Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 33961 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 33961 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 16/09/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a SAN PAOLO BEL SITO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 17/09/2024 della CORTE DI CASSAZIONE di Roma Udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO COGNOME; Udite le conclusioni del AVV_NOTAIO che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso Udito l’AVV_NOTAIO COGNOME NOME del foro di Napoli in difesa di COGNOME NOME che ha insistito per l’accoglimento del ricorso
RITENUTO IN FATTO
1.Per mezzo del difensore, NOME COGNOME ha proposto ricorso straordinario, ai sensi dell’art. 625 bis cod. proc. pen., avverso la sentenza n.41892 con cui, il 17 settembre 2024, la Terza Sezione Penale di questa Corte di legittimità ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso per cassazione proposto nell’interesse del ricorrente.
La vicenda processuale si è dipanata nel modo seguente:
(i) il Tribunale di Noia, con sentenza ex art. 442 cod. proc. pen. del 15 gennaio 2018, aveva condannato NOME COGNOME in ordine ai reati di cui agli artt. 4 e 10 bis d.lgs n. 74/2000 contestati ai capi A), B), C), D) e E) e lo aveva prosciolto dalle residue imputazioni;
(il) la Corte d’appello di Napoli, con sentenza del 19 dicembre 2023, in parziale riforma della sentenza di primo grado, aveva dichiarato non doversi procedere per intervenuta prescrizione in ordine ai reati di cui all’art. 10 bis d.lgs n. 74/2000 contestati ai capi D) e E), rideterminando la pena in relazione ai residui reati;
(iii) avverso detta sentenza, COGNOME aveva proposto ricorso, formulando sei motivi. In particolare con i primi cinque motivi aveva censurato il travisamento probatorio del documento “NUMERO_DOCUMENTO” ritenuto dai giudici di merito riferibile alla sola RAGIONE_SOCIALE, sebbene contenesse dati contabili riferiti alle t società del gruppo famigliare, ovvero alla RAGIONE_SOCIALE, alla RAGIONE_SOCIALE, e alla RAGIONE_SOCIALE;
(iv) la Corte di Cassazione, con la sentenza oggi impugnata, ha dichiarato inammissibile il ricorso, in quanto manifestamente infondati tutti i motivi.
Con il ricorso straordinario, COGNOME osserva che la Corte di cassazione è incorsa in errore nella percezione del primo e del quinto motivo di ricorso, in quanto i giudici di legittimità hanno soffermato il loro giudizio solo sul coerenza logica della interpretazione data al documento “Fatturato TRE”, quando invece la censura riguardava l’omessa valutazione da parte dei giudici di merito sia delle 18 tabelle del documento, sia della consulenza di parte.
In tesi difensiva dal raffronto fra la sintesi dei motivi di ricorso operata nel parte dedicata allo svolgimento del processo e la trattazione dei motivi della decisione emerge come i giudici di legittimità, dopo aver riportato tutti i profi di censura, abbiano omesso di esaminarli. Il primo motivo del ricorso non puntava a contestare la coerenza logica della valutazione delle tre tabelle da parte dei giudici di merito, ma mirava a verificare se i giudici avessero preso in considerazione anche le restanti quindici tabelle del documento e le conclusioni
raggiunte dal Consulente della difesa. La motivazione della Corte si concentra esclusivamente sulla presunta assenza di illogicità nella valutazione compiuta dalla Corte del merito, quando invece il motivo era incentrato sul mancato esame complessivo del documento.
Inoltre, nella trattazione del quinto motivo di ricorso (con cui si ribadiva che, contrariamente a quanto asserito dai giudici di merito, la RAGIONE_SOCIALE era già esistente negli anni 2007-2008-2009) la Corte sarebbe incorsa in una ulteriore svista nell’affermare che tale motivo riguardava anni di imposta non oggetto di contestazione. Invero la inesistenza della RAGIONE_SOCIALE negli anni su indicati, a prescindere dalla estensione temporale della contestazione, era stata valorizzata dai giudici del merito proprio per respingere la interpretazione alternativa del documento “Fatturato TRE” proposta dalla difesa, ovvero quella per cui tale documento riguardava tutte le società del gruppo. In ogni caso le annualità 2007, 2008 e 2009 erano anche esse oggetto di contestazione, ancorché dichiarate prescritte.
Gli errori percettivi segnalati- prosegue il difensoreGLYPH sono stati decisivi ai fini della decisione: se la Corte avesse rilevato che i giudici di merito non avevano considerato né il documento NUMERO_DOCUMENTO nella sua integralità, né la consulenza COGNOME, avrebbe disposto l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata.
Con memoria del 5 settembre 2025 1 Ia difesa del ricorrente ha insistito per accoglimento del ricorso.
4.Nel corso della discussione orale le parti hanno concluso come indicato in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso straordinario non supera il vaglio di ammissibilità, in quanto manifestamente infondato il motivo.
Si deve premettere che, ai sensi dell’art. 625 bis cod. proc. pen., è ammessa a favore del condannato la richiesta di correzione dell’errore materiale o di fatto contenuto nei provvedimenti pronunciati dalla Corte di Cassazione.
L’errore materiale e l’errore di fatto, indicati dall’art. 625 bis cod. proc. pen. come motivi di possibile ricorso straordinario consistono, rispettivamente, il primo nella mancata rispondenza tra la volontà, correttamente formatasi, e la sua estrinsecazione grafica e il secondo in una svista o in un equivoco incidenti
sugli atti interni al giudizio di legittimità, il cui contenuto viene percepito in mo difforme da quello effettivo.
L’ errore di fatto, a differenza di quello materiale, non attiene alla manifestazione grafica del provvedimento, ma inerisce direttamente al processo formativo della volontà del giudice, determinandola in una certa direzione anziché in un’altra e, quindi, influendo sul contenuto della decisione, che, senza quell’errore, sarebbe stata diversa. L’errore di fatto, perciò, ha il carattere dell decisività, essendo determinante nella scelta della soluzione accolta nel provvedimento adottato dalla Corte: sul piano logico, si tratta di un errore di percezione, di una svista o di un mero equivoco, e non di un errore di valutazione o di giudizio sul fatto che il giudice di legittimità è chiamato ad esaminare per definire i motivi di ricorso.
Ne consegue che l’errore di fatto indicato dall’art. 625 bis cod. proc. pen. è di tipo meramente percettivo e non riconnprende i profili attinenti alla valutazione degli atti del processo, nel senso che non può consistere in un errore di giudizio vertente sul fatto esaminato e non correttamente interpretato dal giudice di legittimità (ex plurimis Sez. 2, n. 23417 del 23/05/2007, Rv.237161).
Legittima, dunque, il ricorso straordinario la decisione GLYPH fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa o sulla Zinesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, in piena rispondenza col motivo di revocazione prefigurato dall’art. 395, n. 4, cod. proc. civ. (Sez. 1, n. 45731 del 13/11/2001, Rv. 220372; Sez. F, n. 42794 del 07/09/2001, Rv.220181).
Le Sezioni Unite di questa Corte, in coerenza con tale impostazione, hanno riconosciuto, appunto, che l’art. 625 bis cod. proc. pen. è stato modellato sull’analoga disciplina contenuta nell’art. 391 bis cod. proc civ. e hanno stabilito che l’errore di fatto verificatosi n giudizio di legittimità, oggetto del rimedio del ricorso straordinario, consiste in un errore percettivo, causato da una svista o da un equivoco in cui la Corte di Cassazione sia incorsa nella lettura degli atti interni al giudizio stesso e connotato dall’influenza esercitata sul processo formativo della volontà: l’inesatta percezione delle risultanze processuali conduce, in tale ipotesi, ad una decisione diversa da quella che sarebbe stata adottata senza di essa. Qualora, invece, la causa dell’errore non sia identificabile esclusivamente in una fuorviata rappresentazione percettiva e la decisione abbia, comunque, contenuto valutativo, non è configurabile un errore di fatto, bensì di giudizio: sono, perciò, estranei all’ambito di applicazione dell’istituto gli errori di interpretazione norme giuridiche, sostanziali o processuali, ovvero la supposta esistenza delle
norme stesse o l’attribuzione ad esse di una inesatta portata, anche se dovuti ad ignoranza di indirizzi giurisprudenziali consolidati (Sez. U, n. 16103 del 27/03/2002, Rv. 221280).
2.2. Quanto all’omissione dell’esame di uno o più motivi del ricorso per cassazione, la stessa, quand’anche sussistente in astratto, si risolve in un difetto di motivazione, che, sempre in astratto, non significa né affermazione né negazione di alcuna realtà processuale, ma semplicemente mancata risposta a una censura. La giurisprudenza di legittimità consolidata, peraltro, ammette che la lacuna motivazionale possa essere ricondotta 011’errore di fatto quando dipenda da una «vera e propria svista materiale, ossia da una disattenzione di ordine meramente percettivo, che abbia causato l’erronea supposizione dell’inesistenza della censura »; situazione che ricorre quando l’omesso esame lasci presupporre la mancata lettura del motivo di ricorso e da tale mancata lettura discenda, secondo «un rapporto di derivazione causale necessaria una decisione che può ritenersi incontrovertibilmente diversa da quella che sarebbe stata adottata a seguito della considerazione del motivo (Sez. U, n. 1603 del 27/03/2002, cit.). In questa prospettiva, si deve ricordare che il disposto dell’art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen. non consente di presupporre che ogni argomento prospettato a sostegno delle censure non riprodotto nella sentenza sia stato non letto anziché implicitamente ritenuto non rilevante (tra le altre, Sez. 2, n. 53657 del 17/11/2016, Rv. 268982 – 01; Sez. 5, n. 20520 del 20/03/2007, Rv. 236731 – 01; Sez. 5, n. 11058 del 10/12/2004, Rv. 231206 – 01).
Ne deriva che non solo non è in nessun caso deducibile, ai sensi dell’art. 625-bis cod. proc. pen., la mancanza di espressa disamina di censure difensive che non siano decisive o che debbano considerarsi disattese, perché incompatibili con la struttura e con l’impianto della motivazione, nonché con le premesse essenziali, logiche e giuridiche, che compendiano la ratio decidendi della sentenza medesima, ma è onere del ricorrente dimostrare che la doglianza non riprodotta era, in violazione della regola dell’art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen., decisiva e che il suo omesso esame dipende da un errore di percezione.
Tanto premesso, deve evidenziarsi che, nel caso di specie, non ricorrono i presupposti dell’errore di fatto dedotto e che con la doglianza in questione la difesa del ricorrente mira a introdurre una nuova valutazione dei temi già dedotti e già affrontati dalla Corte di cassazione con la sentenza impugnata.
Proprio dal raffronto fra il contenuto dei motivi, come riassunti nella prima parte della sentenza della Corte e la loro disamina come affrontata nella
seconda parte, emerge come i giudici di legittimità non siano incorsi in alcuna svista, ma abbiano, al contrario, argomentato e replicato alle doglianze formulate. Nella sentenza, infatti, con riferimento alle censure di cui al primo e al quinto motivo, si dà atto:
-che i giudici di merito avevano illustrato “i motivi per cui nel documento “Fatturato NUMERO_DOCUMENTO“, l’analisi del fatturato riguardasse per gli anni oggetto di interesse, la sola RAGIONE_SOCIALE, con una motivazione immune dai vizi logici denunciati” e avevano evidenziato, sulla base delle testimonianze degli accertatori come “seppure nel prospetto … si facesse riferimento anche alle società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, in realtà il prospetto era relativo alla sola RAGIONE_SOCIALE, ed era funzionale a distinguere il tipo di prodotto oggetto di vendita, tanto che indicava separatamente i prodotti finiti nella colonna NOME i prodotti semilavorati nella colonna RAGIONE_SOCIALE/Lux RAGIONE_SOCIALE e gli infissi nella colonna denominata infissi” ( pag. 7);
che entrambe le sentenze di merito, con motivazione congrua e non illogica avevano affrontato “il tema degli acronimi concludendo nel senso che il prospetto contenente le colonne contrassegnate dagli acronimi “FT” e “SB” consentisse di desumere la sottrazione ad imposizione fiscale di una percentuale del volume degli affari. E la circostanza che i menzionati acronimi fossero presenti anche nei prospetti relativi ad annualità precedenti alla cessione alla RAGIONE_SOCIALE da parte della RAGIONE_SOCIALE del ramo di azienda avente ad oggetto la produzione e la vendita di porte di infissi stava a significare che anche in quegli anni una percentuale del volume degli affari era stata sottratta all’imposizione fiscale”;
che “la censura difensiva dell’erroneità della motivazione, dedotta nel quinto motivo di ricorso, riguardava gli anni di imposta 2007-2008-2009 non oggetto di contestazione”.
La Corte dunque ha concluso che “in quanto sorretto da argomentazioni razionali e coerenti con le fonti dimostrative acquisite, il giudizio delle due conformi sentenze di merito sulla configurabilità dei reati ascritti al ricorrente resiste alle censure difensive, con le quali si sollecita una lettura alternativa del materiale probatorio, operazione non consentita in questa sede”.
Il ricorso, nel rimarcare il mancato esameprofili dedotti con il primo e il quinto motivo, si limita ad affermare apoditticamente la decisività del presunto errore e, prima ancora, non si confronta con il tenore complessivo della motivazione in cui si dà conto, in maniera compiuta e articolata, delle ragioni per le quali i giudici di merito avevano ritenuto che il documento “NUMERO_DOCUMENTO“, fosse da riferire alla sola RAGIONE_SOCIALE e non anche alle altre società del gruppo, a prescindere dalla data di costituzione di queste ultime. I motivi di
ricorso come elencati nella sentenza oggetto di ricorso straordinario, peraltro, non contengono alcun riferimento alla consulenza di parte e alla lacuna motivazionale delle sentenze di merito rispetto alle conclusioni ivi riportate, ma sono incentrati sul contenuto del documento e sulla sua interpretazione, ovvero su profili su cui i giudici di legittimità si sono soffermati.
4.Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Tenuto conto, inoltre, della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende
Deciso il 16 settembre 2025