Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 43430 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 43430 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 23/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME NOME, nato il DATA_NASCITA a Castellamare di Stabia avverso la sentenza del 05/03/2024 della Corte di Cassazione;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; udita la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile;
udito l’AVV_NOTAIO il quale ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso avverso la sentenza della Corte di appello che aveva confermato la condanna di NOME a sei anni e otto mesi di reclusione, nonché a C 3000 di multa per
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il delitto di estorsione (art. 629 cod. pen.) aggravata dal metodo mafioso (art. 416-bis.1, cod. pen.), per aver, in concorso con altri (COGNOME), costretto due imprenditori a comprare gadget pubblicitari per procurarsi un ingiusto profitto con corrispondente danno, avvalendosi della capacità intimidatoria derivante dalla riconducibilità al clan RAGIONE_SOCIALE.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso straordinario (art. 625-bis cod. proc. pen.), in nome e per conto di NOME COGNOME, l’AVV_NOTAIO, deducendo un errore di percezione in rapporto ai seguenti elementi.
2.1. La Corte di cassazione, nel riportare i motivi di ricorso, ha affermato che l’COGNOME contattò il COGNOME, ma tale affermazione non compariva nel ricorso. Dalla trascrizione della telefonata, al contrario, emergeva come, invece, fosse stato COGNOME a chiamare COGNOME.
L’errore percettivo è stato decisivo, avendo la Corte ritenuto, tra gli elementi alla base della responsabilità del ricorrente, la presunta sua iniziativa nel contattare i clienti e convincerli a aderire alle forniture di gadgets.
2.2. Altro errore di percezione è là dove la sentenza valorizza la conversazione tra l’imputato e il COGNOME dalla quale emergerebbe la consapevolezza – precisando: non contestata dal ricorrente – in capo al primo della condizione di soggezione e di paura in cui versava la controparte. Per contro, l’attuale ricorrente aveva confutato in maniera categorica la lettura della telefonata proposta dai Giudici di questa Corte, ritenendo che l’errata interpretazione da parte dei giudici di merito della conversazione emergesse da ulteriori intercettazioni, senza che la Corte abbia fornito sul punto risposta.
2.3. Infine, il ricorrente rilevava come il Tribunale prima, e la Corte d’appello poi, per dimostrare la estorsione contrattuale, avessero valorizzato una telefonata tra la vittima (l’imprenditore NOME) e tale NOME COGNOME, ritenendo erroneamente che il secondo interlocutore fosse NOME.
Alla deduzione di tale errore la Corte di cassazione non ha risposto, essendosi limitata a ritenere le censure generiche e che il giudizio di responsabilità si fosse fondato anche su elementi ulteriori. Essa è, dunque, incorsa, per errore di percezione, in un travisamento della prova, ritenendo che il colloquio fosse avvenuto con il ricorrente, laddove invece era intervenuto con tutt’altra persona.
CONSIDERATO IN DIRITTO
In tema di ricorso straordinario, qualora la causa dell’errore non sia identificabile esclusivamente in una fuorviata rappresentazione percettiva e la decisione abbia comunque contenuto valutativo, non è configurabile un errore di fatto, bensì di giudizio, come tale escluso dall’orizzonte del rimedio previsto
dall’art. 625-bis cod. proc. pen. (Sez. U, n. 18651 del 26/03/2015, Moroni, Rv. 263686).
Ribadito tale consolidato insegnamento giurisprudenziale, va osservato come le deduzioni del ricorrente qui sintetizzate ai punti 2) e 3), afferiscano, al più, alla (eventuale) erronea valorizzazione o mancata considerazione di elementi fattuali funzionali alla qualificazione giuridica della vicenda storica – non per nulla, lo stesso ricorrente accenna in più punti ad un travisamento della prova – o alla valutazione operata da questa Corte sulla fondatezza delle censure prospettate in primo e secondo grado. Quindi, a vizi motivazionali.
Esondando dal perimetro concettuale dell’art. 625-bis cod. proc. pen., tali eccezioni sono, dunque, inammissibili.
L’unico “errore percettivo” astrattamente in grado di legittimare quella forma di impugnazione eccezionale che è il ricorso straordinario sarebbe quello denunciato al punto 1), corrispondendo al vero che nel primo ricorso per cassazione la difesa non affermò che era stato COGNOME a contattare il COGNOME. Tuttavia, la circostanza che fosse stato l’imprenditore a contattare l’imputato, piuttosto che il contrario, a differenza di quanto rilevato dal ricorrente, è tutt’alt che decisiva, facendo soltanto da orpello all’affermazione per cui dalla sequenza delle condotte, da leggere nel loro complesso, emerge la chiara consapevolezza dell’imputato di inserirsi nell’ambito di una contrattazione viziata dalla condizione di coercizione della controparte e di fornire un contributo decisivo alla condotta estorsiva intrapresa – precisa, peraltro, la sentenza impugnata – dal correo (e cioè da COGNOME).
A fronte di tale motivazione e in mancanza di precisazioni ulteriori da parte del ricorrente, l’individuazione del soggetto il quale abbia assunto l’iniziativa della specifica telefonata non pare idonea a negare il contenuto intimidatorio della conversazione stessa, vieppiù ove la stessa si fosse calata – come emerge dalla sentenza impugnata, le cui parole sono state poc’anzi riportate quasi testualmente – nell’ambito di un rapporto già instaurato.
Per tali ragioni, il ricorso va dichiarato inammissibile.
Consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e al versamento delle somme indicate nel dispositivo, ritenute eque, in favore della Cassa delle ammende, in applicazione dell’art. 616 cod. proc. per.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di tremila euro alla Cassa delle ammende.