Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 26900 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 26900 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 29/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a PALMI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 02/03/2023 della CORTE DI CASSAZIONE di ROMA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; sentite le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME, la quale ha chiesto pronunciarsi l’inammissibilità del ricorso.
uditi i difensori:
L’avvocato COGNOME NOME deposita nota spese e conclusioni, alle quali si riporta. L’avvocato NOME COGNOME si riporta ai motivi di ricorso e insiste per l’accoglimento dello stesso.
Ritenuto in fatto
Con sentenza n. 25962 del 2 marzo 2023, la I sezione di questa Corte ha rigettato il ricorso proposto da NOME COGNOME, condannato, in seguito a decisione della Corte d’appello di Reggio Calabria del 13 ottobre 2022, per il reato di cui all’ar 416-bis cod. pen. alla pena di anni quattordici di reclusione.
NOME COGNOME era stato chiamato a rispondere del reato quale esponente di vertice, dell’omonima cosca di ‘ndrangheta radicata in Sinopoli, con compiti di pianificazione e decisione delle azioni delittuose da compiere con particolare riferimento al territorio di Chívasso, ove egli domiciliava e operava. In tale vest l’imputato aveva preso parte, secondo quanto giudizialmente ritenuto, al summit di ‘ndrangheta svoltosi il 5 giugno 2014 a Sinopoli, presso il casolare di INDIRIZZO Scifà, oggetto di intercettazione ambientale. In tale intercettazione -ha ricordato la I sezione si riscontrava il coinvolgimento dell’NOME nelle dinamiche associative; egli stesso si dichiarava capo della “RAGIONE_SOCIALE Chivasso” e il suo interlocutore confermava siffatta posizione apicale.
La I sezione della Corte di cassazione rigettava le censure difensive, ritenendo che, nella motivazione resa dalla Corte d’appello, l’intraneità dell’COGNOME al sodalizi mafioso omonimo fosse saldamente ancorata agli esiti delle intercettazioni di conversazioni e alle dichiarazioni di plurimi collaboratori di giustizia, i quali aveva riferito che l’COGNOME aveva un ruolo apicale nella cd. RAGIONE_SOCIALE di Chivasso. La I sezione ha ricordato, inoltre, che l’esistenza storica della cosca risultava dalla sentenza dell medesima Corte di appello di Reggio Calabria, passata in giudicato nel 2003 (c.d. processo Prima), che aveva già dichiarato NOME NOME di partecipazione associativa e aveva ricostruito la struttura del sodalizio e le sue diverse ramificazion
La perdurante operatività di esso era riaffermata da ulteriori decisioni, talune già irrevocabili, dell’Autorità giudiziaria reggina. I collaboratori di giustizia NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, pur appartenenti a differenti organizzazioni criminali, avevano dato atto della persistente intraneità di NOME alla cosca, anche in costanza dei periodi di detenzione sofferti durante le carcerazioni pregresse, e dell’acquisito ruolo apicale.
Il ricorso all’esame di questo collegio avverso la citata sentenza della I sezione di questa Corte è proposto dall’imputato, per il tramite del proprio difensore di fiducia, AVV_NOTAIO, ai sensi dell’art. 625 bis cod. proc. pen., e consta di un unico motivo -enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione, secondo quanto disposto dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.- con cui deduce l’errore di fatt in cui la Corte di cassazione sarebbe incorsa nel valutare l’atto d’impugnazione e i motivi nuovi che lo avevano corredato.
La decisione della Cassazione si fonderebbe sull’erronea perc:ezione che la difesa nulla avesse da eccepire circa l’effettiva esistenza della cd. RAGIONE_SOCIALE di Chivasso, data per scontata dai giudici di merito. Nei motivi aggiunti, la difesa dell’COGNOME aveva infatti espressamente contestato la mancata dimostrazione della condotta apicale ascritta al ricorrente rispetto a un gruppo soggettivo autonomo. Ove anche tale gruppo autonomo -appunto, la RAGIONE_SOCIALE di Chivasso- fosse esistito, l’asserito ruolo apicale del ricorrente non era stato oggetto di adeguata dimostrazione da parte dei giudici di merito. Questo e non altro era l’argomento difensivo, erroneamente inteso dalla I sezione come affermazione, da parte difensiva, dell’esistenza della cd RAGIONE_SOCIALE di Chivasso, malgrado tutti i motivi di ricorso fossero volti a contestare l’esistenza di tale autonomo gruppo malavitoso.
In particolare, la sintesi del primo motivo aggiunto, operata dalla I sezione, sarebbe rivelatrice dell’equivoco interpretativo, laddove essa afferma che, secondo il ricorrente, “la locale di Chivasso esisterebbe, ma non sarebbe riconducibile al clan COGNOME“. Tale errore avrebbe alterato l’intero percorso decisionale del Supremo collegio.
All’udienza si è svolta trattazione orale del ricorso. Il Sostituto Procuratore generale, AVV_NOTAIO, ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso. La difesa di parte civile, AVV_NOTAIO, ha depositato memoria nell’interesse della Regione Calabria, con la quale si chiede la reiezione del ricorso e la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese, indicate in euro 3000. L’AVV_NOTAIO, nell’interesse del ricorrente, si è riportato ai motivi di ricorso, insistendo p l’accoglimento dello stesso.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è inammissibile.
2. L’asserito errore di fatto, posto dalla difesa a oggetto del ricorso, aggredisce, in realtà, «non già una svista o un equivoco incidenti sugli atti interni al giudizio di legittimità, il cui contenuto» sia stato «percepito dalla Cassazione «in modo difforme da quello effettivo» (Sez. 4, n. 3367 del 04/10/2016, dep. 2017, Troise, Rv. 268953 01; Sez. U, n. 16103 del 27/03/2002, COGNOME, Rv. 221280 – 01), bensì una ricostruzione di tipo eminentemente valutativo compiuta dalla Corte di cassazione,, come tale esclusa dall’orizzonte del rimedio previsto dall’art. 625 bis cod. proc. pen (ex plur., Sez. 5, n. 7469 del 28/11/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 259531 – 01; Sez. 6, n. 35239 del 21/05/2013, COGNOME, Rv. 256441 – 01; Sez. U, n. 37505 del 14/07/2011, Corsini, 17/10/2011, Rv. 250527 – 01). L’unico motivo oggetto del presente ricorso insiste su una frase che la I sezione di questa Corte, con l’impugnata sentenza, avrebbe travisato.
In realtà, come si avrà modo d’illustrare qui di seguito, l’eccezione ripropone un
profilo, già valutato e disatteso nell’impugnata sentenza, di natura, come anticipato, prettamente valutativa. Rispetto a tale censura, la I sezione di questa Corte ha fornito una motivazione che, in nessun punto, è affetta da errori causati da una svista o da un equivoco o dall’inesatta percezione delle risultanze processuali, che abbiano condotto a una decisione diversa da quella che sarebbe stata altrimenti adottata.
E infatti, diversamente da quanto dedotto dal ricorrente, la I sezione, nel riportare i motivi d’appello, ha compiutamente reso la tesi difensiva (“Non sarebbe affatto dimostrato che a Chivasso esistesse un locale di ‘ndrangheta’, né sarebbe dimostrato sul piano oggettivo-funzionale che NOME vi svolgesse funzioni direttive”: p. 3., punto 5.1 del “ritenuto in fatto”). Così sintetizzato il primo motivo d’appello -dunque, d tutto fedelmente a quanto sostenuto dal ricorrente- la I sezione ha proseguito nel dar conto del primo motivo aggiunto, nel quale, come ricordato dalla difesa stessa nel presente ricorso, si deduceva “la non adeguata dimostrazione della condotta apicale ascritta al ricorrente rispetto a un gruppo soggettivo autonomo. La RAGIONE_SOCIALE di Chivasso esiste, ma non è mai in questione che il ricorrente possa dirigere tale RAGIONE_SOCIALE“. Ora l’attuale ricorso gravita interamente attorno a tale frase -che si riferiva, in difensiva, a quanto ritenuto dalla Corte d’appello- e all’asserita, errata comprensione della stessa da parte della I sezione. Quest’ultima ha riassunto, nel ritenuto in fatto, frase indicata nei seguenti termini: la “locale di Chivasso sussisterebbe, ma non sarebbe riconducibile al clan COGNOME e non sarebbe stato il ricorrente a” dirigerla (p. dell’impugnata sentenza).
Ciò sarebbe già sufficiente a replicare alla censura del ricorrente, dal momento che tanto la lettera quanto il significato della tesi dell’allora ricorrente sono state dalla I sezione in modo del tutto conforme a quanto inteso dalla difesa. Dall’analisi dell’impugnata sentenza, non traspare in alcun modo un’erronea percezione della tesi difensiva, che insisteva sulla mancata prova che l’COGNOME fosse a capo del clan malavitoso identificato come locale di Chivasso, peraltro -in tesi difensiva- inesistente L’intera parte della sentenza impugnata dedicata al ricorso dell’COGNOME è tesa a confermare la razionalità, oltre che la conformità alla legge penale, dell’apprezzamento da parte della Corte territoriale delle prove (intercettazioni di conversazioni dichiarazioni dei collaboratori di giustizia). Dal compendio probatorio era inequivocabilmente emerso, a parere dei giudici di merito, l’esistenza tanto della locale di Chivasso quanto il ruolo -non già di statica affiliazione dell’COGNOME bensìcoinvolgimento diretto nelle strategie associative e, quindi, l’esplicazione di q dinamico e funzionale preteso dalla giurisprudenza di legittimità. In particola sezione ha ricordato come la conferma definitiva della posizione del ricorrente era offerta ai giudici del merito dall’intercettazione ambientale del 5 giugno 2014, l’COGNOME si fregiava espressamente di una siffatta posizione apic:ale con riferim
suo operato nell’ambito della predetta “RAGIONE_SOCIALE Chivasso” e il suo interlocutore confermava siffatta posizione apicale. Rispetto a tale motivazione, la pretesa distorsione ed errata precomprensione della tesi difensiva da parte della I sezione di questa Corte s’infrange contro l’evidenza di una valutazione giuridica relativa a circostanze di fatto, invece, correttamente percepite dal giudice di legittimità. Va allora ribadito che «il ricorso straordinario per errore di fatto è ammissibile quando la decisione della Corte di cassazione sia la conseguenza di un errore percettivo, causato da una svista o da un equivoco, e non anche quando il preteso errore derivi da una valutazione giuridica relativa a circostanze di fatto correttamente percepite» (Sez. 6, n. 46065 del 17/09/2014, COGNOME, Rv. 260819 – 01). Sicché l’asserito errore di fatto, posto dalla difesa a oggetto del ricorso, aggredisce, in realtà, «non già una svista o un equivoco incidenti sugli atti interni al giudizio di legittimità, il cui contenuto» sia st «percepito dalla Cassazione «in modo difforme da quello effettivo» (Sez. 4, n. 3367 del 04/10/2016, dep. 2017, Troise, Rv. 268953 – 01; Sez. U, n. 16103 del 27/03/2002, COGNOME, Rv. 221280 – 01), bensì una ricostruzione di tipo eminentemente valutativo compiuta dalla Corte di cassazione, come tale esclusa dall’orizzonte del rimedio previsto dall’art. 625 bis cod. proc. pen (ex plur., Sez. 5, n. 7469 del 28/11/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 259531 – 01; Sez. 6, n. 35239 del 21/05/2013, COGNOME, Rv. 256441 – 01; Sez. U, n. 37505 del 14/07/2011, Corsini, 17/10/2:011, Rv. 250527 01).
Per i motivi fin qui esposti, il Collegio dichiara inammissibile il ricorso. All pronuncia di inammissibilità consegue, ex art. 616 cod. proc. pen, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che, in ragione delle questioni dedotte, appare equo determinare in euro 3.000,00. Del pari, il ricorrente va condannato alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile Regione Calabria nel giudizio di legittimità, che, in relazione all’attività svolta, vengono liquidate in euro 3.000, 00, oltre accessori di legge.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile Regione Calabria, che liquida in complessivi euro tremila, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma il 29/02/2024
Il Consigliere estensore
Il Presidente