Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 13327 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 13327 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 12/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a CAPUA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 10/02/2023 della CORTE DI CASSAZIONE di ROMA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
sentite le conclusioni del PG, NOME COGNOME, il quale ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza n. 13230 del 10 febbraio 2023, depositata il 29 marzo 2023, la Quinta Sezione Penale della Corte di cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto da NOME COGNOME avverso la sentenza resa dalla Corte di appello di Napoli il 15 luglio 2021 che, per quanto qui rileva, aveva parzialmente riformato la decisione di primo grado, emessa dal Tribunale di Napoli Nord, in forza della quale COGNOME era stato dichiarato responsabile del reato di cui all’art. 416-bis cod. pen., in quanto ritenuto partecipe dell’RAGIONE_SOCIALE, dal febbraio-marzo 2016 al giugno 2017 (capo A), e del reato di estorsione aggravata, fino all’aprile 2017 (capo B), ed era stato condannato alla pena di giustizia. La parziale riforma derivata dalla pronuncia di appello aveva contemplato il riconoscimento all’imputato delle circostanze attenuanti generiche e l’esclusione della circostanza aggravante di cui all’art. 416-bis, sesto comma, con conseguente rideterminazione della pena.
Con ricorso straordinario ex art. 625-bis cod. proc. pen., NOME COGNOME, per il tramite dei suoi difensori, ha chiesto la revoca della sentenza di legittimità formulando due doglianze, unitariamente illustrate.
2.1. Con il primo motivo si prospetta la violazione dell’art. 625-bis cod. proc. pen. in riferimento all’erronea percezione sia della sussistenza della valutazione dei criteri adottati dai giudici di merito in applicazione dell’art. 192, comma 3, cod. proc. pen., sia della ritenuta completezza delle prove esistenti per la configurazione del reato associativo.
2.2. Con il secondo motivo della stessa norma relativamente all’errore percettivo circa la ritenuta completezza delle prove sussistenti per la dimostrazione del reato di cui all’art. 629 cod. pen.
La difesa, premessa la piena consapevolezza dei limiti di prospettazione consentiti con il ricorso straordinario per errore di fatto, ha ritenuto essenziale passare in rassegna gli elementi che hanno caratterizzato la vicenda giudiziaria in esame segnalando che i giudici del merito non hanno annesso mai alcun peso alle dichiarazioni dell’imputato, invece verosimili e coerenti, alle dichiarazioni di NOME COGNOME, persona offesa del secondo reato, e alle prove logiche pure emerse, così dando per accertato il dato – invece smentito dalla perizia disposta in primo grado – che COGNOME avesse, d’accordo con il capoRAGIONE_SOCIALE del tempo, NOME COGNOME, programmato ulteriori estorsioni con l’indicazione di altre vittime.
A fronte di ciò – sottolinea il ricorrente – prima nell’atto di appello, poi n ricorso per cassazione, si era sottolineata l’erronea percezione inerente anzitutto
all’intercettazione n. 62, ma nessuno degli organi giudiziari, compresa la Corte di cassazione, ha omesso di verificare la circostanza probatoria, in effetti da ritenersi assolutamente inventata, relativa all’indicazione da parte dell’imputato di altri imprenditori da sottoporre a estorsione.
Viceversa, avrebbero dovuto porsi al centro dell’analisi i seguenti, incontrastati elementi di fatto: COGNOME, imprenditore quarantaquattrenne incensurato, era stato vittima di estorsione da parte dei RAGIONE_SOCIALE e, soltanto per tentare di uscire dalla morsa dei suoi aguzzini, aveva cercato di assecondarli; egli, mai intercettato, a fronte delle assurde e fra loro contrastanti asserzioni dei collaboratori di giustizia, aveva serbato un comportamento processuale coerente non accedendo al rito abbreviato per dimostrare la sua innocenza e, nel contempo, dando il consenso all’acquisizione nel fascicolo del dibattimento di tutte le informative di polizia giudiziaria, chiedendo la sola trascrizione da parte di un perito della conversazione captata il 27.04.2017, unica in cui si ascoltava la sua voce: ebbene, la lettura della perizia aveva chiarito che le frasi in cui l’imputato avrebbe dato indicazioni riferite ad altri imprenditori erano inesistenti; pertanto i giudici del merito le avevano considerate esistenti inventandole di sana pianta e inducendo così anche la Corte di legittimità a valutare quella intercettazione come elemento di prova.
La difesa si è dedicata alla valutazione della conversazione n. 62 concludendo che l’analisi oggettiva del suo contenuto e l’interpretazione più corretta e plausibile del suo sviluppo avrebbero dovuto escludere che l’atteggiamento di COGNOME fosse mai consistito nel citare al cospetto di COGNOME altri imprenditori, essendosi egli limitato a tenere un contegno accondiscendente nei confronti del suo aguzzino: elementi che non erano stati letti in conformità con i principi fissati dall’elaborazione di legittimità per tale tipo di prova.
Sono state analizzate le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia NOME COGNOME e NOME COGNOME e, poi, si è sottolineato che – contrariamente alle affermazioni dei giudici del merito – esse avrebbero potuto ritenersi convergenti soltanto sul momento incipiente dell’estorsione realizzata in danno di COGNOME, mentre erano per il resto di tenore fra loro divergente e in ogni caso, quanto al reato di estorsione, erano smentite da quanto aveva dichiarato la persona offesa COGNOME, unica voce a cui avrebbe dovuto conferirsi massimo credito; in ogni caso, avrebbe dovuto rilevarsi la mancanza di riscontro alle dichiarazioni dei suddetti collaboratori.
Su questa base, il ricorrente ha dedotto essersi verificata, per un errore di fatto, la mancanza della valutazione adeguata delle prove, con particolare riferimento alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, in relazione ai crit fissati dall’art. 192, comma 3, cod. proc. pen., sicché l’asserzione che, nel
quadro probatorio, erano emersi ulteriori elementi di prova a carico dell’imputato si era risolta, per tali errori conoscitivi, nella negazione della realtà processuale.
Il Procuratore generale ha prospettato la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è stato proposto (con deposito telematico) il 25 settembre 2023, dunque tempestivamente, in relazione al termine per la sua proposizione stabilito dall’ad. 625-bis, comma 2, cod. proc. pen. (centottanta giorni dal deposito del provvedimento, termine d’altronde assoggettato alla disciplina della sospensione nel periodo feriale a norma dell’ad. 1 della legge 7 ottobre 1969, n. 742: Sez. U, n. 32744 del 27/11/2014, dep. 2015, Zangari, Rv. 264047 – 01): invero, la sentenza qui impugnata è stata emessa il 10 febbraio 2023 e la sua pubblicazione, con il deposito della motivazione, è avvenuta il 29 marzo 2023.
Deve poi osservarsi, al fine dell’adeguato scrutinio delle richiamate doglianze, che l’errore di fatto – verificatosi nel giudizio di legittimità e ogget del rimedio previsto dall’ad. 625-bis cod. proc. pen. – consiste in un errore percettivo causato da una svista o da un equivoco in cui la Corte di cassazione sia incorsa nella lettura degli atti interni al giudizio stesso e connotato dall’influenza esercitata sul processo formativo della volontà, viziato dall’inesatta percezione delle risultanze processuali che abbia condotto a una decisione diversa da quella che sarebbe stata adottata senza di esso.
Corollario di tale assunto è che, se la causa dell’errore non sia identificabile esclusivamente in una fuorviata rappresentazione percettiva e la decisione abbia comunque contenuto valutativo, non può configurarsi un errore di fatto, bensì si vede in tema di errore di giudizio e che, nella stessa ottica, sono estranei all’ambito di applicazione dell’istituto gli errori di interpretazione di norm giuridiche, sostanziali o processuali, ovvero la supposta esistenza delle norme stesse o l’attribuzione ad esse di una inesatta portata, anche se dovuti ad ignoranza di indirizzi giurisprudenziali consolidati, nonché gli errori percettivi in cui sia incorso il giudice di merito, dovendosi questi ultimi far valere – anche se risoltisi in travisamento del fatto – soltanto nelle forme e nei limiti del impugnazioni ordinarie (Sez. U, n. 16104 del 27/03/2002, COGNOME, non mass.; Sez. U, n. 16103 del 27/03/2002, COGNOME, Rv. 221280 – 01).
In questa prospettiva le Sezioni Unite hanno avuto cura di rimarcare, sempre in tema di ricorso straordinario, che “qualora la causa dell’errore non sia
identificabile esclusivamente in una fuorviata rappresentazione percettiva e la decisione abbia comunque contenuto valutativo, non è configurabile un errore di fatto, bensì di giudizio, come tale escluso dall’orizzonte del rimedio previsto dall’art. 625-bis cod. proc. pen.” (così Sez. U, n. 18651 del 26/03/2015, COGNOME, Rv. 263686 – 01; cfr. anche Sez. U, n. 37505 del 14/07/2011, COGNOME, Rv. 250527 – 01).
Coerente con tale impostazione è la considerazione in virtù della quale il ricorso straordinario in esame non si reputa ammissibile neanche quando venga dedotto un erroneo vaglio delibativo di aspetti del compendio storico-fattuale, essendo pure in tal caso prospettato un errore non di fatto, bensì di giudizio (cfr. Sez. 6, n. 37243 del 11/07/2014, Diana, Rv. 260817 – 01).
Si inscrive nell’illustrata cornice l’approdo – non irrilevante per lo scrutinio del presente caso – secondo cui l’errore materiale e l’errore di fatto consistono, il primo, nella mancata rispondenza tra la volontà, correttamente formatasi, e la sua estrinsecazione grafica e, il secondo, in una svista o in un equivoco incidenti sugli atti interni al giudizio di legittimità, il cui contenuto viene percepito in mod difforme da quello effettivo, con l’effetto che rimangono estranei all’area dell’errore di fatto – e vanno ritenuti inoppugnabili – anche gli errori d valutazione e di giudizio dovuti a una non corretta interpretazione degli atti del processo di cassazione, assimilabili agli errori di diritto conseguenti all’inesatta ricostruzione del significato delle norme sostanziali e processuali (Sez. 5, n. 29240 del 01/06/2018, Barbato, Rv. 273193 – 01).
Precisato ciò, con riferimento ai due motivi che caratterizzano il ricorso straordinario, va premesso che il riferimento critico, nella seconda doglianza, al reato di cui all’art. 629 cod. pen. non trova riscontro in un motivo di ricorso che la sentenza impugnata dovesse esaminare. Circa le restanti censure, da trattarsi in modo unitario, in consonanza con la prospettazione difensiva, si osserva che, nella motivazione resa dalla Corte di cassazione (Sez. 5, n. 13230 del 10/02/2023), i profili che il ricorrente ascrive a errori di fatto risultano vagli dai giudici di legittimità in modo articolato.
3.1. L’esame della corrispondente motivazione fa emergere che la difesa di COGNOME aveva proposto, in quella sede, ricorso svolgendo due motivi: il primo motivo prospettava, con riferimento al reato di cui all’art. 416-bis cod. pen., la violazione dell’art. 192, comma 3, cod. proc. pen., l’omessa rilevazione delle discordanze nel narrato dei collaboratori di giustizia, nonché la carenza di riscontri, in particolare, alle propalazioni del collaboratore COGNOME; il secondo motivo ineriva alla violazione di legge prospettata con riferimento alla mancata verifica dell’ipotesi del concorso esterno in RAGIONE_SOCIALE mafiosa; poi era stata
prodotta memoria per segnalare che la Corte di cassazione aveva annullato l’ordinanza applicativa della custodia cautelare relativa allo stesso procedimento.
A fronte di questa devoluzione la Corte di cassazione, nella motivazione, ha, quanto al primo motivo, valutato il complesso delle ragioni giustificative esposte nella della decisione di appello e ha ritenuto che l’analisi delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia COGNOME e COGNOME aveva correttamente indotto i giudici del merito a concludere nel senso che esse si riscontrassero reciprocamente sulla parte essenziale delle circostanze rilevanti e fossero anche supportate dalle ammissioni rese dallo stesso COGNOME.
Quanto al secondo motivo, sono stati considerati tutti i richiami delle circostanze di fatto rilevanti che avevano indotto i giudici del merito a ritenere che COGNOME, con la sua condotta, aveva commesso il delitto di partecipazione alla RAGIONE_SOCIALE. Si è analizzata anche la vicenda inerente all’estorsione in danno di COGNOME, vicenda poi non fatta oggetto di specifico motivo di impugnazione in sede di legittimità da parte dell’imputato.
In questo contesto, è stata citata anche la captazione del 27.04.2017 ed è stato svolto un preciso approfondimento per concludere che i giudici del merito non avevano errato a stabilire che, con riferimento alla condotta di partecipazione all’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, non si era trattato di mero concorso esterno nella medesima RAGIONE_SOCIALE.
La motivazione suindicata, valutando la questione posta con la memoria ulteriore, ha compiuto il corrispondente riferimento anche alla ragione per la quale la decisione cautelare in sede di legittimità non poteva reputarsi di ostacolo alla pronuncia di inammissibilità deliberata in quella sede.
3.2. Come si trae dal raffronto fra il contenuto dei motivi di ricorso e l’articolazione delle risposte dalla Corte di legittimità, non può rilevars l’emersione di alcun errore di fatto alla base delle argomentazioni espresse nella corrispondente decisione.
Nella sentenza impugnata risultano, invero, considerate le deduzioni difensive, senza che si sia, da parte della Corte di cassazione, integrato un qualche errore percettivo nella ponderazione, di matrice chiaramente valutativa, dei risultati raggiunti dai giudici del merito nell’apprezzamento del narrato dei collaboratori NOME COGNOME e NOME COGNOME, univocamente interpretato come convergente in merito all’individuazione delle condotte dell’imputato aventi valenza ai fini dell’accertamento della sua concreta partecipazione all’attività dell’RAGIONE_SOCIALE, per il gruppo capeggiato da NOME COGNOME.
La Corte di cassazione ha escluso che questi contributi fossero stati analizzati in modo giuridicamente viziato o logicamente carente da parte dei giudici del merito: questo approdo, compiutamente argomentato, ha natura
N
certamente valutativa, sicché la prospettazione difensiva – concentrandosi nella critica secondo cui la Corte di legittimità avrebbe omesso di cogliere le divergenze fra le due narrazioni e trascurato le altre fonti di prova, quali le dichiarazioni di COGNOME (rispetto al reato di estorsione commesso ai danni del quale COGNOME non aveva comunque articolato motivi di ricorso), alle affermazioni dello stesso imputato e al reale contenuto dell’intercettazione del 27.04.2017 – finisce per proporre la non consentita traslazione al piano percettivo dell’esito giudiziale di natura giuridico-valutativa compiuto nella decisione in esame, dopo che i giudici di legittimità hanno avuto cura di considerare ogni dato probatorio – compreso quello scaturente dalle ammissioni di COGNOME, in esse incluso il contenuto, come incensurabilmente interpretato, della captazione suindicata – e di sottolineare, motivando, che il motivo di ricorso si era addentrato nell’illustrazione rivalutativa dei contributi narrativi de collaboratori e aveva sollecitato l’inammissibile riesame del corrispondente merito.
Del pari e in ogni caso, nella sentenza di legittimità, risulta essere stata compiutamente scrutinata la seconda doglianza del ricorso proposto da COGNOME, con l’analitica spiegazione delle ragioni giuridiche per le quali le argomentazioni e le conclusioni espresse dai giudici di appello circa l’accertamento della partecipazione attiva dell’imputato al suddetto RAGIONE_SOCIALE avevano rinvenuto nella vicenda estorsiva ai danni di NOME COGNOME un rilevante dato, convergente con gli altri elementi, nel senso dell’intraneità dell’imputato al sodalizio.
3.3. Le fonti che il ricorrente assume trascurate erano state, quindi, considerate dai giudici del merito e, nei limiti determinati dall’impugnazione proposta da COGNOME, sono state, poi, tenute in conto, per la corrispondente disamina, in sede di legittimità, con la ragionata presa d’atto della incensurabilità della conseguente conclusione, alla stregua della quale l’imputato – essendo risultato attivamente interessato all’operatività del sodalizio criminale, avendo partecipato direttamente ai reati scopo, avendo preso parte alle riunioni di pianificazione delle corrispondenti condotte, avendo indicato i soggetti da sottoporre a estorsione e la strategia da seguire, essendosi fatto promotore di ulteriori iniziative, così ponendosi su un piano di parità rispetto allo stesso COGNOME, dopo che la vicenda estorsiva ai suoi danni si era conclusa, nonché occupandosi di reperire alloggi per il rifugio dei sodali · – aveva commesso il delitto di partecipazione all’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE.
La sentenza qui impugnata ha fornito, pertanto, risposta non viziata da alcun errore percettivo alle doglianze poste da COGNOME con i due motivi di ricorso, come specificati dalla susseguente memoria, motivi che non riguardavano direttamente l’accertamento del reato di estorsione ai danni di
COGNOME (sicché la deduzione di errore percettivo inerente alla dequotazione delle dichiarazioni di tale persona offesa rinviene ulteriore ostacolo logico nel corrispondente rilievo).
La coordinata analisi dei richiamati argomenti è stata posta dalla Corte di cassazione alla base dell’affermazione secondo cui i giudici del merito avevano ritenuto pienamente accertata – in modo adeguato, senza obliterare alcuna fonte di prova, ivi inclusa quella di matrice captativa, ed esente da vizi logici – pure l’imputazione a carico dell’imputato della sua partecipazione al RAGIONE_SOCIALE.
3.4. Il rilievo dell’articolata opzione valutativa compiuta nella sentenza qui impugnata del controllo del percorso argomentativo esposto sui temi indicati dalla Corte di appello comporta anche il rilievo che – in rapporto alla motivazione resa – gli errori denunciati in ogni caso atterrebbero alle valutazioni giuridiche espresse, valutazioni rispetto a cui non sono emerse carenze percettive.
E si è già chiarito che, se la causa del dedotto errore non sia identificabile esclusivamente in una fuorviata rappresentazione percettiva e la decisione abbia comunque contenuto valutativo, non può configurarsi l’errore di fatto azionabile ex art. 625-bis cod. proc. pen.: si verterà, nei congrui casi, in tema di errore di giudizio o di errore di interpretazione di norme giuridiche, sostanziali o processuali, errori irrilevanti nell’alveo che qui interessa.
Posto, quindi, che l’ambito delle complessive censure articolate in questo procedimento si rivela diretto a sindacare le scelte di natura valutativa assunte, dopo l’esame degli elementi addotti, senza disguidi percettivi e sulla scorta dei principi giuridici pure esposti, dalla Corte di cassazione nella sentenza impugnata, deve ribadirsi che – anche ove si volesse, in via di ipotesi, dissentire da tali opzioni – si dovrebbe comunque obiettare che non è ammissibile il ricorso straordinario per errore di fatto quando l’errore attribuito alla Corte di cassazione abbia natura valutativa e si innesti su un sostrato fattuale correttamente percepito (Sez. 6, n. 28424 del 23/06/2022, COGNOME, Rv. 283667 – 01).
In definitiva, le complessive doglianze connotanti il ricorso collocano la richiesta fra quelle che, ai sensi dell’art. 625-bis, comma 4, cod. proc. pen., non sono idonee a superare il vaglio di ammissibilità.
Tale approdo determina l’inammissibilità del mezzo, a cui segue, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e – per i profili di colpa correlati all’irritualità dell’impugnazione (Corte cost., sent. n. 186 del 2000) – di una somma alla Cassa delle ammende in misura che, per il contenuto dei motivi dedotti, si fissa equamente in euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento dell spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa del ammende.
Così deciso il 12 gennaio 2024
Il Consialiere estensore
Il Presidente