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Errore di diritto e cannabis: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione ha annullato una sentenza di assoluzione per un imprenditore agricolo accusato di detenzione di oltre 1.400 kg di marijuana. Il giudice di primo grado lo aveva assolto per un presunto errore di diritto inevitabile, dovuto alla complessità normativa sulla cannabis. La Cassazione ha ribaltato la decisione, affermando che un operatore professionale del settore non può invocare l’ignoranza scusabile, specialmente dopo che le Sezioni Unite avevano già chiarito la legge. Il caso è stato rinviato per un nuovo giudizio.

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Pubblicato il 23 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Errore di Diritto sulla Cannabis: Non Scusa l’Imprenditore Informato

Un recente caso affrontato dalla Corte di Cassazione mette in luce i confini dell’errore di diritto in materia di stupefacenti, specificamente riguardo la coltivazione di cannabis. La Suprema Corte ha annullato con rinvio l’assoluzione di un imprenditore agricolo, stabilendo un principio fondamentale: la complessità di una legge non giustifica automaticamente chi la viola, specialmente se si tratta di un operatore professionale del settore.

I Fatti di Causa

Un imprenditore agricolo veniva accusato di aver illecitamente detenuto circa 1.400 kg di marijuana, con un contenuto medio di principio attivo (THC) dello 0,638%, significativamente superiore ai limiti di legge. Durante una perquisizione, le forze dell’ordine rinvenivano nei capannoni della sua azienda agricola piante di canapa lavorate, con una netta separazione tra le infiorescenze (ricche di THC) e gli steli, definiti dall’imputato “scarti di lavorazione”.

L’imprenditore si era difeso sostenendo di aver agito nella legalità, nell’ambito della coltivazione di canapa industriale consentita dalla legge 242/2016. Aveva avviato trattative con una società spagnola per la vendita del prodotto, ma l’accordo era sfumato. Per evitare il deterioramento del raccolto, aveva quindi deciso di processare le piante. Tuttavia, questa lavorazione, che separava le parti psicoattive, e il superamento della soglia di THC, lo ponevano al di fuori della filiera lecita.

La Decisione di Primo Grado e l’Errore di Diritto

Il Giudice dell’Udienza Preliminare (GUP) aveva assolto l’imprenditore con la formula “perché il fatto non costituisce reato”. Pur riconoscendo che la condotta integrava oggettivamente il reato, il GUP riteneva assente l’elemento psicologico, ovvero la consapevolezza di agire illegalmente. Secondo il giudice, l’imputato sarebbe incorso in un errore di diritto inevitabile e quindi scusabile. La motivazione si fondava sulla presunta “complessità” e “frammentarietà” della normativa sulla cannabis, citando anche un decreto ministeriale che avrebbe generato ulteriore confusione.

La Posizione della Cassazione sull’Errore di Diritto

La Procura Generale ha impugnato la sentenza, portando il caso davanti alla Corte di Cassazione. La Suprema Corte ha accolto il ricorso, smontando la tesi dell’errore scusabile.

Le Motivazioni

La Corte ha chiarito che il quadro normativo, sebbene articolato, era stato definito in modo inequivocabile da una precedente sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione (la n. 30475/2019). Questa pronuncia, emessa oltre due anni prima dei fatti contestati, aveva tracciato una linea netta tra la coltivazione lecita per fini agroindustriali e quella illecita, finalizzata alla produzione di derivati con effetto stupefacente (come foglie e infiorescenze).

Secondo gli Ermellini, un imprenditore che opera professionalmente nel campo della coltivazione di cannabis ha un preciso dovere di informarsi approfonditamente sulla normativa che disciplina la sua attività. Non può, quindi, invocare l’ignoranza o l’incertezza interpretativa come scusante. L’esistenza di un dubbio sulla liceità di una condotta deve indurre alla massima cautela e all’astensione, non a procedere comunque.

Inoltre, la Corte ha specificato che l’esistenza di orientamenti giurisprudenziali contrastanti (peraltro superati dalla citata sentenza delle Sezioni Unite) o di provvedimenti amministrativi non può, da sola, giustificare la violazione della legge penale. L’errore di diritto è considerato inevitabile solo in situazioni eccezionali di oggettiva e assoluta impossibilità di conoscere la norma, non quando deriva da una mancata o superficiale informazione da parte di chi ha l’obbligo professionale di essere aggiornato.

Conclusioni

La sentenza rappresenta un importante monito per tutti gli operatori del settore della canapa industriale e, più in generale, per chiunque operi in ambiti regolamentati da normative complesse. La Corte di Cassazione ribadisce che la professionalità impone un dovere di diligenza qualificata, che include la conoscenza precisa delle leggi penali pertinenti al proprio campo di attività. L’assoluzione è stata annullata e il caso dovrà essere nuovamente giudicato da un altro giudice, che dovrà attenersi ai principi stabiliti dalla Suprema Corte, valutando la colpevolezza dell’imputato senza poter più fare appello all’ignoranza scusabile della legge.

Quando un errore sulla legge penale è considerato ‘inevitabile’ e quindi scusabile?
Secondo la Corte, l’errore di diritto è scusabile solo in casi eccezionali di oggettiva impossibilità di conoscere la legge, ad esempio a causa di un testo normativo assolutamente oscuro o di un caotico atteggiamento interpretativo degli organi giudiziari. Non è considerato inevitabile quando deriva da una mancanza di informazione da parte di chi, per professione, ha il dovere di conoscere le leggi del proprio settore.

La complessità della normativa sulla cannabis giustifica un imprenditore che viola la legge?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che la complessità normativa non costituisce una scusante automatica. Un imprenditore del settore ha l’obbligo di informarsi adeguatamente e, in caso di dubbio sulla liceità di una condotta, deve astenersi dall’agire. L’ignoranza dovuta a negligenza non è scusabile.

Cosa ha chiarito la sentenza riguardo alla coltivazione di cannabis per fini industriali?
La sentenza ribadisce che la coltivazione di cannabis, per essere lecita ai sensi della L. 242/2016, deve essere finalizzata esclusivamente agli usi industriali previsti dalla legge (es. produzione di fibre, sementi). La commercializzazione di foglie, infiorescenze, olio e resina, ovvero dei derivati con potenziale effetto psicotropo, esula da tale ambito e può integrare il reato di produzione di sostanze stupefacenti, anche se il livello di THC è inferiore alla soglia dello 0,6%, qualora la sostanza abbia una concreta efficacia drogante.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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