Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 24293 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 24293 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 25/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a NAPOLI il 11/10/1965
avverso la sentenza del 13/02/2025 della CORTE DI CASSAZIONE di Roma
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del PG, in persona del Sostituto Procuratore COGNOME che ha chiesto dichiararsi l ‘ inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Per mezzo del proprio difensore, munito di procura speciale, NOME COGNOME ha proposto ricorso straordinario, ai sensi dell ‘ art. 625 bis cod. proc. pen. contro la sentenza della Terza Sezione penale di questa Corte di legittimità n. 7381/2025, pronunciata il 13 febbraio 2025.
I ricorsi decisi con la sentenza impugnata avevano ad oggetto la richiesta di sospensione dell ‘ ordine di demolizione di un immobile sulla quale la Corte di appello di Napoli si è pronunciata quale giudice dell ‘ esecuzione.
L ‘ ordine di demolizione consegue alla sentenza emessa dalla Corte di appello di Napoli il 16 settembre 1997 (irrevocabile il 15 novembre 1997) a carico di NOME COGNOME ritenuta responsabile di avere abusivamente costruito quell ‘ immobile, tra il mese di gennaio del 1991 e il mese di ottobre del 1993, violando più disposizioni di legge e tra queste (per quanto qui rileva) l ‘ art. 20 lett. b), legge 20 febbraio 1985 n. 47. Con ordinanza del 19 settembre 2024, la Corte di appello di Napoli ha respinto la richiesta di sospensione dell ‘ ordine di demolizione proposta dagli eredi della COGNOME in persona di NOME e NOME COGNOME Contro questa ordinanza, è stato proposto un ricorso dichiarato inammissibile dalla Corte di cassazione con la sentenza che è stata oggi impugnata ai sensi dell ‘ art. 625 bis cod. proc. pen.
2. Il ricorrente si duole che, nel dichiarare inammissibile il primo motivo del ricorso proposto avverso l ‘ ordinanza della Corte di appello di Napoli del 19 settembre 2024, la Terza sezione penale di questa Corte abbia fatto la seguente testuale affermazione (pag. 5 della motivazione): «al fine di impedire l ‘ esecuzione dell ‘ ordine demolitorio è comunque necessaria l ‘ istanza ex art. 33, comma 2, d.P.R. n. 380 del 2001, solo all ‘ esito della cui presentazione il giudice dell ‘ esecuzione, investito dall ‘ istanza di sospensione e/o di revoca dell ‘ ordine di demolizione impartito con la sentenza irrevocabile di condanna, è tenuto a verificare i presupposti contemplati dalla norma in esame, a tenore dalla quale, ‘ qualora, sulla base di motivato accertamento dell ‘ ufficio tecnico comunale, il ripristino dello stato dei luoghi non sia possibile ‘ prevede l ‘ irrogazione di una sanzione pecuniaria pari al doppio dell ‘ aumento di valore dell ‘ immobile, conseguente alla realizzazione delle opere»; aggiungendo poi: «nel caso di specie, non solo non risulta che alcuna istanza ex art. 33, comma 2, TU edilizia sia stata mai presentata, ma soprattutto risulta chiaramente che non ricorrevano nemmeno i presupposti per la sua presentazione, che, come è reso palese dal disposto dell ‘art. 33 citato, è consentita solo per gli interventi e le opere di ‘ristrutturazione edilizia’ di cui all’ articolo 10, comma 1, TU edilizia eseguiti in assenza di permesso o in totale difformità da esso, non invece, come nel caso di specie, di interventi di ‘nuova costruzione’ come quello in esame, che venne realizzato ex novo tra il gennaio 1991 e l ‘ ottobre 1993 dalla de cuius COGNOME NOME».
Secondo la difesa, tali affermazioni sarebbero frutto di un errore di percezione sullo stato di fatto e di diritto dell ‘ opera oggetto dell ‘ ordine di demolizione. La Corte di legittimità, infatti, avrebbe omesso di considerare che le opere sono state
«regolarizzate mediante il rilascio del permesso in sanatoria ai sensi della legge 274/1994» e tale permesso non è mai stato revocato o annullato. Si tratterebbe, dunque, di opere che «non possono considerarsi ‘abusive’» e questo impediva «la proposizione della richiesta di conversione della sanzione demolitoria in sanzione pecuniaria» (pag. 3 dell ‘ atto di ricorso).
Il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte chiedendo dichiararsi l ‘ inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il motivo sulla base del quale il ricorso straordinario è stato proposto è manifestamente infondato. Il vizio prospettato, infatti, non è riconducibile alla nozione di errore di fatto rilevante ai sensi della norma evocata.
Si deve premettere che il rimedio di cui all ‘ art. 625 bis cod. proc. pen. non rappresenta un quarto grado di giudizio e non consente di instaurare ‘ un giudizio di legittimità della sentenza di legittimità ‘ . Non è possibile quindi che, attraverso tale strumento processuale, ci si dolga di vizi che, ove riscontrati, sarebbero in realtà vizi motivazionali del provvedimento impugnato. La storia, la natura e la ratio del rimedio, in uno con il dato letterale della disposizione che lo ha istituito, rendono evidente che l ‘ errore di fatto può dare luogo all ‘ annullamento di una sentenza della Corte di cassazione ex art. 625 bis cod. proc. pen. solo se è costituito da sviste o errori di percezione nella lettura degli atti del giudizio di legittimità che abbiano influito sulla decisione adottata dalla Corte regolatrice.
In più occasioni le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato che, qualora la causa dell ‘ errore non sia identificabile esclusivamente in una fuorviata rappresentazione percettiva e la decisione abbia comunque contenuto valutativo, non è configurabile un errore di fatto, bensì di giudizio, come tale escluso dall ‘ orizzonte del rimedio previsto dall ‘ art. 625 bis cod. proc. pen.
Si è chiarito, in particolare, che l ‘ errore di fatto censurabile, secondo il dettato dell ‘ art. 625 bis cod. proc. pen. deve:
consistere in una inesatta percezione di risultanze direttamente ricavabili da atti relativi al giudizio di legittimità, e -per usare la terminologia dell ‘ art. 395, n. 4, cod. proc. civ. (cui si è implicitamente rifatto il legislatore nella introduzione dell ‘ art. 625 bis cod. proc. pen.) -nel supporre «l ‘ esistenza di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa», ovvero nel supporre «l ‘ inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita» se (tanto nell ‘ uno quanto nell ‘ altro caso) «il
fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunziare»;
assumere «inderogabile carattere decisivo», tradursi cioè, necessariamente, «nell ‘ erronea supposizione di un fatto realmente influente sull ‘ esito del processo, con conseguente incidenza effettiva sul contenuto del provvedimento col quale si è concluso il giudizio di legittimità»;
aver comportato un errore percettivo inerente al processo formativo della volontà del giudice di legittimità;
non consistere in un errore già commesso, eventualmente, dai giudici di merito, e che, in quanto tale, avrebbe dovuto essere tempestivamente denunciato attraverso gli specifici mezzi di impugnazione proponibili avverso le relative decisioni.
Il vizio denunciabile, in altri termini, coincide con l ‘ errore revocatorio -secondo l ‘ accezione che vede in esso il travisamento degli atti nelle due forme della «invenzione» o della «omissione» -in cui sia incorsa la stessa Corte di Cassazione nella lettura degli atti del suo giudizio (Sez. U, n. 16103 del 27/03/2002, COGNOME, Rv. 221280; Sez. U, n. 18651 del 26/03/2015, COGNOME, Rv. 263686).
Nel caso in esame, la doglianza proposta non appare inquadrabile nello schema del rimedio giuridico invocato.
Dalla lettura della sentenza impugnata emerge che la Terza Sezione penale di questa Corte ha valutato se, nel caso di specie, dovesse trovare applicazione la disposizione di cui all ‘ art. 33, comma 2, d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, invocata dalla difesa (secondo la quale il ripristino dello stato dei luoghi avrebbe recato pregiudizio strutturale a un immobile storico costruito in aderenza a quello oggetto dell ‘ esecuzione), e lo ha escluso, osservando che la norma citata consente di irrogare una sanzione pecuniaria pari al doppio dell ‘ aumento di valore dell ‘ immobile conseguente alla realizzazione di opere quando il ripristino dello stato dei luoghi non sia possibile, ma solo con riferimento agli interventi e alle opere di ristrutturazione edilizia di cui all ‘ art. 10, comma 1, del medesimo decreto, eseguiti in assenza di permesso o in totale difformità da esso; non è applicabile, dunque, all ‘ opera della quale è stata ordinata la demolizione atteso che si tratta di una costruzione «realizzata ex novo tra il gennaio 1991 e l ‘ ottobre 1993 dalla de cuius COGNOME Maria».
A differenza di quanto sostenuto dal ricorrente, così argomentando, la sentenza impugnata non ha affatto ritenuto che, nel caso di specie, sarebbe stata necessaria una preventiva domanda di «fiscalizzazione dell ‘ abuso»: al contrario, ha ritenuto che le argomentazioni con le quali la difesa aveva sostenuto l ‘ impossibilità di ripristinare lo stato dei luoghi (e la conseguente possibilità di
‘fiscalizza re l ‘abuso’) non fossero pertinenti, perché l ‘ immobile del quale è stata disposta la demolizione non è aumentato di valore per effetto della realizzazione di opere abusive, non è stato oggetto di una ristrutturazione e neppure di una ‘ristrutturazione pesante’, ma è stato realizzato ex novo e, in questi casi, l ‘ art. 33 d.P.R. n. 380/2001 non trova applicazione.
A ben guardare, quando evidenzia che per l ‘ immobile oggetto dell ‘ ordine di demolizione il Comune di Napoli ha rilasciato tre permessi in sanatoria ai sensi della legge 23 dicembre 1994 n. 724 (permessi n. 85, n. 83 e n. 84 rilasciati rispettivamente a COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME), lungi dal denunciare un errore di fatto, la difesa censura nel merito la decisione adottata, dolendosi che la Corte di cassazione non abbia tenuto nel debito conto questi provvedimenti amministrativi.
Si deve osservare allora:
che il tema dei permessi in sanatoria e dell ‘ eventuale illegittimità della disapplicazione di quei provvedimenti, non risulta essere stato dedotto nei motivi di ricorso sui quali la Terza Sezione penale di questa Corte ha deciso con la sentenza impugnata;
che, nell ‘ odierno ricorso straordinario, il difensore non prova neppure a sostenere che tale doglianza, pur formulata, sarebbe stata ignorata;
che questo tema è stato comunque affrontato dalla sentenza impugnata quando ha esaminato la richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia UE avanzata dalla difesa ai sensi dell ‘ art. 267 TFUE.
4.1. Come emerge dalla lettura della sentenza n. 7381/2025, nel ricorso proposto contro l ‘ ordinanza della Corte di appello di Napoli del 19 settembre 2024, la difesa aveva sostenuto che il rilascio dei permessi in sanatoria aveva creato nei ricorrenti un legittimo affidamento alla revoca dell ‘ ordine di demolizione.
Nell ‘ esaminare questo motivo, la sentenza impugnata ha ricordato il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo il quale la legge 724/1994 (che consentiva la sanatoria di opere abusive ultimate entro il 31 dicembre 1993 a condizione che quelle opere non comportassero un «ampliamento del manufatto superiore al trenta per cento della volumetria della costruzione originaria, ovvero, indipendentemente dalla volumetria iniziale o assentita, un ampliamento superiore a 750 metri cubi, nonché per le opere abusive realizzate nel termine di cui sopra relative a nuove costruzioni non superiori ai 750 metri cubi per singola richiesta di concessione edilizia»), deve essere interpretata nel senso che, ai fini della individuazione dei limiti stabiliti per la concedibilità della sanatoria, si deve fare riferimento «all ‘ unitarietà dell ‘ immobile o del complesso immobiliare, qualora sia realizzato in esecuzione di un disegno unitario, essendo irrilevante la suddivisione
in più unità abitative e la presentazione di istanze separate, tutte imputabili ad un unico centro sostanziale di interesse» (così testualmente, pag. 6 della sentenza impugnata). Ha sottolineato, inoltre, che tale orientamento era già consolidato, non solo nella giurisprudenza penale, ma anche in quella amministrativa, quando fu pronunciata la sentenza di condanna alla quale è conseguito l ‘ ordine di demolizione. Già nel 1996, infatti, la giurisprudenza aveva escluso che fosse possibile «sanare l ‘ abuso presentando più istanze di condono» e aveva affermato che «il cosiddetto condono edilizio è richiedibile anche nell ‘ ipotesi di edificazione di un fabbricato superiore a 750 mc, ma i cui singoli appartamenti sono ricompresi entro detta cubatura» (così, testualmente, pag. 7 della sentenza impugnata, che cita Sez. 3, n. 3585 del 13/03/1996, Rv. 205851 -01).
All ‘ inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000 e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che il ricorrente non versasse in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, deve essere disposto a suo carico, a norma dell ‘ art. 616 cod. proc. pen., l ‘onere di versare la somma di € 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende, somma così determinata in considerazione delle ragioni di inammissibilità.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 25 giugno 2025