha interposto ricorso straordinario per errore di fatto ai sensi dell’art. 625-bis cod. proc. pen., affidandolo ad un unico motivo, articolato in due profili, con cui evidenzia gli errori percettivi in sarebbe incorso il giudice di legittimità. Osserva, in particolare, sotto il prim aspetto, che la Corte territoriale, ha ritenuto utilizzabili le risultanze d
intercettazioni, in quanto ha valutato che l’annotazione di polizia giudiziaria da cui è scaturita l’attività di captazione “sebbene riferibile ad una fonte confidenziale non è affatto decisiva, ben potendo l’incipit del procedimento nascere da fonte anonima”; che in tal modo è incorsa in un errore percettivo, atteso che la fonte confidenziale è l’unico elemento posto a base dei decreti autorizzativi; che detto errore di percezione si è poi riverberato nel giudizio di legittimità, atteso che il Supremo Collegio ha limitato il proprio vaglio ad un mero richiamo a quanto sostenuto dai giudici di merito; che, in conclusione, il fraintendimento consiste nel non aver riconosciuto la reale portata del contributo investigativo fornito dalla fonte confidenziale.
Sotto diverso profilo, eccepisce, altresì, l’ulteriore errore di percezione in cui è incorso il giudice di legittimità con riferimento alla presunta esistenza di un gruppo associativo di stampo mafioso, impiantato nel territorio romagnolo, all’interno del quale il COGNOME avrebbe un ruolo di vertice. Rileva che, ancora una volta, in merito alla sussistenza del sodalizio, ha inciso in maniera preponderante la fonte confidenziale, indirizzando in tale direzione l’intera indagine; che nel giudizio di merito non sono mai state indicate nel dettaglio le fonti di prova, né gli aspetti che potevano consentire l’individuazione degli elementi tipizzati dalla norma per la consumazione del delitto in contestazione; che, al contrario, dagli atti emerge l’inesistenza del pactum sceleris e ancor di più l’assenza di elementi da cui desumere la posizione di vertice del COGNOME; che al più il ricorrente ed i coimputati sembrerebbero un gruppo di “cani sciolti” non legati ad alcuna associazione di tipo camorristico, che agivano indipendentemente da legami con sodalizi radicati nelle zone di provenienza; che, a fronte delle censure difensive, il giudice di legittimità azzerava le valutazioni compiute dai giudici di merito, introducendo inaspettatamente argomentazioni mai accennate nelle sentenze dei gradi di giudizio precedenti, inquadrando i fatti nella cornice risalente nel tempo di un conflitto combattuto da appartenenti a diversi clan camorristici napoletani nel territorio della provincia riminese; che, in conclusione, proprio in tale ricostruzione si concretizza l’errore di fatto che si censura con il presente ricorso, atteso che della ipotizzata delocalizzazione della guerra di camorra non vi è traccia negli atti del processo. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
1.1 Va premesso che la giurisprudenza di legittimità, nella sua più autorevole composizione, ha avuto modo di affermare che l’errore di fatto verificatosi nel giudizio di legittimità e oggetto del rimedio previsto dall’art. 625 bis cod. proc. pen. consiste in un errore percettivo causato da una svista o da un
equivoco in cui la Corte di cassazione sia incorsa nella lettura degli atti interni a giudizio stesso e connotato dall’influenza esercitata sul processo formativo della volontà, viziato dall’inesatta percezione delle risultanze processuali che abbia condotto a una decisione diversa da quella che sarebbe stata adottata senza di esso. Di conseguenza, i)qualora la causa dell’errore non sia identificabile esclusivamente in una fuorviata rappresentazione percettiva e la decisione abbia comunque contenuto valutativo, non è configurabile un errore di fatto, bensì di giudizio; li)sono estranei all’ambito di applicazione dell’istituto gli errori di interpretazione di norme giuridiche, sostanziali o processuali, ovvero la supposta esistenza delle norme stesse o l’attribuzione ad esse di una inesatta portata, anche se dovuti ad ignoranza di indirizzi giurisprudenziali consolidati, nonché gli errori percettivi in cui sia incorso il giudice di merito, dovendosi questi ultimi valere – anche se risoltisi in travisamento del fatto – soltanto nelle forme e ne limiti delle impugnazioni ordinarie; iii)l’operatività del ricorso straordinario non può essere limitata alle decisioni relative all’accertamento dei fatti processuali, non risultando giustificata una simile restrizione dall’effettiva portata della norma in quanto l’errore percettivo può cadere su qualsiasi dato fattuale (Sezioni Unite, n. 16103 del 27/3/2002, Basile, Rv. 221280 – 01).
Orbene, nel caso di specie, sia il giudizio sulla utilizzabilità delle risultan dell’attività di captazione, che quello sull’esistenza del sodalizio di stampo camorristico e sul ruolo di vertice ricoperto al suo interno dal COGNOME, non risultano essere stati determinati da errori percettivi o da sviste, costituendo invece l’esito conclusivo di un percorso motivazionale avente contenuto squisitamente valutativo. In particolare, con riferimento alla prima questione, il giudice di legittimità a pagina 18 della sentenza impugnata – dopo aver dato atto che entrambe le decisioni di merito hanno respinto l’eccezione difensiva, affermando che plurimi sono gli elementi di prova posti a fondamento dei decreti autorizzativi delle intercettazioni – ha ritenuto la doglianza difensiv inammissibile, in quanto implica «la necessaria delibazione in fatto dei singoli elementi investigativi e la valutazione della loro autonoma rilevanza, come tale risultando improponibile in sede di legittimità» ed ha affermato che «in ogni caso le argomentazioni sul punto svolte dalla Corte territoriale appaiono insuscettibili di censure sotto il profilo logico-argomentativo e conformi ai principi delineati dalla giurisprudenza di questa Corte di cassazione». In buona sostanza, la doglianza difensiva è stata esaminata sia nei due gradi di merito che in quello di legittimità ed in tutti i casi è stata disattesa all’esito di una valutazione immun da qualsivoglia errore percettivo.
Analoghe considerazioni devono essere svolte con riguardo al secondo profilo evidenziato dal difensore, atteso che anche in questo caso le censure
difensive sono state respinte all’esito di una valutazione specifica e congrua: la sentenza impugnata, invero, giunge ad affermare la esistenza e la operatività del sodalizio camorristico nella provincia riminese ed il ruolo apicale rivestito dall’odierno ricorrente a seguito dell’esame di una serie di dati (tra i quali significativo risulta quello del summit tenutosi presso la Masseria Cardona tra gli esponenti dei diversi clan camorristici operanti nella zona nord-orientale di Napoli, cui partecipava anche un componente del clan COGNOME, al fine di ricomporre gli attriti manifestatisi nel territorio riminese), analiticamente indica alle pagine da 16 a 18, tutti già oggetto della motivazione delle sentenze di primo e secondo grado, rispetto ai quali il difensore avanza solo censure di merito, che sono evidente espressione della non condivisione del percorso logico argomentativo seguito dal giudice di legittimità. Dunque, anche con riferimento a questo profilo si deve all’evidenza escludere qualsivoglia svista o errore percettivo.
All’inammissibilità del ricorso segue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa di grado particolarmente elevato nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della Cassa delle ammende della somma di euro quattromila, così equitativamente fissata.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro quattromila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il giorno 3 aprile 2024.