Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 46720 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 46720 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 11/09/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME nato a CASTELLAMMARE DI STABIA il 18/09/1956
avverso la sentenza del 19/10/2023 della CORTE DI CASSAZIONE di ROMA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
sentite le conclusioni del PG, in persona del sostituto COGNOME che si è riportato alle conclusioni scritte con le quali ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso straordinario proposto;
sentito l’avv. NOME COGNOME del Foro di TORRE ANNUNZIATA che si è riportato ai motivi di ricorso chiedendone l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 19 ottobre 2023 la Terza Sezione penale di questa Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME avverso la pronuncia della Corte di appello di Napoli con la quale era stata confermata la sentenza del GUP del Tribunale di Napoli che ha condannato il COGNOME in relazione al reato di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309/90 e 416 bis cod. pen.
Avverso la sentenza pronunciata dalla Terza Sezione ha proposto ricorso straordinario NOME COGNOME affidandolo ad un unico motivo con il quale si deduce errore di fatto ed omessa valutazione delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia COGNOME COGNOME e COGNOME poste a fondamento dell’aggravante dell’agevolazione mafiosa ex art. 416 bis co. 1 cod. pen., in riferimento ai rapporti economici tra l’associazione diretta da NOME e NOME COGNOME – alla quale il ricorrente avrebbe aderito – e l’associazione di tipo camorristico dominante sul territorio di Castellamare di Stabia, nota come clan COGNOME. Era stato censurato con il secondo motivo di ricorso in cassazione che le dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia COGNOME, COGNOME e COGNOME erano inidonee a provare la sussistenza dell’aggravante dell’agevolazione al clan COGNOME, non per difetto di convergenza ma perché si riferivano a periodi di gran lunga precedenti rispetto ai fatti in contestazione (2015-2016). In particolare, COGNOME era detenuto dal 2009 e le sue dichiarazioni si riferivano ad almeno sei anni prima; COGNOME, anch’egli detenuto dal 2009, aveva sostenuto che COGNOME chiedeva ed otteneva cocaina da NOME COGNOME il quale, a sua volta, era detenuto dal 2004; COGNOME aveva riferito di aver assistito alla imposizione di una quota dei proventi dell’attività di spaccio da parte di un emissario dell’associazione mafiosa COGNOME, direttamente dall’COGNOME. Si era, tra l’altro, contestato che la Corte territoriale aveva aderito alla scelta ermeneutica del giudice di prime cure il quale aveva configurato l’aggravante in contestazione quale circostanza avente natura oggettiva piuttosto che soggettiva. La differenza non era di poco momento atteso che già il primo giudice aveva riconosciuto al ricorrente un ruolo marginale in seno alla consorteria. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Il motivo era ritenuto inammissibile dalla Corte di legittimità ritenendo che lo stesso fosse stato proposto per la prima volta con il ricorso, poiché non risultava riportato dalla Corte territoriale nella sintesi dei motivi di gravame anche se poi l’argomento veniva affrontato a pagina 71 della sentenza.
L’errore percettivo sarebbe rappresentato, dunque, dal fatto che il motivo di appello proposto afferiva alla sussistenza della aggravante di cui all’art. 416 bis cod. pen., di assoluto rilievo dato che i collaboratori riferivano fatti risalenti
epoca antecedente all’anno 2009 mentre la Corte di Cassazione ha esaminato il motivo di ricorso (a pag. 9 e 10) attraverso un generico richiamo alla valutazione di credibilità dei dichiaranti ed attendibilità del dichiarato, riproponendo ii te delle pagine 25 e 26 della sentenza della Corte territoriale, nella parte in cui era stata espressamente devoluta l’impossibilità di trarre dalle attendibili dichiarazioni dei collaboratori di giustizia la prova della dazione economica al clan COGNOME, nel periodo in contestazione, ossia tra il 2015 e il 2016.
E’ evidente, dunque, secondo la difesa, l’omissione della valutazione effettiva e non meramente apparente da parte del giudice rescindente delle argomentazioni poste con il motivo del ricorso principale, a causa dei deficit percettivi indicati.
Il P.G., in persona del sostituto NOME COGNOME ha rassegnato conclusioni scritte chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso straordinario proposto.
All’udienza, il P.G. si è riportato alle conclusioni scritte; l’avv. NOME COGNOME del Foro di Torre Annunziata si è riportato ai motivi di ricorso chiedendone l’accoglimento.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è manifestamente infondato.
2.Va, innanzitutto rammentato che «il perimetro della cognizione affidata al giudice di legittimità con il ricorso ex art. 625-bis cod. proc. pen. esclude dal suo ambito ogni attività di rivalutazione del percorso logico argomentativo fatto proprio dalla Corte di legittimità ed ogni processo valutativo, essendo limitato esclusivamente alla correzione di patologie della decisione riconducibili, con immediatezza, alla erronea percezione di un elemento rilevante per l’accertamento di responsabilità» (così, per tutte, Sez. 5, n. 25239 del 13/07/2020, COGNOME, Rv. 279466 – 01).
Vanno poi richiamati i principi più volte espressi da questa Corte (cfr. Sez. 5 n. 19396 del 4/3/2021) con riferimento ai presupposti che legittimano il rimedio straordinario di cui all’art. 625 bis cod. proc. pen. In particolare è necessario che sussista un errore di fatto suscettibile di essere emendato con il ricorso in questione, un errore percettivo, causato da una svista o da un equivoco idoneo ad inficiare il processo formativo della volontà della Cassazione condizionandone la decisione che deve risultare viziata in modo diretto ed evidente dalla inesatta percezione delle risultanze processuali e che abbia condotto ad una sentenza
diversa da quella che sarebbe stata adottata senza l’errore di fatto (Sez. 3 n. 21967 del 16/04/2013; Sez. 6 n. 25121 del 02/04/2012, Rv. 253105; S.U. n. 16103 del 27/03/2002. E’ necessario che l’errore di fatto rivesta inderogabile carattere decisivo, ossia deve tradursi nella erronea supposizione di un fatto realmente influente sull’esito del processo con incidenza effettiva sul contenuto del provvedimento con il quale si è concluso il giudizio di legittimità (Sez. 3, n. 21967 del 16/04/2013). Rimangono, invece, estranei dall’ambito di applicazione dell’art. 625 bis cod. proc. pen. gli errori di interpretazioni di norme giuridich sostanziali o processuali, ovvero la ritenuta esistenza di norme o l’attribuzione ad esse di inesatta portata, anche se dovuti a ignoranza di indirizzi giurisprudenziali consolidati, gli errori derivanti da una qualsiasi valutazione giuridica o d circostanze di fatto correttamente percepite (Sez. 6, n. 28269 del 28/05/2013), gli errori valutativi, essendo in tal caso configurabile un errore non di fatto ma di giudizio in cui sia incorso il giudice, dovendosi quest’ultimo far valere – anche quando si risolva in un travisamento del fatto – solo nelle forme e nei limiti delle impugnazioni ordinarie.
Le Sezioni Unite di questa Corte hanno ribadito il principio secondo cui, in tema di ricorso straordinario, qualora la causa dell’errore non sia identificabile esclusivamente in una fuorviata rappresentazione percettiva e la decisione abbia comunque contento valutativo, non si configura un errore di fatto ma di giudizio come tale escluso dal rimedio previsto dall’art. 625 bis cod. proc. pen. (Sez. U. n. 18651 del 26/03/2015, Rv. 263686).
Alla luce della superiore premessa, ritiene questo Collegio che, nessuno degli asseriti errori in cui sarebbe incorsa la sentenza di legittimità presenti l caratteristiche di un errore di percezione causato da una svista o da un equivoco che abbia influenzato il processo formativo della volontà della Corte di legittimità, traducendosi, piuttosto, la prospettazione del ricorrente, in una diversa considerazione degli elementi posti a fondamento dell’affermazione di responsabilità dell’imputato ed in una critica delle valutazioni espresse dalla Terza Sezione penale, operazione questa non consentita in questa sede poiché, diversamente opinando, il rimedio di cui all’art. 625 bis cod. proc. pen. si risolverebbe in un ulteriore grado di giudizio.
La Terza Sezione penale, dopo avere rilevato che il motivo afferente la credibilità dei collaboratori di giustizia non era stato dedotto con specifico motivo alla Corte di appello, nel trattare congiuntamente i motivi di ricorso in cassazione proposti nell’interesse di NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME ha, comunque, affrontato la questione posta.
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A tale proposito va detto che dalla lettura dell’atto di appello, effettivamente, non risulta proposto lo specifico motivo al quale si fa riferimento atteso che il primo motivo riguardava l’inutilizzabilità delle intercettazioni (che era stat rinunziato), il secondo la insussistenza della circostanza ,aggravante di cui all’art. 416 bis nella forma della agevolazione al sodalizio COGNOME per mancanza di elementi sintomatici della consapevolezza degli associati che, comunque, rivestivano un ruolo marginale. E sempre a tale proposito va rilevato come erronei si palesino i richiami operati dal ricorrente alla pagina 71 della sentenza della Corte di appello di Napoli laddove, vi sarebbe stato uno specifico richiamo alla censura dedotta. Invero a pagina 71 della sentenza, richiamando peraltro, le pagine 31 e 32 si affronta la questione relativa alla natura oggettiva della circostanza aggravante contestata.
La Terza Sezione, tuttavia, dopo avere evidenziato che la Corte territoriale ha giustificato la conferma della valutazione di attendibilità delle dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia per «la dovizia di particolari in esse presenti, la l precisione anche cronologica, la loro spontaneità, l’assenza di motivi di sospetto e di intenti calunniatori» ha anche posto in evidenza «i numerosi riscontri esterni (arresto di numerosi spacciatori appartenenti al sodalizio criminale; sequestri di stupefacenti eseguiti proprio nei luoghi nei quali i collaboratori avevano rivelato che la droga veniva occultata)».
La Terza Sezione ha poi posto l’accento sulla circostanza già rappresentata dalla Corte territoriale che gli stretti rapporti tra il sodalizio diretto dai f COGNOME e il clan COGNOME costituiva un «sistema stabile e condiviso che consentiva al sodalizio di avere il controllo della piazza di spaccio di Castellamare di Stabia» non mancando di sottolineare tanto per Massa, quanto per COGNOME e COGNOME la circostanza che essendo costoro “spacciatori storici” del gruppo COGNOME, intranei al sodalizio criminale la circostanza era certamente conoscibile Si legge a pag. 10 della sentenza che «si tratta di considerazioni adeguate per giustificare la configurabilità della circostanza aggravante e anche la consapevolezza della agevolazione da parte dei ricorrenti che hanno censurato la valutazione dei Giudici di appello in modo generico e con rilievi di fatto, orientati ad una rivalutazione delle risultanze istruttorie, preclusa in sede di legittimità».
Risulta evidente che non è mancato affatto l’esame del motivo che qui si assume dedotto, che è stato valutato, sul presupposto non contestato della credibilità dei collaboratori di giustizia, previo esame della portata dell dichiarazioni di costoro ed attualizzato per un verso, argomentando con il carattere “stabile e condiviso” del sodalizio e del versamento delle somme di denaro che consentivano la gestione della grossa piazza di spaccio, per altro verso
agli immutati rapporti tra lo stesso e il clan dei COGNOME ed infine, all risalente e perdurante adesione alla consorteria da parte del Massa.
Alla declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione segue per legge la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali del presente giudizio e al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende che – avuto riguardo al dictum della sentenza della Corte Costituzionale n. 186/2000 e ai coefficienti di colpa sottesi alle rilevate cause di inammissibilità del ricorso si reputa conforme a giustizia fissare in misura pari a euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in data 11 settembre 2024
Il Consig GLYPH e stensore
Il Presidente