Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 22859 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 22859 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 12/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: Procuratore generale presso Corte d’appello di Cagliari nel procedimento a carico di: COGNOME NOME nato a TRAMATZA il 01/03/1973
avverso la sentenza del 04/07/2024 del GIUDICE UDIENZA PRELIMINARE del Tribunale di Oristano Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni del PG, in persona del Sostituto Procuratore COGNOME che ha chiesto l ‘ annullamento della sentenza impugnata.
Letta la memoria dell ‘ avvocato NOME COGNOME difensore di fiducia dell ‘ imputato, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 4 luglio 2024, all ‘ esito di giudizio abbreviato, il Giudice per l ‘ udienza preliminare del Tribunale di Oristano ha assolto NOME COGNOME dall ‘ imputazione di cui agli artt. 73, commi 1 e 4, e 80, comma 2, d.P.R, 9 ottobre 1990 n. 309 «perché il fatto non costituisce reato».
Per miglior comprensione della vicenda e dei motivi di ricorso si deve riferire che NOME COGNOME è accusato di avere illecitamente detenuto, in un capannone agricolo, kg. 1.402,59 di marijuana contenente, in media, una quantità di Delta 9-THC dello 0,638%.
Dalla sentenza impugnata emerge che, il 27 ottobre 2021, militari della Stazione carabinieri di Milis eseguirono una perquisizione nei capannoni intestati alla impresa agricola «RAGIONE_SOCIALE sita a Tramatza, in località Serra INDIRIZZO, e vi rinvennero:
in un telo, rami di piante di marijuana, di lunghezza variabile dai 5 ai 40 cm ( varietà della canapa: ‘ Futura 75 ‘ ), per un peso totale di Kg. 173,6 (comprensivo di rami, foglie e infiorescenze);
in un altro telo, rami di piante di marijuana, di lunghezza variabile dai 5 ai 40 cm ( varietà della canapa: ‘ RAGIONE_SOCIALE ‘ ), del peso totale di kg.131,85 (comprensivo di rami, foglie e infiorescenze);
347 scatole contenenti marijuana essiccata ( varietà della canapa: RAGIONE_SOCIALE ‘ ), per un peso totale netto di kg. 1.097,14.
All ‘ esterno del capannone, gli operanti rinvennero, accatastati, i fusti delle piante. Il materiale risultò essere di proprietà di NOME COGNOME il quale definì il materiale accatastato all ‘ esterno come «scarto di lavorazione» e sostenne di aver costituito una società finalizzata alla coltivazione di cannabis sativa e di aver coltivato le piante in un terreno di sua proprietà.
COGNOME produsse la bozza (non sottoscritta) del contratto avente ad oggetto la costituzione della società e consegnò agli operanti i rapporti relativi alle analisi svolte, su sua commissione, dal «centro analisi RAGIONE_SOCIALE» (attestanti che la percentuale di THC presente nelle piante era compresa tra lo 0,32 e lo 0,39%). Dichiarò, infine, di aver stipulato un contratto con una società spagnola (la «RAGIONE_SOCIALE») che si era impegnata ad acquistare il prodotto, ma poiché vi erano stati intoppi nell ‘ esecuzione di questo contratto, aveva provveduto a tagliare le piante al fine di evitarne il deterioramento.
Dalla sentenza impugnata emerge che COGNOME consegnò agli operanti:
la comunicazione di avvenuta semina per l ‘ anno 2021, indirizzata al «Nucleo Investigativo di Polizia Ambientale Agroalimentare e Forestale» (acronimo
RAGIONE_SOCIALE) di Sassari;
i cartellini delle sementi ‘ NOME COGNOME ‘ adoperate;
la bozza, non sottoscritta, del contratto che sosteneva di aver stipulato con la «RAGIONE_SOCIALE» e la copia sottoscritta di un contratto stipulato tra questa società e la «RAGIONE_SOCIALE», dalla quale risulta che le piante sarebbero state ritirate dal distributore se fossero state intere e se la percentuale media di THC fosse stata inferiore allo 0,2%.
La sentenza riferisce:
che il materiale rinvenuto all ‘ interno del capannone è stato sottoposto a sequestro e campionato nel rispetto delle garanzie previste dall ‘ art. 87 d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309;
che le analisi eseguite sui campioni (utilizzabili ai fini della decisione, atteso che il processo si è svolto con rito abbreviato) hanno evidenziato la presenza di una percentuale media di THC dello 0,638%, sicché la quantità di principio attivo presente nella sostanza sequestrata è pari a 8,947 chilogrammi.
La richiesta di giudizio abbreviato è stata condizionata all ‘ acquisizione di altri documenti e, tra questi, della visura camerale della ditta «RAGIONE_SOCIALE NOME COGNOME» e di una copia sottoscritta del contratto stipulato tra questa ditta e la «RAGIONE_SOCIALE» nel quale si fa riferimento alla coltivazione di sementi ‘RAGIONE_SOCIALE‘ e ‘RAGIONE_SOCIALE‘.
2.1. Il Giudice di primo grado ha ritenuto (pag. 9 della motivazione) che «il fatto ascritto a Fois integri una delle condotte penalmente rilevanti sanzionate dall ‘ art. 73 d.P.R. n. 309/90».
Ha osservato a tal fine:
che il materiale rinvenuto era stato lavorato separando i rami «ricchi di foglie e infiorescenze (parti dotate di THC), dagli steli» rinvenuti all ‘ esterno del capannone e definiti dallo stesso COGNOME come «scarti della lavorazione»;
-che, in base alla normativa vigente, l ‘ imprenditore avrebbe dovuto «collocarsi, fin dal momento della messa a dimora della coltivazione, all ‘ interno della filiera legale della canapa», ma non ha agito in tal senso e, «successivamente al raccolto e al ‘naufragio’ dell’ accordo di massima intercorso con la RAGIONE_SOCIALE, ha optato per sezionare le piante», in difformità dagli accordi contrattuali intervenuti con la potenziale acquirente «che prevedevano la consegna delle piante intere e con THC inferiore allo 0,2%, presupposti assenti nel caso in esame»;
che, selezionando «le parti di pianta (foglie e infiorescenze) dotate di sostanze psicotrope», Fois ha precluso la destinazione della canapa che aveva coltivato agli usi leciti tassativamente previsti dall ‘ art. 2 legge 2 dicembre 2016 n. 242.
Secondo il G.u.p., tenuto conto della quantità di sostanza complessivamente detenuta e del superamento, in media, anche della soglia dell ‘ 0,6% di THC, «la contestata condotta di detenzione con finalità di immissione nel mercato della sostanza in sequestro» non può «in alcun modo considerarsi inoffensiva del bene giuridico della salute pubblica» (pagg. 12 e 13 della motivazione).
Pur muovendo da queste premesse, il Giudice ha ritenuto che l ‘ imputato dovesse essere mandato assolto dall ‘ imputazione a lui ascritta, «mancando la prova certa della coscienza e volontà dello stesso di porsi in contrasto con l ‘ ordinamento violando la norma incriminatrice» ed essendo emersi in giudizio «elementi tali da suggerire che egli abbia agito in buona fede, nella convinzione di operare entro i margini della legalità» (così, testualmente, pag. 13 della motivazione).
Il G.u.p. è giunto a queste conclusioni perché ha ritenuto che Fois sia incorso in un errore di diritto inevitabile e ha fondato tale valutazione di inevitabilità sul «dato normativo», tanto «complesso e frastagliato» da richiedere l ‘ intervento delle Sezioni Unite e «da essere comunque, anche successivamente, oggetto di interpretazioni differenti» (pag. 15 della motivazione). Secondo il G.u.p., l ‘ imputato non sarebbe stato «in condizione di orientare la propria azione e di prevedere le conseguenze delle proprie condotte» e avrebbe operato «in contrasto con la normativa che gli imponeva di inserirsi in una filiera trasparente e lecita della canapa» perché incorso in errore sul contenuto della legge n. 242/2016: un errore che è stato considerato inevitabile «in ragione dello stadio evolutivo giurisprudenziale raggiunto al momento della condotta, anche in rapporto a provvedimenti amministrativi fuorvianti», quale sarebbe il decreto del Ministro delle politiche agricole del 23 luglio 2020 (che ha inserito la canapa sativa nell ‘ elenco delle piante officinali, consentendo l ‘ uso estrattivo delle infiorescenze per scopi erboristici).
Contro la sentenza del 4 luglio 2024 ha proposto ricorso il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Cagliari deducendo erronea applicazione di legge ex art. 606, comma 1, lett. b ) cod. proc. pen.
Col primo e secondo motivo, il ricorrente osserva che l ‘ art. 73 d.P.R. n. 309/90 «punisce la coltivazione -e la correlata detenzione -illecita di cannabis sativa » e la sentenza impugnata, pur avendo ritenuto integrato il reato sotto il profilo oggettivo, ha valutato necessaria sotto il profilo psicologico la corretta interpretazione delle norme che regolano la coltivazione legale. Ha ipotizzato, dunque, una complessità normativa non sussistente, ritenendo scusabile, solo per questo, un errore avente ad oggetto l ‘ interpretazione della legge penale.
Col terzo motivo, il ricorrente deduce violazione degli artt. 533 e 530 cod. proc. pen. e osserva che, nel caso di specie, il dubbio sull ‘ elemento psicologico del reato di coltivazione e detenzione illecita di sostanze stupefacenti è stato ritenuto sussistente al di fuori di ogni criterio di ragionevolezza.
Il Procuratore generale della Corte di cassazione ha depositato conclusioni scritte chiedendo l’annullamento del provvedimento impugnato.
Con memoria del 6 giugno 2025 il difensore dell’imputato ha chiesto il rigetto del ricorso, replicando anche alle conclusioni del PG.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Si deve premettere che, ai sensi dell ‘ art. 443, comma 1, cod. proc. pen. il pubblico ministero non può proporre appello contro le sentenze di proscioglimento pronunciate all ‘ esito di giudizio abbreviato e che, ai sensi dell ‘ art. 608, comma 2, cod. proc. pen., «Il procuratore della Repubblica presso il tribunale può ricorrere per cassazione contro ogni sentenza inappellabile, di condanna o di proscioglimento, pronunciata dalla corte di assise, dal tribunale o dal giudice per le indagini preliminari presso il tribunale».
Nel caso di specie, trattandosi di sentenza inappellabile, il ricorso per Cassazione è stato ritualmente proposto dal Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Cagliari ai sensi dell ‘ art. 570 cod. proc. pen., in base al quale: «il procuratore della Repubblica presso il tribunale e il procuratore generale presso la Corte di appello possono proporre impugnazione, nei casi stabiliti dalla legge, quali che siano state le conclusioni del rappresentante del pubblico ministero» e (fatto salvo quanto stabilito dall ‘ art. 593 bis in materia di appello), il procuratore generale presso la Corte di appello «può proporre impugnazione nonostante l ‘ impugnazione o l ‘ acquiescenza del pubblico ministero presso il giudice che ha emesso il provvedimento».
Passando ad esaminare il merito del ricorso, si deve preliminarmente osservare che l’art. 2 della legge n. 242/2016 è stato modificato dal decreto-legge 11 aprile 2025, n. 48 (convertito dalla legge 9 giugno 2025, n. 80) e questa modifica non ha introdotto norme più favorevoli rispetto a quelle previgenti, sicché, ai fini della decisione, deve farsi riferimento alle norme in vigore all’epoca dei fatti.
3. Il controverso tema dei rapporti tra la disciplina contenuta nel Testo Unico stupefacenti -che incrimina la coltivazione delle sostanze indicate nella tabella II (tra le quali vi è la cannabis in ogni sua varietà) -e la legge n. 242/2016 -contenente «Disposizioni per la promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa» -è stato affrontato da questa Corte di legittimità con la sentenza delle Sezioni Unite n. 30475 del 30/05/2019, COGNOME, Rv. 275956. Non è necessario in questa sede analizzare la disciplina nazionale e sovranazionale che costituisce la cornice normativa in cui si è inscritta la disciplina introdotta con la legge n. 242/2016 (analisi per la quale si rimanda integralmente alla pronuncia richiamata). Basta ricordare infatti che, secondo le Sezioni Unite, le coltivazioni incentivate dalla legge 242/2016 si collocano nell ‘ alveo delle colture consentite ai sensi dell ‘ art. 26 d.P.R. 309/1990. Come la sentenza in esame sottolinea, quest’ultima norma richiama l ‘ art. 14 (disposizione che, al comma 2 lett. b , impone l ‘ introduzione nella tabella II di ogni varietà di cannabis ) e, tuttavia, introduce un ‘ eccezione al divieto quando la canapa sia coltivata «esclusivamente per la produzione di fibre o per altri usi industriali, diversi da quelli di cui all’art. 27, consentiti dalla normativa dell’Unione europea». Muovendo da queste premesse, la sentenza sostiene che «il sintagma contenuto nell ‘ art. 1, comma 2, legge n. 242 del 2016, ove è stabilito che le coltivazioni di cui si tratta ‘ non rientrano nell ‘ ambito di applicazione del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza ‘ , delinea l ‘ ambito dell ‘ intervento normativo» e tale intervento «riguarda un settore dell ‘ attività agroalimentare ontologicamente estraneo dall ‘ ambito dei divieti stabiliti dal T. U. stup. in tema di coltivazioni». Secondo il supremo Collegio, «ciò consente di comprendere appieno, sul piano sistematico, la ragione per la quale la novella non ha effettuato alcuna modifica al dettato del T.U. stup., neppure nell ‘ ambito delle disposizioni che inseriscono la cannabis e i prodotti da essa ottenuti nel delineato sistema tabellare. Infatti, la novella del 2016 non aveva necessità di effettuare alcuna modifica al disposto di cui all ‘ art. 14, d.P.R. n. 309/1990 (che, come sopra rilevato, pure comprende indistintamente la categoria della cannabis ) poiché il legislatore del 2016 ha disciplinato lo specifico settore dell ‘ attività della coltivazione industriale di canapa, funzionale esclusivamente alla produzione di fibre o altri usi consentiti dalla normativa dell ‘ Unione europea, attività che non è attinta dal generale divieto di coltivazione, come sancito dal T.U. stup., pure a seguito delle modifiche introdotte all ‘ art. 26, comma 2, T.U. stup., dal decreto-legge n. 36 del 2014» (così, testualmente, Sez. U., n. 30475 del 30/05/2019, COGNOME, cit., pag. 11 della motivazione).
Secondo il supremo Collegio, la coltivazione della cannabis sativa L. ad uso agroalimentare, promossa dalla legge n. 242/2016, è stata definita non solo «mediante l ‘ indicazione della varietà di canapa di cui si tratta», ma anche «in considerazione dello specifico ambito funzionale dell ‘ attività medesima, che non contempla l ‘ estrazione e la commercializzazione di alcun derivato con funzione stupefacente o psicotropa». Ne consegue che dalla coltivazione di cannabis sativa L. non possono essere lecitamente realizzati prodotti diversi da quelli elencati dall ‘ art. 2, comma 2, legge n. 242 del 2016 e, in particolare, tale coltivazione non può essere destinata alla commercializzazione di «foglie, infiorescenze, olio e resina» (pag. 13 della motivazione).
3.1. Con la sentenza in esame, le Sezioni Unite hanno affrontato anche il tema delle soglie percentuali di THC che, secondo alcuni orientamenti, costituivano il discrimine della liceità della commercializzazione dei prodotti ottenuti dalla coltivazione agroindustriale di cannabis sativa L .
Avendo riguardo ai valori indicati dall ‘ art. 4, commi 5 e 7, legge n.242/2016, il massimo Consesso di legittimità ha chiarito che tali valori sono stati introdotti per tutelare gli agricoltori operanti nella filiera agroalimentare delineata dalla legge, i quali, pur avendo impiegato qualità di canapa consentite, potrebbero aver ottenuto un prodotto contenente una percentuale di THC superiore al limite massimo consentito perché compresa tra lo 0,2 e lo 0,6 %. L ‘ art. 4, comma 5, legge n. 242/2016, stabilisce, infatti che in questi casi nessuna responsabilità possa essere posta a carico dell ‘ agricoltore che abbia rispettato le prescrizioni di legge e l ‘ art. 4, comma 7, nel prevedere la possibilità che vengano disposti il sequestro o la distruzione delle coltivazioni di canapa che, se pure impiantate nel rispetto delle disposizioni stabilite dalla legge, presentino un contenuto di THC superiore allo 0,6%, ribadisce, anche in tal caso, che la responsabilità dell ‘ agricoltore è esclusa. Ponendosi in questa prospettiva, le Sezioni unite hanno sostenuto che le richiamate percentuali di THC non possono essere valorizzate al fine di affermare la liceità della commercializzazione dei derivati dalla coltivazione della cannabis sativa L. , ove contenenti percentuali inferiori allo 0,6 o allo 0,2% e hanno concluso che la commercializzazione di cannabis sativa L. o dei suoi derivati, diversi da quelli elencati dalla legge del 2016, può integrare il reato di cui all ‘ art. 73, commi 1 e 4, T.U. Stup., anche quando il contenuto di THC sia inferiore alle concentrazioni indicate all ‘ art. 4, commi 5 e 7, della legge del 2016. Hanno fatta salva, però, la verifica della concreta offensività del fatto e, quindi, della capacità drogante della sostanza, intesa quale attitudine a provocare o meno effetti psicogeni.
La sentenza impugnata ha fatto applicazione di questi principi. Ha ritenuto infatti che, nel caso di specie, la complessiva efficacia drogante della sostanza non potesse essere esclusa, trattandosi di una quantità di THC indicata in kg. 8,947. Ha rilevato, inoltre, che l ‘ imputato non è stato in grado di documentare la destinazione della canapa alle finalità indicate dall ‘ art. 2 legge n. 242/2016, sicché la coltivazione, anche se avente ad oggetto qualità di canapa consentite, non era stata avviata in modo tale da assicurare che il prodotto fosse inserito nella «filiera legale». Ha sottolineato, infine, che l ‘ imputato ha iniziato ad estrarre dalle piante che aveva coltivato prodotti derivati aventi funzione stupefacente e psicotropa: ha ricavato, dunque, dalla coltivazione prodotti diversi da quelli elencati dall ‘ art. 2, comma 2, legge n. 242/2016.
Pur avendo ritenuto integrato sotto il profilo oggettivo il reato ascritto all ‘ imputato, la sentenza impugnata ha escluso che NOME COGNOME possa rispondere di questo reato «per mancanza dell ‘ elemento psicologico».
Secondo il G.u.p., l ‘ imputato avrebbe agito nella convinzione di rispettare la legge e sarebbe incorso in un errore di diritto inevitabile a causa della complessità della normativa, dello «stadio evolutivo giurisprudenziale raggiunto al momento della condotta» e dell ‘ esistenza di «provvedimenti amministrativi fuorvianti» (così, testualmente, pag. 15 della motivazione). Si verserebbe, dunque, in un caso di inevitabile ignoranza della legge penale e troverebbe applicazione la sentenza della Corte costituzionale n. 364 del 1988 con la quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 5 cod. pen. «nella parte in cui non esclude dall ‘ inescusabilità dell ‘ ignoranza della legge penale l ‘ ignoranza inevitabile».
Così argomentando, il G.u.p. dimentica che -come la Corte costituzionale ha chiarito nella motivazione della sentenza n. 364/1998 (par. 27 del «Considerato in diritto») -«l ‘ inevitabilità dell ‘ errore sul divieto (e, conseguentemente, l ‘ esclusione della colpevolezza) non va misurata alla stregua di criteri c.d. soggettivi puri (ossia di parametri che valutino i dati influenti sulla conoscenza del precetto esclusivamente alla luce delle specifiche caratteristiche personali dell ‘ agente) bensì secondo criteri oggettivi: ed anzitutto in base a criteri (c.d. oggettivi puri) secondo i quali l ‘ errore sul precetto è inevitabile nei casi d ‘ impossibilità di conoscenza della legge penale da parte d ‘ ogni consociato. Tali casi attengono, per lo più, alla (oggettiva) mancanza di riconoscibilità della disposizione normativa (ad es. assoluta oscurità del testo legislativo) oppure ad un gravemente caotico (la misura di tale gravità va apprezzata anche in relazione ai diversi tipi di reato) atteggiamento interpretativo degli organi giudiziari … ».
Ed invero, nel sostenere l’inevitabilità dell’errore nel quale l’imputato sarebbe incorso, il G.u.p. non ha considerato che la condotta oggetto di imputazione è stata
accertata il 27 ottobre 2021 e più di due anni prima, con la citata sentenza n.30475/2019, le Sezioni Unite di questa Corte avevano fornito indicazioni sui rapporti intercorrenti tra le fattispecie incriminatrici contenute nel Testo Unico in materia di stupefacenti e la legge n. 242/2016; indicazioni alle quali la giurisprudenza successiva si è costantemente attenuta. Ha trascurato, inoltre, che -come recentemente ribadito dalle Sezioni unite di questa Corte (Sentenza n. 16153 del 18/01/2024, Clemente, Rv. 286241) -quand’anche esistente, «L ‘ incertezza derivante da contrastanti orientamenti giurisprudenziali nell ‘ interpretazione e nell ‘ applicazione di una norma non abilita, da sola, ad invocare la condizione soggettiva d ‘ ignoranza inevitabile della legge penale, atteso che il dubbio circa la liceità o meno di una condotta, ontologicamente inidoneo ad escludere la consapevolezza dell ‘ illiceità della medesima, deve indurre l ‘ agente ad un atteggiamento di cautela, fino all ‘ astensione dall ‘ azione». Come già in precedenza era stato affermato, infatti, il dubbio sulla liceità o illiceità di una condotta non può essere equiparato alla condizione di inevitabile ed invincibile ignoranza ed è ontologicamente inidoneo ad escludere la consapevolezza dell ‘ illiceità (Sez. 5, n. 2506 del 24/11/2016, COGNOME, Rv. 269074; Sez. 2, n. 46669 del 23/11/2011, COGNOME, Rv. 252197; Sez. 6, n. 6991 del 25/01/2011, Sirignano, Rv. 249451).
A ciò deve aggiungersi che, come la Corte costituzionale non ha mancato di porre in luce (par. 28 del «Considerato in diritto» della sentenza n. 364/1998), fatti salvi i casi di «carente socializzazione», quando «la mancata previsione dell ‘ illiceità del fatto derivi dalla violazione degli obblighi d ‘ informazione giuridica, che sono alla base d ‘ ogni convivenza civile, deve ritenersi che l ‘ agente versi in evitabile e, pertanto, rimproverabile ignoranza della legge penale. Come in evitabile, rimproverabile ignoranza della legge penale versa chi, professionalmente inserito in un determinato campo d ‘ attività, non s ‘ informa sulle leggi penali disciplinanti lo stesso campo».
6. Per valutare se un errore di diritto sia scusabile è doveroso muoversi all’interno di queste coordinate ermeneutiche. Pertanto, il Giudice di merito avrebbe dovuto considerare che COGNOME ha intrapreso una attività imprenditoriale nell ‘ ambito della coltivazione della cannabis; ha inviato al NIPAAF di Sassari la comunicazione di avvenuta semina per l ‘ anno 2021 e ha conservato i cartellini di alcune delle sementi adoperate (dunque ha assunto informazioni sulla normativa vigente in materia); ha avviato trattative con una società estera che avrebbe dovuto ritirare le piante per destinarle alle finalità previste dall ‘ art. 2 legge n. 242/2016; ma ha iniziato la coltivazione senza aspettare che le trattative fossero concluse e, non avendo raggiunto un accordo per commercializzare le
piante ormai coltivate, ha deciso di lavorarle separando i rami, ricchi di foglie e infiorescenze, dagli steli ed estraendone derivati contenenti una percentuale media di THC dello 0,638%.
Quanto al Decreto del Ministro delle politiche agricole del 23 luglio 2020, nel considerarlo «fuorviante» e tale da determinare un errore inevitabile nella interpretazione della legge penale, la sentenza impugnata non ha spiegato perché, inserendo la canapa sativa nell ‘ elenco delle piante officinali e consentendo l ‘uso estrattivo delle infiorescenze per scopi erboristici, questo decreto avrebbe indotto in errore l’imputato , che non risulta aver mai inteso coltivare, raccogliere e trasformare la canapa per destinarla a scopi medicinali o alla produzione di sostanze attive vegetali.
Per quanto esposto, la sentenza impugnata deve essere annullata, con rinvio, per nuovo giudizio al Tribunale di Oristano, ufficio del Giudice per l ‘ udienza preliminare, persona fisica diversa.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio, per nuovo giudizio, al Tribunale di Oristano in diversa composizione fisica.
Così deciso il 12 giugno 2025