Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 20087 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 20087 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 16/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato a NAPOLI il 17/01/1971
avverso l’ordinanza del 13/09/2024 della CORTE DI CASSAZIONE di ROMA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del PG, nella persona del sostituto NOME COGNOME con cui ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.Per mezzo del difensore, NOME COGNOME ha proposto ricorso straordinario, ai sensi dell’art. 625 bis cod. proc. pen., avverso l’ordinanza n.37016/2024, con cui, il 13 settembre 2024, la settima sezione penale di questa Corte di legittimità ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso per cassazione proposto nell’interesse del ricorrente, in quanto viziata da errore di fatto.
1.1. La vicenda processuale si è dipanata nel modo seguente:
(i) il Tribunale di Napoli, con sentenza ex art. 442 cod. proc. pen. del 16 settembre 2016, aveva dichiarato COGNOME colpevole del reato di cui agli articoli 291 bis e 296 d.P.R. 23 gennaio 1973 n. 43, commesso el11 il 15 ottobre 2014, e, ritenute le GLYPH circostanze attenuanti generiche equivalenti alla contestata recidiva, considerata la diminuente per il rito, lo aveva condannato alla pena di mesi 4 di reclusione ed euro 20.000 di multa;
(ii) la Corte d’appello di Napoli, con sentenza del 30 ottobre 2023, nonostante la richiesta congiunta del Procuratore Generale e della difesa dell’imputato di sentenza di GLYPH proscioglimento per intervenuta prescrizione del reato, aveva confermato la sentenza di primo grado, rilevando che ; “p r effetto della contestata recidiva, la prescrizione ordinaria decorre dalla data della sentenza di primo grado ossia dal 16 settembre 2016 ed è pari ad anni 7 mesi 6 e spirerà pertanto il 16 aprile 2024; la prescrizione massima decorre dalla data del commesso reato ovvero, il 15 ottobre 2014, ed è pari al termine ordinario aumentato di due terzi (7 anni e 6 mesi+ anni 4 e mesi 8 = 12 anni e 4 mesi) e verrà a scadenza il 15 febbraio 2027”;
(iii) avverso detta sentenza, COGNOME aveva proposto ricorso, deducendo la violazione di legge per non avere la Corte di appello emesso sentenza di proscioglimento per intervenuta prescrizione del reato, il cui termine ordinario doveva essere calcolato in anni 6. GLYPH La Corte di Cassazione, con l’ordinanza oggi impugnata, ha dichiarato inammissibile il ricorso rilevando che il reato per il quale COGNOME era stato condannato era punito con la multa di euro 5,00 per ogni grammo convenzionale di prodotto e con la reclusione da 2 a 5 anni e che, per effetto della contestazione della recidiva, la prescrizione minima, pari ad anni 6 doveva essere aumentata di 2/3, fino ad arrivare ad anni 10: tale termine a partire dall’ultimo atto interruttivo, ovvero dalla sentenza di primo grado, secondo i giudici, sarà decorso solo il 16 settembre 2026.
1.2. Con il ricorso straordinario, COGNOME osserva che la Corte di cassazione er..a e incorsa in un errore di fatto, in quanto il reato per il quale era stato
condannato (detenzione di un quantitativo di tabacchi lavorato estero, T.L.E, di contrabbando inferiore ai 10 kg.), era punito nel massimo con la reclusione fino ad 1 anno e si prescriveva, dunque, nel termine ordinario di 6 anni.
Il Procuratore Generale, nella persona del sostituto NOME COGNOME ha presentato conclusioni scritte con cui ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso e condannarsi il ricorrente al pagamento della somma di euro 6000 in favore della cassa delle ammende.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.II ricorso straordinario è fondato.
Si deve premettere che, ai sensi dell’art. 625 bis cod. proc. pen., è ammessa a favore del condannato la richiesta di correzione dell’errore materiale o di fatto contenuto nei provvedimenti pronunciati dalla Corte di Cassazione.
L’errore materiale e l’errore di fatto, indicati dall’art. 625 bis cod. proc. pen. come motivi di possibile ricorso straordinario avverso provvedimenti della eorte di cassazione, consistono, rispettivamente, il primo nella mancata rispondenza tra la volontà, correttamente formatasi, e la sua estrinsecazione grafica e il secondo in una svista o in un equivoco incidenti sugli atti interni al giudizio di legittimità, il cui contenuto viene percepito in modo difforme da quello effettivo.
L’ errore di fatto, a differenza di quello materiale, non attiene alla manifestazione grafica del provvedimento, ma inerisce direttamente al processo formativo della volontà del giudice, determinandola in una certa direzione anziché in un’altra e, quindi, influendo sul contenuto della decisione, che, senza quell’errore, sarebbe stata diversa. L’errore di fatto, perciò, ha il carattere della decisività, essendo determinante nella scelta della soluzione accolta nel provvedimento adottato dalla Corte: sul piano logico, si tratta di un errore di percezione, di una svista o di un mero equivoco, e non di un errore di valutazione o di giudizio sul fatto che il giudice di legittimità è chiamato ad esaminare per definire i motivi di ricorso.
Ne consegue che l’errore di fatto indicato dall’art. 625 bis cod. proc. pen. è di tipo meramente percettivo e non ricomprende i profili attinenti alla valutazione degli atti del processo, nel senso che non può consistere in un errore di giudizio vertente sul fatto esaminato e non correttamente interpretato dal giudice di legittimità (ex plurimis Sez. 2, n. 23417 del 23/05/2007, Previti, Rv.237161).
Legittima, dunque, il ricorso straordinario la decisione GLYPH fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa o sulla l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, in piena rispondenza col motivo di revocazione prefigurato dall’art. 395, n. 4, cod. proc. civ. (Sez. 1, n. 45731 del 13/11/2001, Salerno, Rv. 220372; Sez. F, n. 42794 del 07/09/2001, COGNOME, Rv. 220181). Le Sezioni Unite di questa Corte, in coerenza con tale impostazione, hanno riconosciuto, appunto, che l’art. 625 bis cod. proc. pen. è stato modellato sull’analoga disciplina contenuta nell’art. 391 bis cod. proc civ. e hanno stabilito che l’errore di fatto verificatosi n giudizio di legittimità, oggetto del rimedio del ricorso straordinario, consiste in un errore percettivo, causato da una svista o da un equivoco in cui la Corte di Cassazione sia incorsa nella lettura degli atti interni al giudizio stesso e connotato dall’influenza esercitata sul processo formativo della volontà: l’inesatta percezione delle risultanze processuali conduce, in tale ipotesi, ad una decisione diversa da quella che sarebbe stata adottata senza di essa. Qualora, invece, la causa dell’errore non sia identificabile esclusivamente in una fuorviata rappresentazione percettiva e la decisione abbia, comunque, contenuto valutativo, non è configurabile un errore di fatto, bensì di giudizio: sono, perciò, estranei all’ambito di applicazione dell’istituto gli errori di interpretazione d norme giuridiche, sostanziali o processuali, ovvero la supposta esistenza delle norme stesse o l’attribuzione ad esse di una inesatta portata, anche se dovuti ad ignoranza di indirizzi giurisprudenziali consolidati (Sez. U, n. 16103 del 27/03/2002, Basile, Rv. 221280).
2.1. GLYPH Tali principi sono stati affermati, negli stessi termini, anche con riferimento al ricorso straordinario per mancata declaratoria della prescrizione del reato da parte della Corte di Cassazione. Si è, in tale ambito, chiarito che è inammissibile il ricorso straordinario di cui all’art. 625 bis cod. proc. pen. relativo alla mancata dichiarazione della prescrizione del reato, ove il dubbio sulla esatta data di consumazione dello stesso debba essere risolto. Al contrario è ammissibile il ricorso straordinario tutte le volte in cui il rilievo dell’errore di f non comporti una decisione con contenuto valutativo (Sez. 3, n. 23964 del 26/05/2015, COGNOME Rv. 263646 – 01; nello stesso senso Sez. 4, n. 3319 del 12/12/2014, dep. 23/01/2015, Refarti, Rv. 262028 – 01; Sez. 6, n. 36768 del 20/09/2012, COGNOME, Rv. 253382 – 019). In altri termini, l’omessa rilevazione della prescrizione del reato nel corso del processo di cassazione è emendabile con il rimedio di cui all’art. 625 bis cod. proc. pen. a condizione che il ricorrente abbia prospettato la questione come derivante da un
mero errore percettivo dell’organo giudicante ed emerga chiaramente che la valutazione operata dal predetto organo non costituisca frutto di un autonomo percorso decisorio, sia pure errato, che coinvolga il compimento di specifiche valutazioni giuridiche (Sez. 3, n. 10417 del 25/02/2020, Tullio, Rv. 279065 01).
Così inquadrato il perimetro del rimedio ex art. 625 bis cod. proc. pen., si osserva che, nel caso in esame, la Corte di Cassazione con il provvedimento impugnato è incorsa in un vero e proprio errore di fatto o percettivo.
3.1. Si deve muovere dal rilievo che l’art. 291 bis del d.lgs 23 gennaio 1973 n. 43, contestato al ricorrente, nella formulazione in vigore al momento della pronuncia della sentenza della Corte di Appello (prima della rivisitazione della materia da parte del digs del 26 settembre 2024 n. 14), prevedeva due diverse fattispecie di reato.
Il primo comma puniva chiunque introduce, vende, trasporta, acquista o detiene dei territorio dello Stato un quantitativo di tabacco lavorato estero di contrabbando superiore ai 10 chilogrammi con la pena di euro 5 per ogni grammo convenzionale di prodotto e con la reclusione da 2 a 5 anni.
Il secondo comma puniva con la multa di euro 5 per ogni grammo convenzionale di prodotto e comunque in misura non inferiore a euro 516 le stesse condotte quando hanno ad oggetto un quantitativo di tabacco lavorato estero fino a 10 chilogrammi.
L’art. 296 d.igs n.43/1973, contestato al ricorrente e recante la disciplina della recidiva, stabiliva: colui che, dopo essere stato condannato per delitto di contrabbando preveduto dal presente testo unico o da altra legge fiscale, commette altro delitto di contrabbando per il quale la legge stabilisce la sola multa, è punito, oltre che con la pena della multa con la reclusione fino ad un anno; se il recidivo di un delitto di contrabbando preveduto dal presente testo unico o da altra legge fiscale commette un altro delitto di contrabbando per il quale la legge stabilisce la sola multa, la pena della reclusione comminata nella precedente disposizione è aumentata dalla metà a due terzi.
Il delitto di contrabbando aggravato ex art. 296, comma , d.lgs n. 43/1973 era considerato titolo autonomo di reato (in tale senso Sez. 3 n. 32868 del 06/07/2022, COGNOME, Rv. 283645).
3.2. La condotta di reato contestata al ricorrente è quella di avere detenuto per la vendita all’interno del territorio dello stato gr. 5960 di tabacchi lavorat esteri di contrabbando: pur nel silenzio della rubrica della imputazione, la condotta descritta deve essere sussunta nella fattispecie di cui all’art. 291 bis
comma 2 cod. proc. pen., punito, nella formulazione in vigore al momento della commissione del fatto (15 ottobre 2014) con la sola pena della multa.
3.3. La Corte di Cassazione con il provvedimento impugnato ha sostenuto che il termine di prescrizione breve in ordine al reato in esame sarebbe pari a anni 10, muovendo dalla premessa che la pena prevista per la fattispecie in esame fosse della reclusione da 2 a 5 anni e che su tale pena dovesse essere effettuato l’aumento di 2/3 terzi per la recidiva. In tal modo, tuttavia, la Corte non si è avveduta, per errore percettivo nella lettura degli atti, che la condotta di reato contestata era relativa alla detenzione di un quantitativo di T.L.E. di contrabbando inferiore a 10 chilogrammi e ha ritenuto che il reato contestato al ricorrente fosse quello dell’art. 291 bis, comma 1, d.lgs n. 43/1973 e non già quello effettivamente contestato di cui all’art. 291 bis, comma 2, d.lgs 43/1973. Il calcolo della prescrizione, effettuato sul presupposto che la pena massima per il reato contestato fosse di anni 5 di reclusione, è stato dunque viziato dal suddetto errore percettivo, ovvero dall’errore nella lettura del capo di imputazione, con travisamento della condotta ivi descritta.
Ne consegue che l’ordinanza n.37016/2024 della settima sezione penale di questa Corte, emessa in data il 13 settembre 2024, impugnata con ricorso straordinario, deve essere revocata in quanto la decisione assunta è stata viziata da una svista nella lettura degli atti interni al giudizio stesso ed è perciò differente da quella che sarebbe stata adottata senza di essa.
Questa Corte, revocata l’ordinanza, venendo in rilievo uno strumento irnpugnatorio che, in caso di accoglimento del profilo di doglianza del ricorrente, impone l’adozione dei provvedimenti necessari per correggere l’errore, può immediatamente pronunciarsi sul merito del ricorso originario (sez.4, 12.1.2012, Rizzato, Rv. 252257) proposto da NOME COGNOME.
4.1. Il ricorso è fondato.
Per effetto della recidiva reiterata specifica e infraquinquennale contestata nel capo di imputazione, la pena per il delitto in questione, ai sensi degli artt. 291 bis comma 2 e 296, comma 2, d.lgs n. 43/1973, è pari ad anni 1 e mesi 6 di reclusione nel minimo e ad anni 1 e mesi 8 di reclusione nel massimo.
4.2. La prescrizione ordinaria in ordine a tale reato, dunque, ai sensi dell’art. 157, comma 1, cod. pen. è pari ad anni 6, mentre la prescrizione massima, ai sensi dell’art. 161 cod. pen. è pari ad anni 10. Si deve, peraltro, ricordare che l’art. 160 cod. pen. prevede espressamente che la prescrizione interrotta comincia nuovamente a decorrere dal giorno della interruzione e che in nessun caso, se più sono gli atti interruttivi i termini di cui all’art. 157 co
pen. possono essere prolungati oltre i termini massimi dettati dall’art. 161 cod.
pen.
La giurisprudenza di legittimità in tema di prescrizione, ha chiarito, nel rispetto della formulazione dell’art. 160 cod. pen. che, in presenza di più atti
interruttivi, perché possa ritenersi non verificata l’estinzione del reato, è
necessario, non solo che non sia superato il termine massimo di prescrizione, ma anche che, tra un atto interruttivo ed un altro, non sia superato il termine
ordinario previsto dall’art. 157 cod. pen. (Sez. 5, n. 51475 del 04/10/2019, G.
Rv. 277853 – 01; Sez. 2, n. 20654 del 23/04/2014, Ndiaye, Rv. 259583; Sez.
5, n. 28290 del 06/06/2013, COGNOME, Rv. 256365; Sez.2, n. 35278 del
19/06/2007, Casadei Rv. 237860), sicchè il termine di prescrizione non matura prima della decorrenza del termine massimo (art. 161, comma secondo, cod.
pen.), soltanto nel caso in cui tra un atto interruttivo ed il successivo non sia interamente decorso il termine ordinario.
4.3. Nel caso in esame, la sentenza di primo grado è stata pronunciata il
16 settembre 2016 e la sentenza di secondo grado è stata pronunciata il 30
ottobre 2023: fra un atto interruttivo e l’altro, dunque, era già spirato il termine di 6 anni previsto dall’art. 157 cod. pen. Al momento della pronuncia della Corte di Appello di Napoli, dunque, come rilevato da COGNOME con il ricorso per cassazione avverso detta sentenza, il termine di prescrizione era già decorso.
Ne consegue che la sentenza emessa dalla Corte di appello di Napoli il 30 ottobre 2023 deve essere annullata senza rinvio perché il reato è estinto per prescrizione.
P.Q.M.
Revoca l’ ordinanza n.37016/2024 della Settima Sezione Penale di questa Corte, emessa in data il 13 settembre 2024 e, decidendo sul ricorso proposto da COGNOME NOME avverso la sentenza emessa dalla Corte di appello di Napoli il 30 ottobre 2023, annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato è estinto per prescrizione.
Deciso il 16 maggio 2025