Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 9964 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 9964 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME COGNOME NOME
Data Udienza: 15/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME
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nato a GELA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 10/07/2023 della CORTE DI CASSAZIONE DI ROMA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore AVV_NOTAIO NOME COGNOME, che ha concluso per la inammissibilità del ricorso; uditi i difensori AVV_NOTAIO e NOME COGNOME, che hanno concluso per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con sentenza n. 43791/23, emessa in data 10 luglio 2023, la Sesta Sezione della Suprema Corte – per quanto qui rileva – rigettava il ricorso proposto da NOME COGNOME avverso la sentenza del 16 marzo 2022 con la quale la Corte di appello di Caltanissetta, in riforma della sentenza assolutoria
del Tribunale di Gela, aveva condannato l’imputato alla pena ritenuta di giustizia per il reato previsto dall’art. 416, primo comma, del codice penale.
NOME COGNOME, a mezzo dei propri difensori muniti di procura speciale, ha proposto ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 625-bis del codice di rito lamentando violazione di legge e – quanto alla seconda doglianza – anche vizio motivazionale.
2.1. In primo luogo, sostiene la difesa che a causa di un errore percettivo la Corte di cassazione non ha colto ed esaminato l’argomentazione fondamentale dedotta con il precedente ricorso.
La sentenza impugnata, infatti, si è limitata ad affrontare il controverso tema della trattazione congiunta del rito ordinario e di quello speciale, ma ha omesso di “dare risposta alla denunciata situazione determinata dalla previa pronuncia da parte dello stesso collegio della medesima contestazione, evidentemente per errore sul fatto che essa si fosse verificata, come – invece documentato dalla Difesa con i verbali di udienza allegati al ricorso ritualmente proposto”.
2.2. In secondo luogo, la Corte di cassazione, ritenendo che il giudice di appello avesse correttamente proceduto alla rinnovazione dell’istruzione dibattimentale con l’esame dell’imputato, non ha considerato che la Corte territoriale, “nel registrare il dato, non soltanto non ebbe a riportarne il contenuto, ma – soprattutto – non lo giustappose ad alcuna delle sue riletture del compendio di causa, nemmeno nella parte che dedicò specificamente all’analisi del COGNOME“.
Il ricorso è inammissibile perché proposto con motivi manifestamente infondati.
Secondo il diritto vivente, l’errore di fatto verificatosi nel giudizio di legittimità e oggetto del rimedio previsto dall’art. 625-bis cod. proc. pen. consiste in un errore percettivo causato da una svista o da un equivoco in cui la Corte di cassazione sia incorsa nella lettura degli atti interni al giudizio stesso e connotato dall’influenza esercitata sul processo formativo della volontà, viziato dalla inesatta percezione delle risultanze processuali che abbia condotto a una decisione diversa da quella che sarebbe stata adottata senza di esso.
Pertanto, qualora la causa dell’errore non sia identificabile esclusivamente in una fuorviata rappresentazione percettiva e la decisione abbia comunque contenuto valutativo, non è configurabile un errore di fatto, bensì di giudizio, così come sono estranei all’ambito di applicazione dell’istituto gli errori di
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interpretazione di norme giuridiche, sostanziali o processuali, ovvero la supposta esistenza delle norme stesse o l’attribuzione ad esse di una inesatta portata, anche se dovuti a ignoranza di indirizzi giurisprudenziali consolidati, nonché gli errori percettivi in cui sia incorso il giudice di merito, dovendosi questi ultimi far valere – anche se risoltisi in travisamento del fatto – soltanto nelle forme e nei limiti delle impugnazioni ordinarie (Sez. U, n. 18651 del 26/03/2015, COGNOME, Rv. 263686; Sez. U, n. 37505 del 14/07/2011, Corsini, Rv. 250527; Sez. U, n. 16103 del 27/03/2002, Basile, Rv. 221280).
Anche da ultimo questa Corte ha ribadito che è inammissibile il ricorso straordinario per errore di fatto quando l’errore in cui si assume che la Corte di cassazione sia incorsa abbia natura valutativa e si innesti su un sostrato fattuale correttamente percepito (Sez. 6, n. 28424 del 23/06/2022, COGNOME, Rv. 283667).
Nel caso di specie, la decisione impugnata ha un evidente carattere valutativo e non risulta affatto il frutto di una fuorviata rappresentazione percettiva.
5.1. Dalla lettura del precedente ricorso e della sentenza risulta chiaro che la Sesta Sezione aveva ben colto ed esaminato l’argomentazione fondamentale posta dalla difesa, reiterata con il ricorso in esame.
Nella sentenza qui impugnata sono ampiamente e fedelmente riportati tutti i motivi di ricorso, con ampi riferimenti alla giurisprudenza costituzionale.
Il tema della incompatibilità proposto dalla difesa è stato compreso appieno dalla Corte, avuto proprio riguardo alla prospettata manifesta interferenza fra il giudizio abbreviato e il giudizio ordinario in ragione della identità del reato a NOME COGNOME e a NOME COGNOME, in assenza della quale detto tema non sarebbe stato pertinente.
La Sesta Sezione ha ritenuto infondata la doglianza difensiva, richiamando la costante giurisprudenza sulla legittimità della trattazione congiunta del rito abbreviato e del rito ordinario, fermo restando che al momento della decisione siano tenuti rigorosamente distinti i regimi probatori rispettivamente previsti per ciascuno di essi (§ 10.1.).
È ben possibile che il ricorrente non condivida la decisione adottata, ritenendo non esaustiva la risposta fornita dalla Sesta Sezione; va escluso, però, che quella risposta sia il frutto di un errore percettivo e non invece di una valutazione non censurabile con lo strumento del ricorso straordinario, alla luce dei princìpi in precedenza ricordati.
5.2. È privo di fondamento anche il secondo motivo.
La stessa difesa ha affermato che “la valutazione della Corte nissena era stata circoscritta alla sola diversa esegesi delle intercettazioni ambientali, differentemente spiegate dal Tribunale” e, pertanto, che “l’overtuming pregiudizievole per l’imputato non si era basato minimamente su una diversa valutazione di prove dichiarative decisive assunte dal primo giudice”.
La sentenza impugnata ha dato atto che la Corte di appello aveva ritenuto le dichiarazioni dell’imputato, assunte in appello in applicazione del principio sancito dalla CEDU nella sentenza Maestri c/ Italia, prive di “effetto nel confutare le risultanze delle operazioni tecniche di captazione” (§ 10.3.).
Anche in questo caso va escluso qualsiasi errore percettivo, tanto più che dal motivo in esame pare che la difesa sostenga che la riforma della sentenza assolutoria non sia consentita “in assenza di elementi sopravvenuti” (come sostenuto nel precedente ricorso per cassazione), quindi nuovi o ulteriori rispetto a quelli già acquisiti, interpretazione questa contrastante con il diritto vivente sulle condizioni e sulla ratio dell’obbligo di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale in caso di riforma della sentenza assolutoria, previsto dall’art. 603 del codice di rito (per tutte v., da ultimo, Sez. 2, n. 49704 del 19/10/2023, Fozza, Rv. 285607, in motivazione, pagg. 12-14).
6. All’inammissibilità dell’impugnazione proposta segue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di euro tremila, così equitativannente fissata.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 15/02/2024.