Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 7253 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 7253 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 14/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a GENOVA il 22/04/1976
avverso l’ordinanza del 24/04/2024 della CORTE DI CASSAZIONE di ROMA udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del PG NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi il ricorso inammissibile.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 24 aprile 2024, la Corte di Cassazione, sezione settima penale, ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto da NOME COGNOME avverso la pronuncia con cui la Corte di appello di Genova, in data 21 marzo 2023, aveva parzialmente riformato la sentenza di condanna pronunciata nei suoi confronti per i delitti di cui agli artt. 110 cod. pert, 216, comma 1, n. 1, 219, comma 2, n. 1 é 223, comma 1 e 2, n. 2 R.D. 267/42 (capo 1, fatto commesso in Savona il 12 giugno 2012), artt. 81, secondo comma, 110 cod. pen. e 8 d.lgs. 74/2000 (capo 2, fatto commesso in Savona fino al 31 agosto 2011) e artt. 110 cod. pen., 216 n. 2 e 223 R.D. 267/42 (capo 4, fatto commesso in Savona il 12 giugno 2012), dichiarando non doversi procedere in ordine al reato di cui al capo
2) perché estinto per intervenuta prescrizione, e, per l’effetto, rideterminando la pena in relazione ai residui fatti di reato.
Repetti, per mezzo del difensore di fiducia nominato procuratore speciale ai sensi dell’art. 122 cod. proc. pen., ricorre, ai sensi dell’art. 625-bis, cod. proc. pen, denunziando errore materiale ed errore di fatto.
2.1. Secondo il ricorrente, la sentenza di cui chiede la correzione ha “suggellato … l’errore meriale macroscopico”, in cui erano già incappati i giudici del merito, di ritenerlo “attore o parte attiva” della vicenda fallimentare oggetto di contestazione, nonostante non abbia mai ricoperto cariche sociali nella compagine societaria fallita, RAGIONE_SOCIALE né sia stato mai socio di tale compagine; egli è stato, peraltro solo formalmente, amministratore unico di altra società collegata, la RAGIONE_SOCIALE la cui procedura fallimentare è stata totalmente svincolata, anche sul piano temporale, da quella relativa alla RAGIONE_SOCIALE
2.2. Lamenta ancora COGNOME che la Corte di cassazione ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso sulla base di due errori di tipo percettivo, rivelatisi decisivi.
2.2.1. La sentenza della settima sezione, nell’esaminare il primo motivo, ha ritenuto la motivazione della Corte di appello in punto di “rinnovazione dell’istruttoria” priva di vizi, congrua e completa, nonostante la prova richiesta dalla difesa – l’esame del curatore fallimentare della RAGIONE_SOCIALE fosse indispensabile ai fini della decisione, stante la riconosciuta assenza di informazioni, specie di natura contabile e finanziaria, sulla RAGIONE_SOCIALE e sui rapporti di quest’ultima con la società quelia fallita nonché con la società RAGIONE_SOCIALE, comunque ritenuti rilevanti ai fini dell’affermazione di responsabilità per i reati contestati. Del tutto insufficiente e fuorviante è stata, infatti, la deposizione dell’ufficiale della Guardia di Finanza COGNOME unica prova che aveva superficialmente tratto il tema rilevante per la difesa.
2.2.2. Nella disamina del secondo motivo di ricorso relativo al giudizio di responsabilità, la sentenza di cui è stata chiesta la correzione ha erroneamente perffiito le risultanze processuali, uniformandosi ai supporti probatori utilizzati dalla Corte di appello, pur fondati su dichiarazioni incomplete, perché provenienti da un soggetto con limitata preparazione tecnica e comunque privo di una visione di insieme (il già citato luogotenente COGNOME, e pur viziati dal fraintendimento e travisamento degli argomenti dedotti dalla difesa. Non sono state, per di più, adeguatamente valorizzate le deposizioni testimoniali concordanti sull’estraneità di COGNOME alla consumazione dei reati.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Occorre preliminarmente ricordare che, per pacifica giurisprudenza di legittimità, l’errore materiale e l’errore di fatto, indicati dall’art. 625 bis cod. pro pen. come motivi di possibile ricorso straordinario avverso provvedimenti della Corte di cassazione, consistono, rispettivamente, il primo, nella mancata rispondenza tra la volontà, correttamente formatasi, e la sua estrinsecazione grafica; il secondo f in una svista o in un equivoco incidenti sugli atti interni al giudizio di legittimità, il cui contenuto viene percepito in modo difforme da quello effettivo. Deve escludersi che nell’area dell’errore di fatto denunziabile con ricorso straordinario possano essere ricondotti gli errori percettivi non inerenti al processo formativo della volontà del giudice di legittimità, perché riferibili alla decisione del giudice di merito, dovendosi questi ultimi far valere – anche se risoltisi in travisamento del fatto – soltanto nelle forme e nei limiti delle impugnazioni ordinarie ovvero con la revisione (Sez. Un, n. 16103 del 27/3/2002, COGNOME, Rv. 221280; Sez. Un., n. 37505 del 14/7/2011, COGNOME, Rv. 250527; Sez. Un., n. 18651 del 26/3/2015, COGNOME, Rv.265248; nello stesso senso, fra le tante, Sez. 4, n. 17178 del 8/4/2015, COGNOME, Rv. 263443; Sez. 5, n. 7469 del 28/11/2013, dep. 2014, Misuraca, Rv. 259531; Sez. 4, n. 15137 del 8/3/2006, COGNOME, Rv. 233963).ye
Esula dall’errore di fatto ogni profilo valutativo, esso coincide con l’errore revocatorio, secondo l’accezione che vede in esso il travisamento degli atti nelle due forme della “invenzione” o della “omissione”, non estensibile al travisamento delle risultanze, in cui sia in tesi incorsa la stessa Corte di Cassazione nella lettura degli atti del suo giudizio. Il cosiddetto “travisamento del fatto”, e cioè il travisamento del significato anziché del significante, non può in nessun caso legittimare il ricorso straordinario ex art. 625 bis cod. proc. pen.., tantomeno quando sia dedotto come vizio della decisione del giudice di merito. E neppure può essere, comunque, dedotto ai sensi dell’art. 625 bis cod. proc. pen., l’errore revocatorio in cui sarebbe incorso il giudice di merito. I criteri di interpretazione dei fatti, dibattuti nel giudizio di legittimità e oggetto di valutazione anche implicita, non possono essere riproposti sotto forma di errori di fatto (Sez. 1, n. 17362 del 15/4/2009, COGNOME, Rv. 244067 e più di recente Sez. 3, n. 14509 del 31/01/2017, Romeo, Rv. 270394 secondo cui il vizio di travisamento della prova della sentenza di appello, che non sia stato dedotto in sede di legittimità, può costituire motivo di successivo ricorso straordinario per errore di fatto, ex art. 625-bis cod. proc. pen., non configurandosi nella decisione della Corte di Cassazione alcuna errata rappresentazione percettiva degli atti).
Tanto premesso, è evidente dalla lettura dello stesso ricorso straordinario come sintetizzato nella parte in fatto, oltre che dalla sentenza impugnata e dagli atti di legittimità, che il ricorrente ipotizza errori del tutto estranei al paradigma dell’art. 625 bis cod. proc. pen.
Non costituisce errore materiale bensì, ove effettivamente esistente, errore di valutazione l’attribuzione all’imputato, peraltro nella ricostruzione fattuale dei giudici del merito, di un ruolo diverso da quello effettivamente disimpegnato nella vicenda fallimentare.
Anche la scelta del giudice di legittimità di disattendere il primo motivo di ricorso relativo alla mancata assunzione di una prova asseritamente decisiva (l’audizione del curatore fallimentare della RAGIONE_SOCIALE) non è frutto di errore percettivo ma, come si legge nella sentenza in verifica, dell’applicazione del pacifico principio di diritto secondo cui «nel giudizio d’appello la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale è istituto eccezionale al quale può farsi ricorso solo quando il giudice ritenga di non poter decidere allo stato degli atti. Al di fuori del caso di prove sopravvenute o scoperte dopo la pronuncia della sentenza di primo grado, le parti non hanno il diritto alla prova che riconoscono loro gli articoli 190 e 495 cod. proc. pen. Fuori di tali ipotesi la mancata assunzione della prova non è mai censurabile in cassazione a norma dell’art. 606 lett. d) cod. proc. pen., bensì solo ai sensi della lettera e) di tale ultimo articolo (Sez. 5, n. 10858 del 21/10/1996, Rv. 207067) … il diniego di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale in appello può essere censurato solo sotto il profilo del vizio di motivazione, la quale, nel caso di specie, è congrua, completa e non manifestamente illogica (vedasi pagg. 12- 14 della sentenza impugnata) ».
Non può in particolare ricondursi alla nozione di errore di fatto alcuno degli “errori” di lettura, comprensione o valutazione degli atti processuali del giudizio di merito, che il ricorrente denunzia ripetendo prospettazioni difensive già esaminate sia in primo che in secondo grado.
Tutte le questioni sulla attendibilità del testimone COGNOME attengono a valutazioni di merito, ampiamente dibattute e motivate per gli aspetti ritenuti logicamente essenziali.
D’altra parte, il travisamento dei significati e del valore probatorio delle dichiarazioni testimoniali non costituisce travisamento del fatto nella sola accezione compatibile con il giudizio di legittimità.
Le prove che si sostengono non considerate dal giudice di merito potrebbero semmai integrare un errore revocatorio di quest’ultimo, ove ne risultasse la decisività, ma non riguardano errori interni al giudizio di legittimità.
All’inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e per i profili di colpa correlati all’irritualità dell’impugnazione (C. cost. n. 186 del 2000) – di una somma in favore della cassa delle ammende nella misura che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in Euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, in Roma 14 gennaio 2025
Il Consigliere estensore COGNOME
Il Presidente