Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 2786 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 2786 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 15/12/2023
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza emessa in data 2 dicembre 2022, e depositata il 20 gennaio 2023, la Corte di cassazione, Sezione Quarta penale, ha dichiarato inammissibile il ricorso di NOME COGNOME avverso la sentenza del 15 marzo 2022 della Corte d’appello di Reggio Calabria, che aveva confermato la dichiarazione di penale responsabilità del medesimo per i reati di omicidio stradale e di lesioni personali
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stradali gravi, in particolare escludendo l’applicabilità dell’attenuante del concorso della vittima nella causazione dell’evento mortale, di cui all’art. 589-bis, settimo comma, cod. pen.
Ha presentato ricorso straordinario ex art. 625-bis cod. proc. pen. avverso la sentenza indicata in epigrafe NOME COGNOME con atto sottoscritto dall’AVV_NOTAIO, munito di procura speciale, articolando un unico motivo.
Con il motivo, si denuncia l’errore di fatto della sentenza impugnata per avere la stessa dichiarato inammissibile il motivo di ricorso in ordine all’applicazione dell’attenuante di cui all’art. 589-bis, settimo comma, cod. pen., sul presupposto che la questione del mancato utilizzo delle cinture di sicurezza da parte della vittima deceduta non era stata sollevata nei motivi di appello.
Si deduce che la questione del mancato utilizzo delle cinture di sicurezza da parte della vittima deceduta è stata proposta con i motivi di appello ed è stata valutata dalla Corte di appello, e che, quindi, la sentenza della Corte di cassazione impugnata è incorsa in un errore percettivo laddove ha affermato il contrario. Si segnala che l’errore ha influito sul contenuto della decisione impugnata, perché come rilevato anche dalla stessa, la sentenza di appello ha affermato che l’istruttoria non ha consentito di accertare se vittima avesse o meno indossato le cinture di sicurezza, e questo dubbio avrebbe dovuto comportare il riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 589-bis, settimo comma, cod. pen.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato per le ragioni di seguito precisate.
In considerazione delle censure formulate, è utile innanzitutto richiamare i principi applicabili in tema di rapporti tra mancato esame di un motivo di ricorso per cassazione e ricorso straordinario per errore di fatto.
Secondo il consolidato avviso della giurisprudenza, condiviso dal Collegio, il mancato esame, da parte della Corte di cassazione, di un motivo di doglianza non comporta di per sé l’accoglimento del ricorso straordinario proposto a norma dell’art. 625-bis cod. proc. pen., perché questo esito processuale è possibile solo ove si accerti che la decisione del giudice di legittimità sarebbe stata diversa se fosse stato vagliato il motivo di censura dedotto (così Sez. U, n. 16103 del 27/03/2002, Basile, Rv. 221283-01, nonché: Sez. 2, n. 53657 del 17/11/2016, Macrì, Rv. 268982-01; Sez. 6, n. 14296 del 20/03/2014, Apicella, Rv. 259503-01; Sez. 1, n. 15422 del 10/02/2018, Cillari, Rv. 247236-01).
Le Sezioni Unite, in particolare, hanno specificamente osservato: «la sola possibilità di qualificare la predetta svista come errore di fatto non può giustificare di per sé, l’accoglimento del ricorso straordinario ex art. 625-bis c.p.p. i mancanza di una situazione in cui non sia verificabile un rapporto di derivazione causale necessaria della decisione adottata dall’omesso esame del motivo di ricorso, nel senso che il risultato della deliberazione della Corte di Cassazione non sarebbe cambiato, anche se fosse stata sottoposta a vaglio la censura dedotta dal ricorrente. La soluzione è imposta dall’inderogabile carattere decisivo dell’errore di fatto, dovendo questo necessariamente tradursi, per legittimare il ricorso straordinario, nell’erronea supposizione di un fatto realmente influente sull’esito del processo, con conseguente incidenza effettiva sul contenuto del provvedimento col quale si è concluso il giudizio di legittimità. Pertanto, dalla decisività dell’err di fatto deve trarsi il corollario che l’errore stesso resta irrilevante, agli effetti disposizione di cui all’art. 625-bis, qualora i motivi di ricorso risultino infond ovvero inconferenti rispetto al tema di indagine o non dedotti con l’appello. E, con particolare riferimento all’annesso esame di motivi infondati, in modo manifesto o non, è opportuno sottolineare che l’esclusione del ricorso straordinario trova convincente base giustificativa non solo nell’indicato principio di decisività dell’errore, ma anche in evidenti esigenze di economia processuale e nella irragionevolezza di una conclusione interpretativa, che, in caso di mancato esame di motivi privi di fondatezza, rendesse necessaria la rescissione della precedente decisione del giudice di legittimità e la sostituzione della stessa con una nuova decisione di contenuto perfettamente identico» (cfr. Sez. U, Basile, cit., in motivazione, § 8).
Per verificare se vi sia stata omessa risposta alla censura formulata con il ricorso in tema di diniego dell’attenuante di cui all’art. 589-bis, settimo comma, cod. pen., come denunciato nel ricorso straordinario in esame, poi, è utile richiamare il contenuto: a) della sentenza impugnata in questa sede; b) della sentenza impugnata con l’originario ricorso; c) dell’originario ricorso.
3.1. La sentenza impugnata, Sez. 4, n. 2300 del 02/12/2022, dep. 2023, COGNOME, ha osservato che il motivo di ricorso in ordine al quale si assume essere avvenuto l’errore materiale, concernente la mancata concessione dell’attenuante di cui all’art. 589-bis, settimo comma, cod. pen., fondato sul mancato utilizzo delle cinture di sicurezza da parte del deceduto, non era stato proposto in sede di appello, e che, comunque, l’istruttoria impugnata non aveva consentito di accertare se la vittima avesse effettivamente indossato tale presidio di sicurezza.
Precisamente, Sez. 4, n. 2300 del 2023, cit., rappresenta: «Quanto al profilo relativo al mancato utilizzo delle cinture di sicurezza, si osserva che la doglianza su tale specifico punto non era stata formulata con i motivi di impugnazione dell
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sentenza di primo grado, sicché deve ritenersi inammissibile. La Corte di Appello, peraltro, ha dato atto delle conclusioni sul punto della sentenza di primo grado nella quale si era sostenuto che l’istruttoria non aveva consentito di accertare che la vittima non le avesse effettivamente indossate».
3.2. La sentenza della Corte d’appello di Reggio Calabria del 15 marzo 2022, alla quale si riferisce l’impugnazione scrutinata da Sez. 4, n. 2300 del 2023, cit., per parte sua, ha sì ammesso che non è stato possibile accertare se la persona deceduta indossasse la cintura di sicurezza al momento del sinistro, in quanto i RAGIONE_SOCIALE, all’atto dell’intervento, avevano proceduto a tagliare i montanti per far uscire il corpo di tale vittima dall’abitacolo del suo veicolo (cfr. pagg. 5-6
La medesima sentenza, però, ha escluso la concedibilità dell’attenuante di cui all’art. 589-bis, settimo comma, cod. pen., specificamente rilevando: «Va solo aggiunto che, in ragione dell’elevata velocità e dei danni totali che ha subito la Fiat Panda nella parte anteriore sinistra, anche l’uso delle cinture di sicurezza non avrebbe evitato l’evento letale del conducente che ne è derivato» (pag. 12), e condividendo le identiche conclusioni della decisione di primo grado su tale punto.
3.3. Il ricorso per cassazione proposto avverso la sentenza Corte d’appello di Reggio Calabria del 15 marzo 2022, ed esaminato da Sez. 4, n. 2300 del 2023, cit., pone nel primo motivo la questione del diniego dell’attenuante del concorso di colpa della vittima.
In questo motivo, il discorso si incentra innanzitutto sul tema della individuazione della velocità alla quale viaggiava l’auto condotta dalla vittima (pagg. 1-7 del ricorso), ed affronta, alla fine, il tema del mancato utilizzo dell cintura di sicurezza da parte della medesima (pagg. 7-9 del ricorso).
Nella parte specificamente relativa a tale profilo, l’impugnazione dapprima qualifica come apodittica, e fondata su una valutazione ex post, l’affermazione della sentenza della Corte d’appello, trascritta in precedenza nel § 3 («Va solo aggiunto che, in ragione dell’elevata velocità e dei danni totali che ha subito la Fiat Panda nella parte anteriore sinistra, anche l’uso delle cinture di sicurezza non avrebbe evitato l’evento letale del conducente che ne è derivato»), e, poi, si sofferma sulle conclusioni che possono desumersi dal dubbio in ordine all’uso delle cinture di sicurezza da parte della vittima deceduta, rappresentando che tale incertezza dovrebbe comportare l’accoglimento della censura.
4. Applicando il principio di diritto richiamato in precedenza al § 2 ai fatt processuali, deve concludersi che l’erronea supposizione della mancata deduzione nei motivi di appello della questione del mancato utilizzo delle cinture di sicurezza da parte della vittima deceduta non determina l’accoglimento del ricorso straordinario proposto a norma dell’art. 625-bis cod. proc. pen., siccome non può
concludersi che la decisione del giudice di legittimità sarebbe stata diversa se stato vagliato il motivo di censura dedotto.
Invero, il ricorso per cassazione proposto avverso la sentenza della Co d’appello di Reggio Calabria sul punto del diniego dell’attenuante del concors colpa della vittima, a norma dell’art. 589-bis, settimo comma, cod. pen., era tutto privo di specificità nella parte in cui contestava l’affermazione del G distrettuale, secondo cui «in ragione dell’elevata velocità e dei danni totali subito la Fiat Panda nella parte anteriore sinistra, anche l’uso delle cin sicurezza non avrebbe evitato l’evento letale del conducente che ne è derivat Questo perché l’affermazione della Corte d’appello in ordine alla irrilevanza del delle cinture di sicurezza da parte della vittima deceduta si basa, in modo cong sulla premessa fattuale, non contestata, o non fondatannente contestata, d elevata velocità dell’automobile guidata dall’imputato e della gravità dei subiti dalla vettura condotta dalla vittima deceduta specificamente nella p anteriore sinistra, ossia proprio nella parte in cui ella si trovava al m dell’impatto che ne ha causato la morte.
Alla complessiva infondatezza delle censure segue il rigetto del ricorso condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle sp processuali.
Così deciso il 15/12/2023