Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 25184 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 25184 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 23/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a CINQUEFRONDI il 25/10/1988
avverso la sentenza del 16/12/2023 della CORTE DI CASSAZIONE di ROMA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale, COGNOME il quale ha chiesto pronunciarsi l’inammissibilità del ricorso.
Ritenuto in fatto
È oggetto di ricorso straordinario la sentenza n. 23937 del 16 dicembre 2024, con cui la Prima sezione di questa Corte dichiarava inammissibile il quarto motivo di ricorso proposto da NOME COGNOME avverso la sentenza della Corte d’appello di Reggio Calabria del 7 ottobre 2022. Il quarto motivo di ricorso aveva a oggetto la violazione del principio di specialità, di cui agli artt. 699 e 721 del codice di rito e 26 della legge n.69 del 22 aprile 2005, con riferimento al concorso nei reati-fine di cui ai capi 38 (artt. 73 e 80 D.P.R. n.309/1990), 49 (artt. 73 e 80 D.P.R. n.309/1990) e 50 dell’imputazione (relativi all’art. 73 del citato D.P. R). In quella sede, l’imputato – raggiunto da M.a.e. del 6 marzo 2019 in ordine ai reati di cui agli artt.56, 61 bis, 81, 110, 416 bis cod. pen., e 73, 74 e 80 del D.P.R. 309 del 1990, contestati dal “settembre 2017 al 10 febbraio 2018” – deduceva 1) di non aver rinunciato al principio di specialità 2) l’antecedenza temporale dei reatifine, contestati ai capi 38, 49 e 50 dell’imputazione, rispetto alla sua consegna allo Stato italiano 3) la conseguente mancanza di procedibilità in relazione ai suddetti reati-fine. Rimarcava, in particolare, che il reato-fine di cui al capo 38 della rubrica risultava consumato nel giugno 2018, con ultimo esito captativo risalente al 31 marzo 2018.
La Prima sezione annullava con rinvio la sentenza impugnata con riferimento al solo capo 49 dell’imputazione e confermava, nel resto, la condanna per i reati di cui ai capi 38 (escludendo soltanto l’aggravante di cui all’art. 416 bis.1, cod. pen.) e SO della rubrica.
Avverso la citata sentenza della Prima sezione di questa Corte, ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, per il tramite del proprio difensore, Avv. NOME COGNOME affidando le proprie censure ad un unico motivo, di seguito enunciato nei limiti richiesti dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen., con cui si duole di violazione di legge, con riferimento all’art. 625 bis cod. proc. pen.
L’errore di fatto, in cui sarebbe incorsa la Prima sezione, consiste 1) nell’aver ritenuto non allegato al ricorso il M.a.e., invece ritualmente allegato all’originario ricorso, unitamente alla dichiarazione di non rinuncia al principio di specialità, sottoscritta dal ricorrente; 2) nell’aver ritenuto inedita la questione del tempus commissi delicti, con riferimento al reato-fine di cui all’art. 38 della rubrica (relativo al concorso nell’importazione di ingente quantitativo di sostanza stupefacente proveniente dai paesi dell’America Latina); la Prima sezione sosteneva che, involgendo profili di fatto, detto profilo avrebbe dovuto essere sottoposto al giudice di merito 3) nel non aver colto che l’eccezione difensiva comprendeva altresì il riferimento ai reati-fine di cui ai capi 49 e 50 della rubrica, anch’essi commessi in data successiva a quelli indicati dal M.a.e.
Il profilo del tempo del commesso reato – osserva il ricorrente con riferimento al capo 38) dell’imputazione- era stato invece puntualmente evidenziato nei “motivi di ricorso”, dove si chiariva che il delitto in parola risultava consumato il 2 giugno 2018, come specificato a p. 800 della citata sentenza della Corte d’appello di Reggio Calabria. Tale data era successiva rispetto al tempo del reato indicato nel M.a.e.; di qui, secondo la difesa, la fondatezza della censura di violazione del principio di specialità.
È pervenuta requisitoria scritta del Sostituto Procuratore generale, COGNOME il quale ha chiesto pronunciarsi l’inammissibilità del ricorso.
Considerato in diritto
Il ricorso è infondato e deve, pertanto, essere rigettato.
Benché la difesa lamenti fondatamente di aver allegato all’originario ricorso per cassazione il mandato d’arresto europeo, nonché la dichiarazione, da parte del ricorrente, di non rinunciare al principio di specialità, che risultano infatti agli atti, deve rilevarsi che tale errore percettivo, in cui pure è incorsa la Prima sezione di questa Corte, non rileva ai sensi dell’art. 625 bis cod. proc. pen. Dalla lettura della sentenza impugnata risulta, infatti, evidente che la decisione del giudice di legittimità non sarebbe stata diversa, se fosse stato esaminato il mandato d’arresto europeo in parola (cfr. Sez. 5, n. 46806 del 03/11/2021, COGNOME, Rv. 282384 – 01; v. anche Sez. U, n. 37505 del 14/07/2011, COGNOME, Rv. 250527 01: in tema di ricorso straordinario, qualora la causa dell’errore non sia identificabile esclusivamente in una fuorviata rappresentazione percettiva e la decisione abbia comunque contenuto valutativo, non è configurabile un errore di fatto, bensì di giudizio, come tale escluso dall’orizzonte del rimedio previsto dall’art. 625-bis cod. proc. pen.), come si procede a illustrare.
Come osservato dalla Prima sezione nella sentenza impugnata in questa sede, l’allora ricorrente sottoponeva alla Cassazione, con il quarto motivo dell’originario ricorso, una doglianza versata in fatto – relativa al tempus commissi delicti del delitto di cui al capo 38 della rubrica – che, in quanto tale, avrebbe dovuto essere devoluta al giudice dell’appello. Con tale ratio decidendi, in cui il motivo era correttamente ritenuto inammissibile in quanto aspecifico, la difesa non si confronta, limitandosi a sostenere, in questa sede, che il tempo di consumazione del reato di cui al capo 38 fosse comunque estrapolabile dalla motivazione della sentenza impugnata (Corte d’appello di Reggio Calabria del 2022) con il primo ricorso per Cassazione.
Ora, anche rispetto a tale obiezione, il motivo in esame si dimostra infondato, posto che l’assunto difensivo – per il quale il reato di cui al capo 38 doveva ritenersi consumato in data il 2 giugno 2018, giorno dell’arrivo del carico di cocaina – non considera l’elaborazione giurisprudenziale, puntualmente evidenziata dalla Prima sezione (si vedano, in particolare, le pp. 136-137 della gravata sentenza), sul tema del momento consumativo del delitto di importazione di sostanze stupefacenti. Anche a voler muovere dagli esiti più rigorosi della giurisprudenza – ha osservato la Prima sezione – deve comunque ribadirsi che «ai fini della consumazione del delitto di importazione di sostanze stupefacenti, che consiste nell’attività di immissione nel territorio nazionale di sostanze provenienti da altri Stati, non è sufficiente la mera conclusione dell’accordo tra acquirente e venditore finalizzato all’importazione dello stupefacente, sussistendo la quale si configurerebbe la condotta di detenzione, ma è necessaria l’assunzione da parte dell’importatore della gestione dell’attività volta all’effettivo trasferimento dello stupefacente nel territorio nazionale ( (Sez. 6, n. 40044 del 29/09/2022, COGNOME, Rv. 283942 – 01; Sez. 6, n. 9854 del 14/02/2024, COGNOME, Rv. 286165 – 01).
Ebbene, anche a voler muovere unicamente da tale principio, e prescindendo da orientamenti in parte difformi (v., ad es., Sez. 4, n. 38368 del 04/07/2023, COGNOME, Rv. 284960 – 01: «il delitto di importazione di sostanze stupefacenti si perfeziona con la conclusione dell’accordo delle parti sull’oggetto e sulle condizioni di vendita della sostanza -quantità, qualità e prezzo-, senza che sia necessario che ne segua la consegna all’acquirente»), deve evidenziarsi come, nel caso di specie, la «necessaria assunzione da parte dell’importatore della gestione dell’attività volta all’effettivo trasferimento dello stupefacente nel territorio nazionale» non coincida affatto, come preteso dal ricorrente, con l’arrivo del carico di stupefacente nel porto di Anversa, il 2 giugno 2018.
Invero, la più rigorosa giurisprudenza già citata (Rv. 283942 – 01, COGNOME), ha chiarito che le condotte che si collocano in una fase antecedente il conseguimento, anche all’estero, della disponibilità della sostanza possono configurare un tentativo punibile di importazione nel caso in cui siano connotate da serietà e affidabilità e risultino univoche e idonee a determinare l’introduzione dello stupefacente nel territorio nazionale.
Ora, la Prima sezione, nel valutare la decisione della Corte d’appello di Reggio Calabria del 2022, aveva puntualmente accertato la corretta valorizzazione, da parte della Corte territoriale, degli esiti captativi (v. p. 137 della gravata sentenza), da cui emergeva come l’attività finalizzata al trasferimento dello stupefacente nel territorio nazionale trovasse il suo antecedente logico-temporale nell’assunzione, da parte dell’importatore (il ricorrente), della gestione della complessiva attività volta all’importazione; sicché, in definitiva, l’arrivo del carico di stupefacente nel
porto di Anversa, come evidenziato dalla Prima sezione, rappresentava l’epilogo di tale pregressa attività organizzativa.
Con tali rilievi, come già anticipato, la difesa evita di confrontarsi in maniera critica ed effettiva, ciò che rende infondata la doglianza in esame.
2. Al rigetto del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 23/05/2025
Il consigliere estensore