Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 13544 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 13544 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 04/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a SAN NOME VESUVIANO il 28/09/1978
avverso la sentenza del 22/02/2024 della CORTE DI CASSAZIONE di ROMA
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
lette le conclusioni del Sostituto procuratore generale, NOME COGNOME nel senso dell’inammissibilità del ricorso;
lette le conclusioni della difesa, che insiste nella nei motivi di ricorso;
RITENUTO IN FATTO
La Terza Sezione della Suprema Corte, con sentenza n. 21661 del 22/02/2024, ha rigettato il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME avverso la sentenza con la quale la Corte d’appello di Napoli, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha confermato la responsabilità dello stesso per reati .in materia di stupefacenti e di trasferimento fraudolento e possesso ingiustificato di valori.
1.1. Per quanto rileva nel presente giudizio, la Suprema Corte ha ritenuto, rispettivamente, infondato e inammissibile i motivi primo e secondo del ricorso proposto da NOME COGNOME
1.2. Con il primo motivo il ricorrente aveva eccepito l’illegittimit dell’acquisizione del codice IMEI dell’utenza telefonica attribuitagli a causa dell’utilizzo, in assenza di qualsiasi autorizzazione del giudice, di un sistema di identificazione di codici IMEI (IMEI catcher). Al fine di superare il diverso approdo interpretativo raggiunto dalla Suprema Corte, nel medesimo procedimento penale ma con riferimento a provvedimento cautelare (Sez. 4, n. 41385 del 12/06/2018, COGNOME, Rv. 27392 – 01), la difesa aveva argomentato dalla sentenza della Corte EDU del 24 aprile 2018 nel caso RAGIONE_SOCIALE (ricorso n. 62357/14), successiva alla citata sentenza di legittimità e avente a oggetto l’acquisizione dell’indirizzo IP.
1.3. Con il secondo motivo era stata dedotta l’inutilizzabilità delle intercettazioni eseguite in forza dei decreti nn. 475/16, 567/16, 586/16 e 605/16 in quanto fondar<ti sull'unico dato costituito dalla conversazione intercettata presso l'abitazione di NOME COGNOME, nel corso della quale gli interlocutori avevano fatto riferimento alla disponibilità da parte di «NOME COGNOME» di 150 kg di merce. Dalla trascrizione di tale conversazione sarebbe in realtà emerso in sede dibattimentale che il detentore di «centocinquanta cosi a terra» non fosse il suddetto NOME (ritenuto essere NOME COGNOME) bensì tale «Panzalone», contrariamente a quanto affermato dalla polizia giudiziaria sulla base di registrazioni difficilmente comprensibili a causa dei rumori di fondo. Ne sarebbe conseguita l'assenza di supporto giustificativo dei decreti autorizzativi e, con essa, l'inutilizzabilità dei relativi esiti. Era stata altresì dedotta l'erro dell'affermazione contenuta nella sentenza d'appello secondo cui la circostanza della disponibilità di «centocinquanta cosi a terra» da parte del suddetto «Panzalone» avrebbe comunque consentito di dare avvio alle operazioni di intercettazione nei confronti di COGNOME, allo scopo di accertare l'identità dei detentori della sostanza stupefacente. Per la difesa i detti elementi non sarebbero stati indizianti e quindi tali da consentire di disporre le intercettazioni.
Avverso la detta sentenza di legittimità, nell'interesse di NOME COGNOME è stato proposto ricorso straordinario ex art. 625-bis cod. proc. pen. fondato su due motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione (ex art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.), deducenti errori di fatto.
2.1. Con il primo motivo si prospetta l'errore percettivo nel quale sarebbe incorso il Giudice di legittimità per l'«equivoco rilevante» consistente nell'aver ritenuto che l'indirizzo dinamico IP sia tale da rivelare anche l'identit dell'utilizzatore del computer mentre il codice IMEI identifica rgu solo un determinato apparecchio telefonico.
Si tratterebbe di percezione illogica e decisiva.
L'illogicità emergerebbe dalla mera relazione tra essa e altra affermazione contenuta nell'ultimo capoverso di pag. 23 della sentenza rescindente, laddove si preciserebbe che anche per l'indirizzo IP necessiti un esame dei dati di connessione dell'abbonato per l'identificazione dell'utilizzatore. L'errore percettivo sarebbe stato altresì decisivo ai fini del giudizio circa l'infondatezza de primo motivo di ricorso, deducente l'illegittima acquisizione del codice IMEI. Il rigetto sarebbe stato difatti motivato in applicazione di principio già sancito da Sez. 4, n. 41385 del 12/06/2018, COGNOME, Rv. 27392 – 01 e ritenuto, dalla sentenza oggetto di ricorso straordinario, non superato, proprio in ragione della differenza tra codice IMEI e indirizzo IP, nonostante la successiva sentenza della Corte EDU del 24 aprile 2018 nel caso RAGIONE_SOCIALE Slovenia (ricorso n. 62357/14) avente ad oggetto l'acquisizione dell'indirizzo IP.
2.2. Con il secondo motivo si prospetta l'errore percettivo nel quale sarebbe incorsa la Suprema Corte nell'aver valutato inammissibile il secondo motivo di ricorso, deducente l'inutilizzabilità delle intercettazioni eseguite in forza d decreti nn. 475/16, 567/16, 586/16 e 605/16 per l'insussistenza degli indizi di reità a fondamento degli stessi decreti.
La Corte di cassazione avrebbe ritenuto non manifestamente illogica la motivazione della sentenza d'appello sul punto senza però rappresentarsi l'esistenza di un dato processuale, oggetto di motivi nuovi e in quella sede allegato ma non menzionato dalla Suprema Corte. Il riferimento è all'ordinanza (allegata al ricorso straordinario ex art. 625-bis cod. proc. pen.) di rigett dell'istanza difensiva di procedere, ex art. 603 cod. proc. pen., a nuova perizia dell'ambientale posta a fondamento dei decreti autorizzativi. La percezione della detta ordinanza, a dire del ricorrente, avrebbe condotto la Suprema Corte a ritenere «contraddittoria ed illogica» la motivazione resa dalla Corte d'appello. In essa si farebbe riferimento non ad una contraddittorietà tra i vari elaborati resi
dai tecnici ma solo a una loro complementarietà mentre in sentenza si sarebbe smentito tale dato, evidenziando l'assenza di «Panzalone» nel seguito delle indagini.
Le parti hanno concluso per iscritto nei termini di cui in epigrafe.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il ricorso è inammissibile.
Deve premettersi, in estrema sintesi e nei limiti di quanto di rilievo, che l'errore di fatto verificatosi nel giudizio di legittimità, oggetto del rimedio previ dall'art. 625-bis cod. proc. pen., consiste in un errore percettivo causato da una svista o da un equivoco in cui la Corte di cassazione sia incorsa nella lettura degli atti interni al giudizio stesso, connotato dall'influenza esercitata sul processo formativo della volontà, viziato dall'inesatta percezione delle risultanze processuali, e tale da aver condotto a una decisione diversa da quella che sarebbe stata adottata senza di esso (Sez. U, n. 16103 del 27/03/2002, COGNOME, Rv. 221280-01, nonché, ex plurimis: Sez. 4, n. 27772 del 04/05/2023, B.; Sez. 1, n. 23225 del 21/01/2021, COGNOME; Sez. 5, n. 29240 del 01/06/2018, COGNOME, Rv. 273193-01).
Chiarito quanto innanzi, il primo motivo si mostra inammissibile, in parte, per manifesta infondatezza e, in parte, per genericità, al netto dell'inammissibile deduzione di una illogicità motivazionale con ricorso straordinario di cui all'art. 625-bis cod. proc. pen.
3.1. Quanto alla manifesta infondatezza, occorre evidenziare che la doglianza, in luogo del prospettato errore di fatto, sostanzialmente si appunta su una valutazione della Suprema Corte, circa la legittimità dell'acquisizione del codice IMEI in assenza di autorizzazione da parte di un giudice, e non su un equivoco, ancorché prospettato come esistente dal ricorrente con riferimento all'apparato motivazionale di cui alle pagine 21-24.
Come evidenziato al precedente paragrafo 2.2. del «Ritenuto in fatto», il ricorrente aveva eccepito l'illegittimità dell'acquisizione del codice IMEI dell'utenza telefonica attribuitagli a causa dell'utilizzo, in assenza di qualsias autorizzazione del giudice, di un sistema di identificazione di codici IMEI (IMEI catcher). Al fine di superare il diverso approdo interpretativo raggiunto dalla Suprema Corte, nel medesimo procedimento penale ma con riferimento a provvedimento cautelare (Sez. 4, n. 41385 del 12/06/2018, COGNOME Rv. 27392 –
01), la difesa aveva argomentato dalla sentenza della Corte EDU del 24 aprile 2018 nel caso RAGIONE_SOCIALE (ricorso n. 62357/14), successiva alla citata sentenza di legittimità ma avente a oggetto l'acquisizione dell'indirizzo IP.
La sentenza oggetto di ricorso straordinario muove da un'osservazione, non oggetto del denunciato equivoco, per cui il codice IMEI identifica univocamente un terminale mobile in quanto, salvato nella relativa memoria non volatile viene trasmesso alla rete dell'operatore all'avvio di ogni chiamata. Identificando l'apparecchio e non l'utilizzatore, prosegue la Suprema Corte sul punto, l'IMEI consente, una volta disposte le intercettazioni di conversazioni e comunicazioni svolte utilizzando l'apparecchio identificato, di eseguire le captazioni indipendentemente dall'utente, anche qualora questi utilizzi diverse schede SIM sul medesimo telefono. Non attenendo l'acquisizione del codice IMEI a conversazioni o comunicazioni ma solo all'apparecchio utilizzato per effettuarle, la Suprema Corte ha concluso nel senso della non necessità dell'autorizzazione giudiziale, invece necessaria per l'intercettazione di comunicazioni e conversazioni telefoniche, facendo proprio il principio di diritto sancito dalla citat Sez. 4, n. 41385 del 2018.
Sollecitata sul punto, la sentenza alla quale si attribuisce l'errore percettivo, all'esito del percorso valutativo di seguito sintetizzato, ha confermato il principio di cui innanzi anche alla luce della successiva sentenza della Corte EDU del 24 aprile 2018 nel caso COGNOME c. Slovenia (ricorso n. 62357/14). Quest'ultima, come chiarito dalla Suprema Corte, ha riscontrato la violazione dell'art. 8 CEDU non in ragione dell'acquisizione da parte della polizia giudiziaria di un codice identificativo di un apparecchio (il codice IMEI), quale attività solo prodromica all'eventuale acquisizione di dati, bensì quale frutto dell'acquisizione di una quantità di dati relativi alle attività on-line del soggetto, in assenza di s consento e di supervisione indipendente. Trattasi di dati collegati all'indirizzo indirizzo IP dinamico del soggetto, attraverso il quale è dunque possibile risalire ai dati del traffico telefonico o in rete. Nell'affermare la sussistenza di ta violazione, la Corte EDU, e non la sentenza di legittimità rescindente, come emerge dalla pronuncia oggetto di ricorso straordinario, ha spiegato che per ottenere il nome e l'indirizzo dell'abbonato tramite l'indirizzo IP dinamico, essendo esso assegnato temporaneamente a un dispositivo quando si connette a internet, occorre necessariamente esaminare i dati di connessione pertinenti all'abbonato medesimo.
Sicché la Suprema Corte, proprio muovendo dalle ragioni sottese alla decisione della Corte EDU posta a sostegno delle doglianze del ricorrente, ha confermato il principio di diritto già sancito dallo stesso Giudice di legittimi all'esito del percorso valutativo, pertanto insindacabile in questa sede, per cui:
l'acquisizione del codice IMEI non necessita di autorizzazione in quanto non comporta anche l'acquisizione dei dati relativi a comunicazioni o conversazioni o a traffico informatico, laddove l'acquisizione dell'indirizzo IP, come chiarito dalla Corte EDU, necessita dell'esame dei dati di connessione pertinenti all'abbonato.
3.2. La censura è altresì generica laddove, al fine di esplicitare l'errore percettivo, argomenta dalle emergenze della Convenzione sul Cybercrime senza individuare il dato fattuale denunciato come «smarrito» dalla Suprema Corte.
Il riferimento è all'ultimo capoverso della quinta pagina del ricorso, ove si legge quanto segue. «La valenza del numero IMEI è parificabile a quella dell'indirizzo IP: la stessa Convenzione sul Cybercrime, al §30 del rapporto Esplicativo, parifica il numero di telefono al numero IP, considerati entrambi strumenti similari per l'indicazione di un apparecchio di comunicazione; cosicché al numero IMEI si estendono i principi contenuti nella citata sentenza europea, trattandosi di codice idoneo ad identificare l'appartenenza di un apparecchio di comunicazione e che, dunque, va considerato dato personale; la cui acquisizione costituisce intromissione nella sfera di riservatezza del cittadino tutela[ta dall'art. 8 della Convenzione EDU».
Si deduce l'errore percettivo, per aver ritenuto la Suprema Corte codice IMEI e indirizzo IP differenti tra loro quanto a identificazione dell'interlocutor facendo specifico riferimento alla citata Convenzione sul Cybercrime. Essa però, sempre per quanto prospettato dal ricorrente, considererebbe codice e indirizzo strumenti solo «similari», peraltro quanto all'identificazione (non dell'interlocutore ma) di un «apparecchio di comunicazione». La difesa finisce dunque con il porre a fondamento della doglianza l'assunto per cui il codice IMEI identificherebbe l'«apparecchio di comunicazione», come avrebbe sostenuto la sentenza a cui si attribuisce l'errore percettivo, per poi concludere nel senso per cui esso, «dunque, va considerato dato personale».
Orbene, il ricorrente, con l'evidenziato percorso logico, come appena evidenziato, non individua con certezza il dato fattuale oggetto di erronea percezione da parte della Suprema Corte ma si limita alla sua mera indicazione: l'asserita non differenza tra codice IMEI e indirizzo IP ai fini dell'individuazion dell'interlocutore.
Plurimi sono i profili d'inammissibilità caratterizzanti il secondo motivo di ricorso.
4.1. Con esso si prospetta l'errore percettivo nel quale sarebbe incorsa la Suprema Corte nell'aver valutato inammissibile il secondo motivo di ricorso, deducente l'inutilizzabilità delle intercettazioni eseguite in forza di taluni decr per l'insussistenza degli indizi di reità a fondamento degli stessi. L'errore è
individuato dal ricorrente nella mancata rappresentazione del dato processuale, che invece la difesa avrebbe evidenziato in sede di motivi nuovi, e in quella sede allegato, ma che non sarebbe stato menzionato dalla Suprema Corte: l'ordinanza di rigetto dell'istanza difensiva di procedere, ex art. 603 cod. proc. pen., a nuova perizia dell'ambientale posta a fondamento dei decreti autorizzativi (allegata all'attuale ricorso).
4.2. Orbene, la censura è in primo luogo manifestamente infondata, al netto della sua inammissibilità per aspecificità dovuta al riferimento alla proposizione di motivi nuovi senza indicazione alcuna della data del relativo deposito e della loro consistenza.
Dalla motivazione della sentenza oggetto di ricorso straordinario (pag. 19), con la quale il ricorrente non confronta il suo dire, emerge che la Suprema Corte, dopo aver esplicitato tutti i motivi di ricorso (compreso quindi anche il secondo), ha evidenziato l'intervenuto deposito di una memoria della difesa. Trattasi dunque di memoria considerata dal Giudice di legittimità ancorché intesa non alla stregua di motivi aggiunti, con la quale la difesa stessa ha ulteriormente sottolineato l'inutilizzabilità delle intercettazioni eseguite in ragione dei suddet decreti autorizzativi.
Dalla considerazione della memoria ne consegue la manifesta insussistenza dell'errore percettivo in quanto dedotto in termini di mancata rappresentazione di un dato processuale (l'ordinanza di rigetto dell'istanza ex art. 603 cod. proc. pen.) che lo stesso ricorrente afferma di aver sottoposto alla valutazione della Suprema Corte con la detta memoria.
4.3. L'invocato errore percettivo, come detto, insussistente, qualora fosse stato riscontrato non avrebbe assunto nell'economia della motivazione decisività, in quanto non avrebbe comunque condotto a una decisione diversa dall'inammissibilità della doglianza di cui al secondo motivo di ricorso.
Il ricorrente, difatti, si limita a un mero generico riferimento alla decisivi evidenziando che la Suprema Corte, qualora non fosse incorsa nell'errore percettivo, sarebbe giunta, a suo dire, a ritenere contraddittoria e illogica la motivazione della Corte territoriale in punto di rigetto della dedotta ìnutilizzabilit delle intercettazioni per l'assenza di motivazione dei relativi decreti in merito ai sottesi indizi di reato.
Pur prescindendo dall'inammissibilità in questa sede del profilo di censura che deduce una illogicità manifesta, la doglianza, nella parte in cui si mostra effettivamente intellegibile, non considera le ulteriori e autonome rationes fondanti la ritenuta inammissibilità del secondo' motivo di ricorso, con conseguenti non decisività del prospettato errore di fatto e carenza d'interesse attuale e concreto sul punto (per i detti profili di carenza di decisività
d'interesse, nel caso di ricorso straordinario per errore di fatto inerente a una sola della rationes autonomamente fondanti la decisione di legittimità, si veda Sez. 4, n. 10412 del 18/01/2023, Piccoli, in motivazione).
Come emerge dalla sentenza in oggetto (pag. 19 e ss. e 24 e s.), invero evidenziato anche alla settima pagina del ricorso, la Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il secondo motivo di ricorso non solo in ragione dell'assenza di vizi motivazionali ma anche, e ancor prima, per la natura meramente reiterativa della doglianza, in quanto riproduttiva dei corrispondenti motivi: d'kpélilo adeguatamente considerati e motivatamente disattesi (facendo esplicito riferimento, quanto alla detta causa d'inammissibilità, tra le altre, a Sez. 2, n 27816 del 22/03/2019, COGNOME, Rv. 276970 – 01). È stata altresì rilevata, quale ulteriore autonomo profilo d'inammissibilità per aspecificità, la mancata indicazione specifica di quali sarebbero stati i risultati probatori di cui a intercettazioni eseguite in forza dei decreti prospettati come immotivati. Ne è così conseguita anche la ritenuta inammissibilità per l'omessa «prova di resistenza», in ragione dell'assenza di confronto critico con l'apparato motivazionale della sentenza di merito al fine di indicare in maniera specifica non solo l'atto ritenuto affetto dal vizio denunciato ma anche la rilevanza degli elementi probatori desumibili della conversazioni captate e assunte come inutilizzabili (sul punto la sentenza oggetto di ricorso straordinario fa esplici riferimento, tra le altre a Sez. U, n. 23868 del 23/04/2009, COGNOME, Rv. 243416, nonché, tra le più recenti, a Sez. 4, n. 50817 del 14/1272023, COGNOME, Rv. 285533 – 01).
Concludendo, all'inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, ex art. 616 cod. proc. pen., che si ritiene equa valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso nei termini innanzi evidenziati (Corte cost. n. 186/2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Il Co